Incontriamo nella sua San Donà Massimo Rossi. Ci aspetta ad un tavolino in piazza. Intervista a cura di Alessandro Noseda.
Buongiorno e grazie per l’accoglienza. Cosa beviamo?
E’ l’ora dello Spritz, un aperitivo che da queste parti è diventato un rito. Adeguatamente bilanciato da strizzare l’occhio a tutti per le sue dosi democratiche di acqua, prosecco e Aperol, agli esteti per il suo bel colore rosso chiaro e il perlage sciccoso, agli affamati per le olive, le patatine, e stuzzichini vari che vengono serviti in compagnia. Di solito ha un prezzo onesto. Ed è nato in Veneto, regione che del bere ha una concezione quasi mistica. Ottimo per fare quattro chiacchiere tra amici.
Ci racconti chi sei e perché leggi e scrivi?
Sono uno dei cento miliardi di organismi viventi appartenenti al genere umano che hanno avuto finora la ventura di vivere sul pianeta Terra. Un battito di ciglia se consideriamo i due milioni di anni trascorsi dalla comparsa dell’uomo. Nessuno può essere così ridicolo da prendersi sul serio! Leggo perché una sola vita non mi basta e cerco disperatamente di appropriarmi di quelle degli altri. Scrivo per esprimere quello che a parole non mi viene, per raccontare storie che nascono casualmente nella mia testa, e che in realtà sono distillati delle mie esperienze, conoscenze, e letture. Alla fine tutto è conseguente a qualcos’altro, come la pioggia che vien giù non perché hai appena lavato la macchina ma perché quelle grosse nuvole si sono incrociate proprio in quel momento sopra la tua testa. E non poteva essere altrimenti.
I tuoi romanzi, come nasce l’idea?
L’idea per un romanzo non nasce. Di solito ti viene addosso, quando più ne sei inconsapevole. Se ti sforzi di trovarla, è molto più probabile cadere in depressione per la delusione del fallimento. Conviene attendere. Capita che sbatti l’alluce sullo spigolo del comodino che sta lì da una vita, e vedi le stelle. A volte è così che si illumina il germoglio di una nuova storia, senza volerlo. Un’immagine che diventa ossessione, un pensiero che ti rincorre come un’ombra. Da qui si parte e si tesse la trama che spesso prende, col tempo, strade diverse. Il germoglio resta, in una pagina, in un capitolo, magari non sarà importante come pensavi all’inizio. Ma è da lì che è nato tutto.
“La luce nera della paura” è la tua ultima fatica. Dove hai trovato spunto? E’ autobiografico? Quanto prendi in prestito alla realtà e quanto è frutto di mera fantasia? Come delinei i personaggi? Segui una scaletta o ti fai guidare dalla storia?
“La luce nera della paura” è una storia imperniata sulle varie forme di paura che ci affliggono. La consapevolezza aumenta la sensazione di paura ma aiuta a difendersi, al contrario, ignorare i pericoli tranquillizza ma espone al rischio. Se il giocattolo di un bambino nasconde una minaccia, e lui non lo sa, che emozioni si possono generare nel lettore, che invece ne è a conoscenza? Nessuna delle mie storie è autobiografica, ma in ognuna di esse ci sono pezzi di vita, vuoi nei personaggi, o nelle ambientazioni. Gli scrittori non sono marziani, tutti attingono al loro vissuto, ravvivandolo con l’immaginazione. Anche chi scrive fantascienza. I miei personaggi sono costruiti decostruendo persone reali e montando insieme pezzi di uno e dell’altro. Così nessuno si può riconoscere in loro e mescolando le carte anche la banalità delle nostre esistenze viene edulcorata.
Mi considero un anarchico dei generi, mi divertono le codifiche letterarie, non mi eccitano le etichette del tipo “è un thriller, è un noir, è una spy story” . Quello che conta è “la storia”, come si racconta, e che emozioni riesce a trasmettere in chi legge. Ciò premesso, mi piacciono le storie drammatiche che non possono funzionare senza una rigorosa disciplina, quindi la scaletta è imprescindibile.
Quali sono state le maggiori difficoltà nella stesura del romanzo? E del rapporto con Editore ed Editor cosa puoi dirci?
Rispetto a “L’ombra del bosco scarno”, questo mio secondo libro molto più complesso, più difficile da scrivere, e necessariamente più maturo. Volendo fare tesoro dell’esperienza precedente, ho pensato a una storia dove vittime e colpevoli si confondono fino alle ultime pagine, senza lasciare certezze al lettore, se non alla fine. Inoltre volevo raccontarla in maniera molto più dinamica, adrenalinica come dicono i recensori, e per far questo il rapporto con le editor (che sono anche le editrici) è stato davvero molto produttivo. Salvaguardare la coerenza della storia, quando si interviene con un editing di un certo rilievo, è un’operazione che comporta sempre sudore e notti insonni. Dai riscontri dei lettori, pare si sia ottenuto ciò che si cercava, e ne approfitto per ringraziare le sorelle Corrado che fanno questo mestiere con straordinaria competenza.
Hai altri progetti in fieri?
Per me scrivere non è mai stata quella sorta di autoterapia estemporanea che molti adottano per provare a sentirsi meglio. Io sono affascinato dalla potenza dell’immaginazione, mi faccio conquistare dalle storie che elabora e le scrivo con la piccola presunzione che possano piacere anche a qualcun altro. Al momento sto lavorando a un progetto con nuovi personaggi. Mi auguro che questa passione non venga mai meno anche se il mondo è cambiato e la mitica figura dello scrittore tanto in voga negli anni passati non esiste più. Il mercato ha preso il sopravvento sul romanticismo, le camarille dei grandi editori dettano legge, i librai boccheggiano, i piccoli soffocano. Il libro è venduto come un prodotto, ma non ha congegni che lo fanno funzionare. Semmai è il libro che fa funzionare chi lo legge, e per questo sarà sempre considerato un oggetto pericoloso.
Descriviti come lettore. Quali libri compri? Hai un genere preferito o spazi a seconda del momento, dello stato d’animo? E se devi regalarlo un libro come lo scegli?
Alla lettura dedico venti – trenta minuti notturni prima di chiudere gli occhi. Sono la mia dose giornaliera di riferimento per un’alimentazione equilibrata del cervello, fatta di narrativa italiana e straniera, intervallata da saggi storici e politici, riviste e quotidiani. Letture ad ampio spettro con poche esclusioni (la poesia per esempio, che se è bella non capisco e se capisco è solo perché è banale). I libri li leggo tutti sempre fino in fondo, a parte uno che, pur avendo vinto un prestigiosissimo premio, mi è risultato illeggibile. Il libro è sempre un bel regalo, e va fatto in base alla persona. Se è una che ama l’apparenza, vado sul libro in classifica e sono certo di non sbagliare. In tal caso esigo che il pacchetto sia fatto con abbondanza di nastri e fiocchetti, così resta ancora più contenta. Se invece è una che legge sul serio allora vado su qualcosa di speciale, poco conosciuto e che magari ho già letto anch’io e mi ha colpito.
Un consiglio a chi ha la propria storia nel cassetto e non ha trovato ancora nessun editore interessato a pubblicarla?
Dopo aver scritto un libro, trovare un editore disposto a investire su uno sconosciuto diventerà nella maggioranza dei casi un’operazione che rasenterà i limiti delle possibilità umane. Per dirla tutta, sarà più facile adocchiare un buon libro esposto nelle vetrine delle librerie di catena che pubblicare senza sborsare un euro. Ma niente è impossibile, io ce l’ho fatta, ognuno ce la può fare! Due consigli mi sento di dare. Uno, non cedere, per nessuna ragione al mondo, agli editori a pagamento, due, “prepararsi prima”. Come? Cercando di crearsi il proprio network sui social, partecipando alle discussioni nei gruppi sui libri, facendosi conoscere in tutti i modi possibili. Se il nome gira, è più facile arrivare alle orecchie degli editor. Poi, incrociare le dita.
Un autore (o più) che costituisce per te un benchmark. E perché? Se ti va, ponigli il quesito che da tempo hai in mente! Magari è tra i lettori del Blog!
Sono legato ad un grande scrittore veneto del novecento, Giuseppe Berto, un intellettuale maestro di stile personalissimo, anarchico innovatore, autore di pagine che trasudano intima sofferenza raccontata con delicatezza. Negli anni dell’adolescenza mi ero invaghito di lui, tanto da leggere ogni suo libro. Non capivo come si poteva diventare così bravi, non riuscivo nemmeno a copiarlo. E sta tutta qui la differenza tra uno scrittore e un grande scrittore, in questa impossibilità di essere imitato.
Si parla di un “movimento noir” del a Nord-Est. Tu, Bovo, Romero, Pasini, Porazzi, Strukul… che ne pensi? Come mai?
E’ chiaro che la crisi economica che ha trascinato il nord-est dalle stelle alle stalle ha prodotto, come derivata prima, disoccupati, depressi, e suicidi. Come derivata seconda, scrittori. Il noir è un buon contenitore per descrivere il disagio sociale, e per questo vive il suo momento di gloria. Speriamo duri a lungo, anche dopo la fine di questa crisi che ormai ha stancato più delle buffonate dei nostri politici.
Grazie del tuo tempo! In cambio di una citazione e una ricetta siamo disposti a liberare l’ostaggio!
“When the going gets tough, the toughs get going!” E’ un’ esortazione a noi stessi, alla nostra forza, ad agire e non aspettare che arrivino gli altri a risolvere i nostri problemi.
Per la ricetta, ve ne do una semplice, anche perché quelle difficili non le so fare. Serve una pasta corta, tipo pipe o conchiglie. Il sugo è a base di pancetta affumicata, rosmarino e vino rosso. Si trita con la mezzaluna abbondante rosmarino e si mette a soffriggere nell’olio insieme alla pancetta tagliata a dadini. Quando è rosolata si aggiunge un bicchiere di vino rosso e si lascia per altri 5-10 minuti (la pancetta non deve indurirsi troppo e il vino non deve evaporare del tutto). Si versa direttamente sulla pasta nel piatto, insieme al parmigiano. Sfiziosissima e semplicissima. Grazie e alla prossima.