Dopo 18 secondi, comincia un ronzio ad alta frequenza. Per i successivi sei o sette minuti, non si ferma. Mentre prosegue tra l’intro campionata -un brano di Cicely Courtneidge che fa Take me back to dear Old Blighty- e l’entrata in scena del gruppo stesso, il feedback di chitarra che continua modulato in modo sottile è insieme sia un espediente formale per tenere insieme le diverse variazioni della canzone, che un affermazione d’intenti: qua c’è roba seria, qua si arriva al cuore del problema -e allora aprite le orecchie!
Un gran bell’articolo, in inglese, di Jon Savage sul Guardian che spiega come The Queen is Dead degli Smiths possa essere un inno per i nostri tempi -lui pensa ai riot studenteschi per le strade londinesi, quelli del no future.
Tra l’altro da quando David Cameron ha dichiarato di essere un fan degli Smiths, sono seguiti prima questo e poi addirittura un dibattito con citazioni incrociate alla Camera dei Comuni (articolo qui), da cui però Cameron esce più che bene.
Chissà che non si possa applicare anche da noi, vista la canea che è seguita agli scontri di martedì 14. Stiamo ancora aspettando un inno che sia meglio di “SE CI BLOCCANO IL FUTURO NOI BLOCCHIAMO LA CITTà” o altri cori da stadio. Ah, già, la canzone.
Gran, gran bella canzone. Una delle migliori loro, forse non la migliore. O sì?