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Oggi parliamo con… Gianluca Morozzi

Da Gialloecucina

L’ospite della chiacchierata di oggi è Gianluca Morozzi. Leggiamo come si racconta nell’intervista rilasciata ad Alessandro Noseda.

 

Racconti a noi ed ai lettori chi sei e perché leggi e scrivi?

Buongiorno a tutti. Ho 43 anni, un occhio bicolore (non come David Bowie) e il mio secondo ricordo (il primo è una ninna nanna, quindi suppongo sia un ricordo precedente) è questo: io, nella mia camera, da bambino, con un librone illustrato regalo di mio nonno steso sul pavimento davanti a me. Per cui, direi che ho iniziato a leggere abbastanza presto. La prima cosa che ho scritto è stata la parola “Biancosarti” sul vetro appannato della cucina, o almeno così dice mia nonna. Mi fido.

Comunque: leggo perché mi piace da morire. Scrivo perché non so fare altro, perché è bello scrivere, e perché il mestiere di scrittore mi consente di svegliarmi la mattina in un tardo orario a piacere.

Come è nata l’idea? Dove hai trovato spunto? Quanto prendi in prestito dalla realtà quotidiana e quanto è parto di fantasia?

L’idea di Radiomorte, come scrivo nei ringraziamenti, è nata, letteralmente, dal nulla. Stavo camminando sotto un portico, tac, è arrivata. Cosa si fa, in questi casi? Niente, si ringrazia e ci si annota la trama arrivata in dono. Poi chiaramente ci ho messo un po’ della mia esperienza in radio (conduco una trasmissione da tre anni), e i racconti horror appenninici di mia nonna e sua sorella, nate nelle zone di Dino Campana, sull’appennino tosco-emiliano, che a tavola raccontavano serafiche e pacifiche di contadini divorati dai cinghiali o bambini caduti dai burroni…

Scrivere un romanzo richiede tempo e documentazione. Come affronti la cosa?

Il tempo è l’ultimo dei problemi: per fortuna faccio lo scrittore di mestiere, quindi posso amministrarmelo come voglio.

Sulla documentazione, siccome sono molto pigro, se proprio non c’è da sapere qualcosa di vitale (e allora mi devo informare), invento, aggiro l’ostacolo, o la sparo così grossa che nessuno andrà mai a controllare. Qualcuno ha chiesto a Chuck Palahniuk se è vero che – come sostiene un personaggio di Cavie – l’intestino umano sa di gamberoni?

Hai il mito del delitto perfetto?

Ho il mito dei delitti della camera chiusa, quei casi meravigliosi in cui non conta solo il “chi è stato” ma anche e soprattutto il “come ha fatto”? E infatti il mio prossimo romanzo parlerà proprio di questo.

Quali sono state le maggiori difficoltà nella stesura del romanzo?

Il caldo. L’ho scritto in estate. Altre difficoltà, sinceramente, non ne ho avute.

Come delinei i personaggi? Segui una scaletta o ti fai guidare dalla storia?

I personaggi nascono a volte dall’osservazione di persone reali, a volte da un mix di reale e inventato (o di due persone reali), a volte dalla fantasia. A volte anche dalla suggestione: un ragazzo uscito da Thunder road di Bruce Springsteen, una ragazza uscita da Spectacular girl degli Eels… Io inizio i romanzi avendo ben in mente l’inizio e la fine. Quel che c’è in mezzo nasce poco a poco, senza nessuna scaletta se non mentale.

E del rapporto con Editor ed Editore cosa puoi dirci? Anche in questo campo hai una vasta esperienza.

Ah, niente da dire, mi è andata benissimo. Ho esordito con Giorgio Pozzi di Fernandel, splendido editore, che massacrandomi un sacco di pagine inutili in ogni romanzo mi ha insegnato ad autoeditarmi. Quando sono arrivato a Guanda, dieci anni fa, ero già perfettamente temprato. Così non ho mai litigato con un editor né con un editore in vita mia.

Dove scrivi? Hai un posto preferito? Carta e penna o direttamente al PC?

A casa, a parte un vecchio romanzo (“Bob Dylan spiegato a una fan di Madonna e dei Queen”) che è stato scritto tutto in treno, come esperimento. Direttamente al PC, certo, non scherziamo. La mia calligrafia non la capisco neppure io.

Preferisci il silenzio o ami musica di sottofondo? Che musica ami?

A volte in silenzio, a volte con musica. Non italiana (mi entrerebbero le parole nel testo!), non rumorosissima, non troppo conosciuta (canterei). Il nuovo romanzo lo sto scrivendo con i soundtrack di Murray Gold per il Doctor Who. Io, di mio, amo il rock. Cosa vuol dire, rock? Un sacco di cose. E infatti mi piacciono un sacco di cose, riconducibili in qualche maniera al rock.

Descriviti come lettore? Quali libri compri? Hai un genere preferito o spazi a seconda del momento, dello stato d’animo? E se devi regalarlo un libro come scegli?

Come lettore sono onnivoro. Non leggo romanzi erotici, in genere, non leggo fantasy troppo scontati (George R.Martin o Gene Wolfe non sono scontati) né cose sui templari. Se devo regalare un libro, cerco di regalarne uno che ho amato anch’io, ma tenendo conto della persona a cui lo regalo… non regalerei “Bassotuba non c’è” a mia zia di 97 anni o “Tropico del cancro” a mio nipote di sei.

Cosa pensi degli eBook? Avvicineranno gli italiani alla lettura? Perché da noi si legge così poco?

Penso che convivranno serenamente con il libro tradizionale, che è un’invenzione talmente perfetta da non essere sostituibile. Come può esistere un cucchiaio perfetto? Il cucchiaio è già perfetto! Come il libro. Vivranno affiancati, libro di carta ed e-book. Da noi si legge poco un po’ perché la televisione commerciale ha devastato il gusto medio degli italiani, un po’ perché la scuola ha fatto passare il concetto di libro come cosa vecchia, noiosa, scritta da un morto. Altro che i Promessi sposi, bisognerebbe far leggere Stephen King o Hunger Games! L’importante è che i ragazzi si affezionino alla lettura e all’oggetto-libro, poi i gusti si affineranno col tempo. Prima di correre bisogna imparare a camminare, no?

Un consiglio ad un esordiente che ha la sua storia nel cassetto?

Per un esordiente direi di cercare su internet i siti per esordienti, e trovare l’editore di riferimento a cui mandarlo. Gli invii a pioggia non servono a nulla: a che serve mandare a un editore che pubblica solo fantasy il vostro romanzo su un serial killer albino?

Ti piace presentare i tuoi libri al pubblico? Una domanda che non ti hanno mai fatto (e a cui avresti voluto rispondere) ed una che t’ha messo in difficoltà?

Sì, mi piace molto. Lo faccio da tredici anni in una sorta di never ending tour… a volte va bene, a volte va male, dipende, ma a me piace sempre e comunque.

Le domande, in tredici anni, ormai me le hanno fatte tutte.

Una domanda che mi ha messo in difficoltà me l’ha fatta un tizio barbuto a Lodi. Voleva assolutamente sapere l’importanza del “senso di realtà” nei miei libri. Ma anche la domanda che mi ha fatto un ergastolano durante un incontro in carcere, quando mi ha chiesto se avevo scritto (in Blackout) di un killer cocainomane perché pensavo che tutti i cocainomani andassero in giro a staccare le facce alla gente, ecco, anche quella non è stata male.

Un autore (o più) che costituisce per te un benchmark. E perché? Quale loro libro consiglieresti ai nostri lettori?

Douglas Adams, “La vita, l’universo e tutto quanto”. Perché è geniale.

Grazie per il tempo che hai voluto dedicarci. Come consuetudine di Giallo e Cucina, ti chiediamo di chiudere con una ricetta ed una citazione!

Non sapendo cucinare neppure un uovo, metto una ricetta che è anche una citazione: Fantozzi cucinato dopo essere finito per sbaglio in una vasca d’acqua a cinquemila gradi.

Da “Fantozzi” (Paolo Villaggio): “Entrano immediatamente dalla porta due valletti in giacca bianca, con un barattolo di mostarda, che lo estraggono, lo sdraiano sul carrello dei bolliti e lo condiscono subito con olio, pepe, sale e un goccio di tabasco. Poi aggiungono un soffritto di cipolla e mirto, che avevano preparato in corridoio, decorano con foglie di lattuga, limone in bocca e carotone (non posso dire dove). Lasciano riposare una mezz’ora e servono in un banchetto di vedove di reduci dalla battaglia di Guadalcanal.”



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