L’ospite di oggi, intervistato da Alessandro Noseda, è Umberto De Agostino, autore dei noir “Il brigante e la mondina” e, fresco di stampa, “La contessa nera”.
Ci racconti chi sei?
«Sono giornalista da circa vent’anni. Abito in Lomellina, terra di risaie che, nelle varie epoche storiche, ha oscillato fra Lombardia e Piemonte. Terra fertile e rigogliosa, da cui ho attinto per i due noir pubblicati da Fratelli Frilli Editori e per altri precedenti libri di saggistica locale.»
Com’è nata l’idea del tuo ultimo noir? Dove hai trovato spunto?
«Ho attinto alla storia locale, mia fonte d’ispirazione. La Lomellina è stata una terra “rossa” all’inizio del Novecento e poi è diventata, giocoforza, “nera” nel biennio 1921-1922. In un piccolo paese, Semiana, ha operato una spietata squadra d’azione fascista comandata da una contessa, Giulia Mattavelli. Ho pescato in questa storia di violenza, che ruota attorno a un omicidio commesso nel castello, per raccontare un periodo cruciale della storia del nostro territorio e anche d’Italia.»
Perché i lettori dovrebbero scegliere il tuo romanzo? Convincici ad acquistarlo!
«Perché questo racconto non racchiude in sé solo una dimensione localistica, ma rappresenta un paradigma della storia nazionale. Un paradigma decisivo, che spianò la strada al fascismo e alla dittatura radendo al suolo le conquiste, sia sindacali sia organizzative (cooperative, case del popolo e altro), della massa bracciantile. Guardando attraverso questo binocolo, si scorge più ravvicinata la storia del nostro Paese nel momento in cui perse la libertà. Comunque, non vorrei dimenticare i particolari piccanti che circondano la figura della contessa, di Benito Mussolini e del ras fascista Cesare Forni.»
Quanto prendi in prestito dalla realtà e quanto è parto di fantasia?
«Per i due noir ho pescato molto nei fatti storici. Personaggi e vicende studiati attraverso i documenti d’archivio, come gli atti comunali e i giornali dell’epoca, mi hanno aiutato a confezionare la trama. Chiaramente, trattandosi di un romanzo, ci sono alcune parti inventate che fanno da collante, ma ritengo che questi si possano tranquillamente definire noir storici.»
Scrivere un romanzo richiede tempo e documentazione. Come affronti l’impegno?
«Fortunatamente, per i primi due lavori, ho utilizzato materiale già presente fra le mura di casa, derivante in parte dalla tesi di laurea e in parte da ricerche successive. Una buona fetta di notizie utili, comunque, proviene da ricordi di famiglia, dalle conversazioni con i miei nonni, testimoni diretti e indiretti del mondo che racconto.»
Come disegni i personaggi? Segui una scaletta o ti fai guidare dalla storia?
«I personaggi principali sono delineati a tavolino, ma scrivendo, pagina dopo pagina, mi viene l’ispirazione per le figure di contorno. Per esempio, ne “La contessa nera” ho inserito solo cammin facendo la figura dell’adolescente Aurelio, che poi si sarebbe rivelata fondamentale per lo sviluppo della narrazione.»
Dove scrivi? Hai un “luogo segreto” dove trovi ispirazione? Preferisci il silenzio o ami musica di sottofondo?
«Scrivo nel mio studio perché mi piace essere circondato di libri, di documenti e di immagini da cui trarre ispirazione. Qui posso “respirare” la storia che sto raccontando. Preferisco scrivere in silenzio, ascoltando il battito delle dita sulla tastiera. Amo molto la musica, ma in questi momenti mi distrarrebbe».
Hai altri progetti in fieri?
«Per il momento mi voglio dedicare alla promozione della “Contessa nera”, ma verso l’estate inizierò ad abbozzare il terzo romanzo, che dovrebbe essere ambientato al tempo della Seconda guerra mondiale. Essendo anche appassionato di storia romana, però, non nascondo di volermi cimentare in una storia d’azione ambientata 2.000 anni fa.»
Del rapporto con editor ed editore che cosa puoi dirci?
«Con Riccardo Sedini, mio editor e agente letterario, ho un ottimo rapporto. Alla fine del 2012 mi ha segnalato a Frilli Editori e, di recente, ha sostenuto con passione la pubblicazione del secondo noir. Giriamo molto spesso insieme i paesi della Lomellina per presentare i libri. Gli amici genovesi Marco e Carlo Frilli hanno creduto in me stampando il primo noir, ora alla seconda edizione, e poi pubblicando il secondo. Il rapporto, malgrado la distanza, è incentrato sul proficuo scambio di opinioni e di suggerimenti.»
Ti piace presentare i tuoi libri al pubblico? Una domanda che ti ha messo in difficoltà e una che non ti hanno mai posto (e a cui avresti voluto rispondere)?
«Sì, mi stimola il contatto diretto con il pubblico. Attendo sempre con trepidazione il momento delle domande per conoscere il grado di interesse suscitato nei lettori. Così percepisco se il mio lavoro è stato vano… Domande: mi sono trovato in difficoltà quando mi hanno voluto conoscere in quale personaggio de “Il brigante e la mondina” mi identifico: mi sono trovato indeciso fra la mondina, figura mitica per motivi personali e storici, e il maresciallo Pesenti, uomo integerrimo e ligio al dovere, che ritorna anche ne “La contessa nera”. Ho scelto, non senza difficoltà, la prima. Una domanda ancora inedita è: “L’ambientazione dei tuoi noir rimarrà sempre la Lomellina?”. Per la risposta, dovrete venire a una delle prossime presentazioni…».
Descriviti come lettore: quali libri compri? Hai un genere preferito o spazi secondo lo stato d’animo?
«Il peccato originale della storia è difficile da espiare. Amo leggere principalmente saggi storici e anche libri scritti da giornalisti o che parlano di giornalisti (Montanelli, Biagi, Bocca, Bob Woodward). Sinceramente non ho letto molti gialli o noir. Mi piace citare “L’inverno dei mongoli” del piemontese Edoardo Angelino, stampato da Einaudi nel 1995, che è comunque legato alla storia perché ambientato negli ultimi mesi della Seconda guerra mondiale. Comunque, un cenno doveroso va riservato a “Il nome della rosa” di Eco, che rimane il genere da me preferito (giallo “molto storico”): lo lessi quando ero al liceo e, da allora, lo riprendo in mano spesso. Mi dà la carica».
Un autore che costituisce per te un riferimento e perché.
«L’inglese Robert Harris. Scrive in modo molto chiaro, diretto, senza fronzoli. Individua i personaggi scavando nel loro intimo al punto giusto, sempre equilibrando i vari livelli del libro. È un riferimento perché affonda i suoi romanzi nella storia documentata, esaminando dettagli e situazioni in modo puntuale. Per esempio, ha rivalutato la figura di Tirone, inventore di uno dei sistemi stenografici più usati in passato».
Quale suo libro consiglieresti ai nostri lettori?
«Il suo romanzo “Fatherland” è per me una continua fonte d’ispirazione. Questo giallo fantapolitico uscì nel 1992 e io lo lessi forse due anni dopo: rimasi subito affascinato da questa ucronia, termine tradotto in italiano come storia alternativa, ma letteralmente “(storia) senza tempo”. Leggere di un’Europa degli anni Sessanta ancora dominata da Hitler è stato ed è sempre entusiasmante. Poi non dobbiamo dimenticare i libri sulla storia di Roma: da “Pompei” ai due sulla vita di Marco Tullio Cicerone raccontati attraverso l’io narrante del suo segretario Tirone».
Grazie del tuo tempo. Come tradizione di Giallo e Cucina ti preghiamo di lasciarci con una ricetta e una citazione.
«Iniziamo con la citazione. Impossibile non riportare le parole di Eco: “Chi non legge, a settant’anni avrà vissuto una sola vita: la propria. Chi legge avrà vissuto 5.000 anni: c’era quando Caino uccise Abele, quando Renzo sposò Lucia, quando Leopardi ammirava l’infinito. Perché la lettura è un’immortalità all’indietro”. Leggere significa volare attraverso i secoli, dialogare con i miliardi di uomini e di donne che ci hanno preceduto, sentirsi parte di un tutto.
E ora la ricetta. Ovviamente appartiene alla tradizione gastronomica della Lomellina ed è anche uno dei piatti che mi cucinava la nonna mondina… Si tratta delle rane in guazzetto.
Ingredienti per quattro persone: 800 gr. di rane già pulite, 50 gr. di burro, 50 gr. di olio di oliva, due cipolle, due coste di sedano, una manciata di prezzemolo, quattro pomodori maturi, aglio, vino bianco secco, farina bianca, sale e pepe.
Preparazione: tagliate finemente le cipolle, il sedano e il prezzemolo. Fateli tostare in olio e burro unendo due spicchi di aglio interi. Quando saranno colorite unite le rane pulite e, dopo dieci minuti di cottura a fuoco vivace, versatevi sopra un bicchiere di vino bianco secco. Lasciatelo evaporare, poi unite un pizzico di farina bianca, i pomodori freschi pelati e tritati, sale e poco pepe. Cuocere a fiamma moderata per circa un quarto d’ora, poi servite ben caldo».
Grazie a voi per l’intervista!