Ognuno ha i suoi problemi

Creato il 06 aprile 2010 da Meandy
Dire che il lavoro mi rende molto occupata in questo periodo sarebbe come dire che a Londra è arrivata la Primavera.
I daffodil colorano di giallo i grandi prati verdi ma questo non indica un cambiamento di stagione, così come il fatto che sieda spesso davanti ad un computer o giri in camice con aria corrucciata non implica che stia facendo il mio lavoro.
Peccato, perchè i presupposti c'erano.
E' che le persone come me a volte corrono troppo su un binario che considerano scontato, per poi fermarsi alla fine del viaggio e non ricordarsi più che tragitto volevano percorrere.
E dunque, dove eravamo rimasti?
Il collega che siede davanti a me nel nostro open space è molto più giovane di me, anche se non lo sa. L'altra cosa che non sa è che è morto da tempo, ma per uno strano procedimento bio-chimico il suo corpo continua a timbrare il cartellino ogni mattina, tra l'altro con largo anticipo.
Arriva alle 8.45 con un caffè di Starbucks stretto tra le mani e (secondo me) odora di infante, latte e moccolo tipico dei bambini. Dice Buongiorno, come se non mi avesse mai visto prima. Che son 4 mesi che mi vede, e non ha scuse. Alle 9 siede alla sua postazione per poi alzarcisi alle 13 per un hamburger alla canteen (dicendo a noi colleghe sempre la stessa frase " do you want any food"), hamburgher che mangia sulla tastiera, con tutti gli effetti collaterali del caso (briciole, senape, ketchup, odore che si diffonde) per poi tirare avanti fino alle sei, quando si stira all'indietro rischiando di cadere e se ne va lanciandoci un timido sorriso.
Io, in 4 mesi qui, non so niente di lui. Per una come me, discendente diretta del divano, bisognosa di gossip, rivelazioni, dettagli peccanti è come vivere in una cella d'isolamento, una Guantanamo Albionica, e sono a forte rischio depressione e perchè no suicidio e perchè no anche cellulite.
Così è partita la fantasia, come quelle vecchie pettegole meridionali (da cui direttamente discendo, in realtà) che, non sapendo di cosa sparlare, inventavano improbabili quanto affascinanti storie.
Ieri il mio collega è uscito dal lavoro tardissimo. Era buio e una pioggerellina sottile gli bagnava il volto, la famosa english mist. Al parcheggio delle bici vede una ragazza afro-caraibica affannarsi intorno alla bicicletta, probabilmente la sua. Lei sente di essere osservata e si volta. " Mi si è rotto il lucchetto" gli dice scandendo lentamente le parole con una bocca gonfia di sesso. Lui deglutisce, alza le maniche della camicia e si china verso di lei con un sorriso, pronto per armeggiare intorno al lucchetto incastrato e dare un occhiata alla scollatura profonda come le Grotte di Frasassi .
Dieci minuti dopo sono al pub di fronte, primo cuba libre. Lei ha labbra ancora più grosse e ora, nota lui, anche rosse, forse per il freddo o forse perchè gioca strusciandoci sopra il ghiaccio.
Vieni a casa mia, dice lei dopo il settimo bicchiere, abito qui vicino.

La mattina dopo, questa mattina, il mio collega si sveglia in un letto che non è il suo, in una casa che non conosce. Si guarda intorno sperduto mentre cerca di infilarsi i pantaloni, ma i cuba libre gli hanno lasciato in eredità uno stordimento che richiede varie ore per dissolversi. Girando per casa trova un passaporto. Alvaro Martin Sanchez, il nome dell'uomo ritratto nella fototessera usurata. Due labbra a canotto, un dente d'oro. San Paolo, la città d'origine. Cerca di sedersi sul letto ma svariate fitte lo colpiscono, mentre nota una manetta ancora stretta attorno al suo polso destro.
Sono le nove meno dieci.

Oggi non sarà una buonagiornata per lui.

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