Non hai nostalgia di quei momenti vuoti,
di quei muri bianchi e ospitali,
delle domande vane sul quel che sarà?
Non rimpiangi le mute mattinate gelide
attaccato a caffè troppo brevi per farti compagnia?
Ricordi: le angosce nascevano a colazione
e all’ora di pranzo diventavano sboccate,
arroganti,
e solo la sera, ogni tanto,
le potevi sbattere giù dalle scale.
Adesso è senza malinconia il ripassare da quella casa,
e affascinate è l’essere catturati dal ricordo
di qualcosa che non amavi allora
e che adesso credi di aver amato.
Senza parole rimani attaccato
a quel che è un passato clandestino,
non voluto ma vissuto lo stesso,
anche se ora ti chiedi come hai potuto...
Ma perché ci si può accettare solo al passato… perché…
Che ne sappiamo! Anneriscono le idee,
mentre il silenzioso ocra di queste vallate rudi
si mischia con l’azzurreggiare vacuo di novembre
e della noia che danno carte bollate
e caffè senza schiuma né macchie di rossetto
ai lati della tazzina.
Allora battevi i tasti per niente,
scrivevi e non sapevo il motivo,
invitavi qualche amico a bere
ma ritrovavi scampoli di genuinità
soltanto alla mattina, mentre il mondo viveva,
ma tu continuavi solo ad esistere.
Non essere parte di nulla eppure dover far finta
di essere come gli altri, atteggiarsi a uomo
e sentirsi bambino; crudele inganno
quello del crescere nel fisico e non nell’animo.
Vedere invecchiare le fotografie e non le passioni,
né gli occhi che ti scrutano,
e invece assistere allo sfacelo di pensieri,
ombre, alberi e persone sconosciute,
è un supplizio immeritato.
Ma ora te lo tieni, ormai:
mentre agli angoli delle strade
vegetano i soliti ubriachi stanchi
che tu non sai più ascoltare.