Della Vukovar barocca, delle sue arcate e delle sue viuzze per i turisti dell’est, rimane poco: rimangono in piedi le colonne del bar Diksi, la Torre dell’acqua, e la facciata della Chiesa di Sv. Filip i Jakov sfreggiata con scritte di guerra.
Rimangono le macerie, le mine, e i corpi immobili sparsi tra le strade percorse dai paramilitari che in coro cantano “Slobodan, Slobodan, portaci l’insalata ché ci sarà carne, ci sarà carne: oggi macelleremo i croati!”.
Di Vukovar rimane il ricordo di una città europea sotto assedio, a poche ore dai confini italiani, a vent’anni da oggi.