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La trama (con parole mie): per i Miami Sharks la stagione sta prendendo una brutta piega, dopo tre sconfitte di seguito in grado di minare la fiducia della squadra rispetto al raggiungimento dei playoff, quella dell'arrivista proprietaria del club Christina Pagniacci, dei tifosi e dei giornalisti.Il vecchio leone Tony D'Amato, sulla stessa panchina da oltre vent'anni, vacilla, resistendo soltanto grazie alle meraviglie dei due veterani Jack Rooney e Luther "Shark" Lavay: quando, nel corso di una partita, proprio Rooney ed il quarterback di riserva Tyler Cherubini rimangono infortunati, l'unica alternativa sarà data dalla terza scelta per il ruolo, il giovane Willie Beamen.Proprio il ragazzo sarà il motore di una vera e propria rivoluzione all'interno della squadra, portata a colpi di talento cristallino e colpi di testa da neo-superstar, che significherà per gli Sharks un nuovo, incredibile capitolo della loro storia.
Personalmente, non ho mai coltivato un amore particolarmente travolgente per Oliver Stone: certo, le sue pellicole spesso e volentieri sono un concentrato perfetto di quelli che sono i difetti - ed i punti di forza - degli Stati Uniti e della loro filosofia da "larger than life" a tutti i costi, ed ammetto che molte continuano ad emozionarmi incondizionatamente visione dopo visione, eppure, forse dalla ferita aperta che è ancora Platoon - per me una pallidissima imitazione di Apocalypse Now -, non sono mai riuscito a considerare il regista di New York come uno dei favoriti fordiani per eccellenza.
Nonostante questo, e con tutte le mie forze, adoro incondizionatamente Ogni maledetta domenica.
Nel Cinema moderno - parlo degli ultimi trent'anni - credo non esista un ritratto migliore del grande circo - anche e soprattutto mediatico - degli sport da incassi milionari nonchè dell'etica del gioco di squadra come in questa pellicola esagerata e sopra le righe, kitsch e clamorosamente emozionante: soltanto Friday night lights- serie ormai di culto in casa Ford, anch'essa incentrata sul football -, pur se in misura diversa, è riuscita negli ultimi mesi a rispolverare l'adrenalina ed il batticuore di una finale, o di quelle partite giocate sul filo dei secondi.
Chiunque, al campetto con gli amici o in una società, abbia praticato uno sport di squadra almeno una volta nella vita, conoscerà bene il brivido che percorre la schiena quando ci si gioca tutto fino all'ultima azione, e anche da semplici spettatori, che seguiate il calcio - l'equivalente nostrano del football per gli States -, il basket, il rugby o qualsiasi altra disciplina collettiva, penso che le emozioni regalate dai match più importanti possano essere sentite sulla pelle e dritte nell'anima pur non calcando il terreno di gioco: ricordo benissimo - almeno fino ad un certo punto della nottata - la vittoria dell'Italia ai Mondiali del 2006, che vissi praticamente senza muovermi o parlare, teso come la corda di un violino - e con Julez urlante accanto - fino all'ultimo, liberatorio rigore di Grosso.
E da quel momento furono Cuba Libre come se piovesse.
Ogni maledetta domenica è associabile ad una finale: brividi, tensione alle stelle e fiato grosso.
E poco importano la regia iperadrenalinica di Stone, la fotografia satura, la colonna sonora spettacolare che incornicia le intepretazioni - tutte ottime - di un cast a dir poco stellare, una durata che finisce per non farsi sentire neppure di striscio, un climax emotivo che continua come un'onda lunga anche al termine dell'ultima partita, addirittura fino all'inizio dei titoli di coda.
Quello che importa, in Ogni maledetta domenica, sono i centimetri.
Quelli dell'ormai supercult discorso di Tony D'Amato/Al Pacino ai suoi giocatori prima del match decisivo in casa della squadra texana - e quale stato è più associabile al football professionistico del Texas? -, ormai un passo obbligato di quasi tutti i corsi di formazione aziendali e sportivi, quelli di Jack "Cap" Rooney, che la vecchia stella deve sperare di guadagnare agli occhi di una moglie che non lo vorrebbe prossimo al ritiro, di Luther "Shark" Lavay - un gigantesco, in tutti i sensi, Lawrence Taylor, interprete di una parte che pare un omaggio alla sua incredibile carriera di giocatore professionista -, disposto a sacrificare tutto se stesso perchè quel bonus sui placcaggi possa garantire un futuro alla sua famiglia, di Willie Beamen, astro nascente che ancora deve capire quanto grande sia la fatica che si spende ogni maledetta domenica per vincere o perdere.
Perchè non importa chi vince e chi perde, l'importante sarà vincere o perdere da uomini.
Parola del coach D'Amato.
E chi non è con lui, in fondo?
Dalla parte di un nocchiero imperfetto e squilibrato, che ai calcoli del giovane erede sulla panchina degli Sharks Nick Crozier risponde con l'istinto del campo di gioco, delle dita sbiancate dei difensori che puntano il quarterback e quelle danzanti dei ricevitori ansiosi di avere tra le mani il pallone, gli occhi alla linea del touchdown, neanche fosse la donna della loro vita.
Dalla parte di un uomo che ha fatto tutti gli errori possibili, e a tavola con quello che potrebbe essere il giocatore più talentuoso che abbia mai allenato, non teme di mettere lo stesso di fronte alle sue responsabilità di futuro numero uno: una battaglia generazionale con le bighe di Ben Hur che corrono in sottofondo.
Perchè i giocatori di football professionistico sono come gladiatori, come ben sa il medico molto compiacente Harvey/James Woods, che ha sacrificato l'etica in nome degli ideali più o meno legati al successo e ai soldi degli uomini che ha visto spezzarsi osso dopo osso in tutti gli anni passati con gli Sharks.
Perchè ci sono molte cose che possono motivare un uomo - e uno sportivo - ad andare fino in fondo, sacrificando tutto il possibile - e anche di più - per quei centimetri che paiono miseri, ma che, alla fine, andranno a sommarsi per definire la vittoria o la sconfitta da Uomini: il coach D'Amato, riferendosi ad un suo vecchio pupillo, racconta di come lo stesso gli abbia confessato il fatto che non gli manchino i dollari, o il successo, o la folla, o le ragazze, quanto i suoi dieci compagni d'attacco: "Perchè quando ci muovevamo, ci muovevamo come fossimo un corpo solo."
"Ho imparato più da Cap Rooney nel primo tempo di questa partita che in cinque anni di football professionistico", dichiara Willie Beamen, pronto a prendere le redini della squadra nella speranza di superare le linee texane.
L'ispirazione del singolo e la confortevole sensazione di avere qualcuno pronto a pararti il culo quando un bestione di centocinquanta chili carica perchè è proprio te, che vuole schiantare a terra.
Non esistono doni dell'invisibilità: esistono solo i centimetri, e tutto il sangue che sputiamo accanto ai nostri compagni di lotta dall'inizio alla fine di una partita.
Quali siano il campo e lo sport che la muovono, non importa.
L'importante sarà potersi guardare attorno, e sapere che chi è dalla nostra parte della barricata sarà lì, piantato a terra o lanciato verso l'orizzonte di una linea apparentemente insignificante, a definire il nostro prossimo passo.
A quel punto, non basterà che alzare la testa e lanciare la palla.
Chissà che non sarà il centimetro decisivo, quello che andremo a sommare a tutti gli altri.
MrFord
"Sacrifice don't give up the fight,
everything will be all right on any given Sunday
The harder they come the hard, yeah the harder they must fall
Depends on you if you win or lose,
you know you got to pay some dues so that you can live on MondayStrive to achieve and die in for what you believe."Jamie Foxx - "Any given Sunday" -
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