Io non credevo nei miracoli, finché non ho visto con i miei occhi la vita sbocciare. E mi riferisco anche alle volte che ho assistito alla nascita di un mucchietto di gattini, tutti bagnati e dall’aspetto di topolini, o quando ho poggiato l’orecchio sul tiepido guscio di un uovo per ascoltare il fievole pigolio di un pulcino sul punto di venire al mondo.
Ma, pur avendo vissuto per quindici anni in mezzo al verde, raramente mi sono dedicata alle piante, e mai mi sono emozionata nel vederle spuntare dalla terra nera.
Così qualche settimana fa ho scoperto questo nuovo sentire, la gioia di tornare a casa e intravvedere fra le piccole zolle delle minuscole foglioline carnose, dapprima tutte uguali fra loro, e poi sempre più simili alla loro versione adulta.
Quelle del basilico assomigliano alle due labbra di una boccuccia, quelle del prezzemolo sono prima tonde e poi frastagliate, mentre quelle delle carote si allungano come due antenne rivolte al sole. Il pomodoro cresce alto e spettinato, perfino un po’ sfacciato.
Ogni mattina e ogni sera le innaffio borbottando preghiere perché non schiattino, ogni volta che le travaso in un luogo più spazioso benedico la terra perché non restino traumatizzate.
Così giorno per giorno osservo queste creature tenaci e fresche salire d’altezza, aumentare di spessore e di esigenze.
Ogni giorno un po’ d’acqua in più, per ogni vaso nuovo una manciata di terra da aggiungere.
Questa sera, mentre separavo radici e steli delicatissimi, ingegnandomi con contenitori di fortuna e sporcandomi ben bene le mani (dedicarsi all’orto è davvero rilassante! svuota la mente, dà il via libera a pensieri sereni), pensavo ai discorsi fatti ieri all’incontro Leave your footprint insieme a Paola Maugeri e Colin Beavan collegato via Skype, su quanto al giorno d’oggi siamo disconnessi dalla natura.
Se percepiamo come un miracolo il normalissimo sbocciare di un fiore, o la danza di due libellule che fanno l’amore a pelo d’acqua, allora forse è il caso di riflettere su quanto ci siamo allontanati dalla Madre Terra e dalla sua splendida bellezza.
Io poi, con la scusa del pollice nero, non mi sono mai sforzata di mantenere in vita i pochi vasi di fiori che compravo in primavera ma che, inevitabilmente, annegavo.
Perciò, se non avessi mai intrapreso quest’avventura, forse mi sarei persa una grossa fetta di felicità, data dal timido incedere della vita davanti ai miei occhi, dall’istinto di protezione che ho per queste creature dai loro nemici (ho già notato un pidocchietto, ahimè), dal piacere di gustare (spero) il frutto del proprio piccolo impegno.
Una specie di istinto materno, insomma. Ecco perché oggi prego la Madonnina protettrice delle carotine e della fauna tutta, perché non faccia morire di stenti quelle fragili radichette pallide che ho travasato premendole nella terra nuova con mani maldestre.
E il libro Orto per dummies non si trova mai, quando serve.
Amen.