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Ogni partita di rugby è un’Olimpiade

Creato il 11 luglio 2012 da Basil7

di Beniamino Franceschini

Pur escluso dai Giochi, il rugby è profondamente olimpico, poiché vanta un sistema valoriale che corrisponde all’etica sportiva in senso assoluto: il timore non è perdere, bensì non onorare il campo, la maglia, l’avversario.

Ogni partita di rugby è un’Olimpiade.

Recentemente, sono stato colpito dalla serie di pubblicità di Edison, con un “tenero” Martin Castrogiovanni, pilone della Nazionale di rugby, che, pur di arrivare alle Olimpiadi di Londra, dove – ahimè – non potrà andare, si cimenta con varie discipline sportive. Al di là dell’ironia, della velata malinconia, del sorriso che quelle promozioni suscitano, mi sono fermato un attimo a riflettere sul paradosso dell’assenza dai Giochi olimpici del rugby, il quale, invece, rappresenta e incarna i valori per eccellenza dello sport, derivanti, ben prima che da De Coubertin, dall’antichità greca: forza fisica, senso dell’onore, spirito di sacrificio, rispetto dell’avversario, etica della vittoria e della sconfitta. Certo, col tempo si è perso il carattere marziale, ma il concetto che quei princìpi unitariamente esaltano – l’agonismo quale elevazione assoluta e universale dell’Umanità – è rimasto inalterato.

Nel rugby ciò è presente. Non tutti i giocatori hanno fisici scolpiti, ma questo non significa che essi non abbiano una preparazione atletica ampiamente superiore alla media. Mentre in altre discipline, soprattutto nel calcio, si discute se sia opportuno continuare a segnare fintanto che se ne presenti l’occasione, anche se l’altra squadra si è ormai arresa (si veda il 7-0 del Barcellona contro il Bayer Leverkusen, o il 4-0 in Spagna-Italia), nel rugby il problema non sussiste. I rugbisti, infatti, hanno ferreo rispetto per l’avversario, ma non compassione, cosicché parrebbe un’offesa gravissima se chi avesse la partita in pugno si adagiasse sugli allori: una tale condotta renderebbe la vittoria un successo indegno. Nel rugby si lotta, i giocatori devono resistere fisicamente agli urti, tentando di contrastare il fango scivoloso, combattendo la fatica di rialzarsi continuamente, preparandosi a cadere entro breve. Che l’importante sia partecipare e non vincere è vero solo in parte, poiché, legittimamente, oltre ai propositi cavallereschi, tutti preferiamo salire sul gradino più alto del podio: lo spirito olimpico, però, sta nell’avere consapevolezza sia dei propri limiti, in quanto punti di partenza verso il miglioramento, sia della grandezza del concorrente, ossia, in poche parole, saper vincere e, allo stesso modo, perdere. Anche i rugbisti, ovviamente, preferiscono il successo; eppure il loro timore principale non è la sconfitta, bensì l’eventualità di non onorare il campo, la maglia, l’avversario.

Ogni partita di rugby è un’Olimpiade.

Sui motivi per i quali il rugby non è più alle Olimpiadi (fu presente, infatti, alle edizioni del 1900, 1908, 1920 e 1924) si potrebbe discutere delle ore, citando i regolamenti del CIO e la ritrosia dei singoli Paesi della Gran Bretagna a gareggiare sotto un’unica bandiera: in realtà, il vero problema è che i Giochi durano al massimo una ventina di giorni, un periodo troppo ridotto in rapporto al tempo che un rugbista impiega per recuperare fisicamente da una partita, cosicché sarebbe difficile per ogni squadra giocare più di tre o quattro incontri nell’arco della competizione. Il rugby tornerà a Rio de Janeiro nel 2016, sebbene nella versione a 7: certo – non me ne vogliano eventuali giocatori di questa variante – l’effetto non è quello del regolamento a 15, e in molti si chiedono se davvero valga la pena inserire nel programma olimpico questa disciplina. In ogni modo, il rugby mantiene sempre una propria poesia, un po’ rude, brusca, talvolta difficile da comprendere, ma rigida nella metrica e nello stile, nei valori e nei princìpi. Avvicinarsi a questa disciplina, all’inizio può essere complesso e insoddisfacente, magari come il primo sorso di certi tipi whisky: spigoloso, senza un sapore definito, talmente forte da storcere la bocca. Poi, si cominciano a riconoscere le geometrie in campo, le impronte dei tacchetti nel fango, le macchie di sangue sulle maglie, i gesti di raffinatissima tecnica ed estremo atletismo, nonché le invenzioni tattiche degne di un generale. A quel punto, che ci si appassioni o no al rugby, è inevitabile riconoscere a questo sport un sistema valoriale nobile e complesso: una vera e propria etica che assolutamente corrisponde a quella delle Olimpiadi antiche e contemporanee.

Beniamino Franceschini

Ogni partita di rugby è un’Olimpiade.

da FANPAGE


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