Magazine Cucina

Oggi parliamo con… Roberto Carboni

Da Gialloecucina

Incontriamo nella sua Bologna Roberto Carboni, ora in libreria con “L’ammiratore”, (intervista a cura di A. Noseda).

Buongiorno Roberto e grazie del tuo tempo! Raccontati a Giallo e Cucina. Qualcosa che i lettori ancora non sanno?

Buongiorno a voi! Forse alcuni miei lettori non sanno che non c’è nulla che non sanno. Non ho filtri, dico (e scrivo) sempre, esattamente ciò che ho dentro. Stati d’animo, ansie, paure, gioie. E questa genuinità (che per me è solo ricerca del vero) trapela nelle mie storie e inquina la finzione. La finzione è una cosa serissima. Con una parte del cervello il lettore vuole sognare mentre con l’altra scannerizza con esigenza, esige verità o almeno plausibilità assoluta.

Io vibro di emozioni e so riprodurle con le parole. Sostanzialmente sono un bambino che scrive come un adulto.

Perché leggi e scrivi?

Perché i miei occhi sono montati alla rovescio, io mi guardo dentro, più che osservare fuori. Del “fuori” ho poco bisogno, mi bastano pochissimi stimoli. Il resto è introspezione. Metto in relazione realtà e fantasia da una parte e la mia emotività dall’altra.

Sono sempre presente in ciò che scrivo. Non si finisce mai di conoscere se stessi, per questo non conosco crisi creativa. Ho scritto 10 romanzi e centinaia di racconti in cinque anni. Ora sto lavorando a due romanzi contemporaneamente e avrei decine di idee da sviluppare. Ma ognuna di queste idee mi coinvolge emotivamente, altrimenti non potrei nemmeno pensare di occuparmene perché il lettore percepirebbe il mio disinteresse, freddezza. Percepirebbe il mio cervello ma non il mio cuore e il mio stomaco.

Altre passioni?

Ho giocato a scacchi agonisticamente per trent’anni, con qualche soddisfazione. Ho suonato il piano, studiato composizione. Per natura immagazzino dati. Nuoto e corro per resettare la testa. Amo il cinema, Woody Allen, Sergio Leone e molti registi francesi come Chabrol, Leconte… (e italiani e spagnoli e… uff! Amo il cinema). Ascolto musica. Classica (cosa non è, Mahler!), jazz, opera, rock fino al punk. Leggo testi psichiatrici, insegno scrittura creativa… Ma posso anche sdraiarmi su un prato e guardare il cielo (anche se non ci sono nuvole da associare a qualcosa).

Il noir. Come lo definiresti? Cosa ha questo genere che tanto ti affascina?

Il noir (almeno il mio) è un De-Genere. Il giallo è un genere, con le sue trite regole. Ci dice chi sono i buoni e chi i cattivi. Ci spiega sempre tutto, perché pone poche domande alle quali deve rispondere in maniera esaustiva: chi è l’assassino, perché l’ha fatto… Il giallo va immancabilmente verso la luce. Il professor Galimberti direbbe che appartiene al pensiero cristiano: passato (c’è stato un omicidio) di peccato. Presente di analisi: ricerca, evoluzione. Futuro rassicurante: criminale assicurato alla giustizia. Spinta verso una società migliore, redenzione.

Il noir (il mio noir) è un contenitore, non un genere, perché un genere ha bisogno di regole. Io sono caos, entropia. De-generazione della storia, annichilimento. Vado a testa bassa verso il buio, scavo l’abisso dei disturbi della personalità, mi occupo di tessuto umano degenerato e dei suoi contatti con un mondo differentemente degenerato. Nel senso che il giallo pensa utopisticamente che la società sia sana e il criminale malato. Nel mio noir l’intera società è malata (mi sembra che corrisponda alla realtà borderline in cui viviamo) e il criminale è solo differentemente guasto dal marciume che lo circonda. Nessuno è bianco o nero, siamo tutti differenti tinte di grigio.

Inoltre io non giudico. Ho troppo rispetto per il lettore per arrogarmi il diritto di spiegargli cosa è giusto e cosa non lo è. Le mie storie sono a-morali. Non nel senso di im-morali. La morale deve metterla il lettore, che si specchierà nella storia. Sarà lui a prendere la propria posizione. E questo permetterà al mio romanzo di lavorare anche a lettura finita, proprio perché lascia aperte domande sia dinamiche che etiche. Diventa un compagno di viaggio, diventa pensiero.

L’ammiratore è la tua ultima fatica. Tre valide ragioni per comprarlo?

Umilmente, credo sia una storia mai letta prima, che non lascia respiro fin dalla prima pagina. Senza tempi morti. E’ stata scritta per creare angoscia e dipendenza fino alla fine. Per inquinare la ragione del lettore. E’ un attentato alla stabilità dei nervi del lettore. Credo sia una bella esperienza, e comunque mi è valsa il Nettuno d’oro, il più importante riconoscimento bolognese, che è stato prima di me di Lucio Dalla, Enzo Biagi, Pupi Avati, Carlo Lucarelli…

Credo che L’Ammiratore sia un luna park per adulti, che vale i soldi del biglietto.

Progetti in cantiere?

Due romanzi cominciati, molti laboratori di scrittura, alcuni finalizzati su come costruire una trama, altri che sto perfezionando grazie alla collaborazione lavorativa con diversi psicologi e psichiatri, che riguardano la creazione del personaggio partendo da una indagine psicologica, proprio come farebbe uno psicoterapeuta. Questa nuova visione profonda e scientifica crea personaggi – e le loro interazioni – assolutamente tridimensionali. Incoerenti e credibili proprio come sono gli esseri umani più singolari.

Ne sono entusiasta, si capisce?

Quali libri compri e perché?

Uff! Di tutto. Romanzi, biografie, simbolismo, saggi. Con il suo sguardo deformato, lo scrittore si propone di riprodurre la società. Polline-miele. Qualsiasi testo, informazione, può essere introiettata e trasformata, trasfigurata, trasportata… il limite è costituito solo dal nostro talento.

Due autori che consideri imperdibili?

Duecento… duemila… quasi tutti hanno qualcosa da insegnarti. Anche quelli che proprio non ti vanno giù. Se qualcosa non ti piace, cerca di capire il perché e migliorerai di conseguenza. Comunque, in ordine sparso, Nabokov, Philip Roth, Fante, Ellroy (I miei luoghi oscuri, in particolare), Dostoevskij, Josephine Hart… e un autore che non posso dire, perché ha scritto la più brutta prima pagina che io abbia mai letto. Un vero concentrato di errori e insensibilità artistica. E mi ha aiutato tantissimo a capire cosa non si deve fare.

Un consiglio a chi ha il sogno di pubblicare?

Desiderare significa de-siderale. Cioè smettere di contemplare il cielo e darsi da fare. I sogni e li abbiamo già. Quasi tutti siamo creativi, quello che manca è la tecnica per rendere affilate le parole. Il senso della frase, la propria Voce di scrittore. Scrivere è un mestiere e bisogna impararlo. Riguardo la fantasia, quando mi chiedono quale sia il suo segreto, mi domando come sia possibile non averne. Tutti i bambini sanno sognare. La fantasia non va fatta crescere, va solo ritrovata. Sotto gli strati di convenzioni che abbiamo ammassato nel corso della nostra esistenza di brave persone (anche troppo brave).

Grazie per la chiacchierata. Come consuetudine di Giallo e Cucina ti chiediamo una ricetta e una citazione che ami!

Perseverare, perseverare e perseverare, è umano.

Adoro le insalate. Colleziono tazze da te, ma pure insalatiere.

Una base di insalata e sopra cubetti di avocado, fette di cuori di palma, gamberoni bolliti o salmone alla piastra spezzettato, pompelmo rosa, spezie Tandoori masala, goccio d’olio, un filo di aceto balsamico (aceto balsamico sul serio, non quello da un euro la damigiana).

Il tutto in composizione armonica.

Un bicchiere di Gewurztraminer, qualche candela e Astor Piazolla come sottofondo.



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