Il solito elenco della minchia delle 10 cose più eccetera eccetera questa volta inizia con un frase tipo starsene sotto le lenzuola al caldo mentre fuori il rumore della pioggia è coperto a tratti dai vicini che chiudono la porta e vanno al lavoro. Ne deduco che tu sia un benestante, o almeno in quell’interstizio in cui uno prende la residenza quando ha vinto una bella somma a qualche lotteria o ha accumulato facili quattrini con attività illecite. Ma è curioso che a nessuno venga in mente che magari si tratta di uno che fa o si è occupato in passato di qualche mestiere redditizio, o ha imbroccato una hit o il format di un programma tv di successo, non si può mai sapere. Mi piace pensare comunque che ti sei trasferito in questo paesino dell’entroterra dove nessuno sceglierebbe di vivere a meno di non essere un impiegato del municipio o per occuparsi di attività come l’insegnante della scuola media in cui probabilmente c’è un’unica classe, considerando a quanto ammonta la popolazione, dicevo che ti sei trasferito qui per una sorta di performance situazionista, sicuramente consentita dall’agiatezza, una rappresentazione del non fare un cazzo se non sopravvivere. Nessuno può trovare un lavoro in questo posto, perché in questo posto non c’è niente, quindi resta il tempo da trascorrere. Il bianco mosso all’unico bar prima di pranzo. L’approvvigionamento nei due o tre negozietti del paese, che in inverno è freddo e deserto mentre in estate qualche centinaio di amanti della vacanza solitaria vivacizza un po’ l’unica via del centro. Restano i pasti principali e il coricarsi la sera. Basta. Uno stile di vita su cui comunque metterei la firma rispetto a quelli che passano settimane a Francoforte, a Shanghai o a Denver per quelle fiere internazionali di settore in cui tutta la tua vita che è fatta di lavoro ma anche di passioni che coltivi a casa – a partire da qualche legame sentimentale con una moglie e dei figli – si deve trapiantare all’estero in posti dove poi ci sono tessere magnetiche di camere d’albergo da riporre in uno degli slot del portafogli dedicato alle carte e asciugamani che non sono quelli che profumano dell’ammorbidente che si usa a casa, nel buio perpetuo artificiale della notte dietro tende così spesse che altrove avrebbero solo la funzione di paramento per lugubri feretri. Per il resto nemmeno una sillaba, nemmeno l’abbaiare dei cani che ti inseguono se provi a farti una passeggiata al buio nelle poche ore libere ha un che di familiare. Subentrano però tutti i malesseri dell’alimentazione provvisoria, quella della trasferta con i condimenti trasgressivi e le verdure di circostanza, un mix che va ad espandersi nello stomaco gonfiato dall’illusorio ristoro dell’alcool amico per un massa in crescita come unico souvenir che poi ci si riporta di ritorno a casa, fino al rientro dall’aeroporto a casa fatto rischiosamente in terza corsia – quella di sinistra – accelerando forte per lasciarsi tutto il più indietro possibile.
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