CHIUSO IL LUNEDÎ
Dopo la colazione apparecchiata con mille cure dall’anziano proprietario del b&b (credo sia vedovo, emana tenerezza e forza, fa tutto da solo), chiedo ai bambini di dare un voto alla vacanza. Mio figlio dice: “7 perché pedaliamo troppo poco” e mia figlia dice: “7 perché pedaliamo troppo”.
Visto che ora di sera abbiamo totalizzato 55 chilometri (L’Aia, Delft, L’Aia, Leiden) un voto salirà a 8 e uno scenderà a 6 lasciando immutato il giudizio medio su noi genitori-tour-operator. E ancora non sanno che domani ci saranno due musei da vedere, quello di Escher e il Mauritshuis, dove dedicheremo un quadro a ogni figlio: a lei La ragazza con l’orecchino di perla di Vermeer e a lui la Lezione di anatomia di Rembrandt. Avendo commesso l’errore di non verificare i giorni di apertura, oggi che è lunedì li abbiamo trovati chiusi.
FINESTRE-VETRINE
Nell’aria frizzante del mattino, 17 gradi ma cielo limpido, abbiamo attraversato l’enorme periferia di L’Aia da sud a nord – un susseguirsi di quartieri nuovi tutti costruiti con un concetto simile: case basse e a schiera, per lo più in mattoni rossi e di ispirazione razionalista, aggregate attorno alle scuole e a una chiesa. Non costruzioni di grande pregio, ma nemmeno squallidi. In Plesmanslaan un lungo edificio suddiviso in porzioni verticali da due piani ognuna ha, per ogni abitazione, un finestrone sporgente in corrispondenza del primo e del secondo piano, una specie di vetrina aggettante attaccata alla facciata della casa, una finestra-teca che ogni inquilino ha personalizzato: chi con oggetti come sedie a dondolo, biciclette, vasi e fiori, e chi con veri e propri allestimenti e scenette. Ci sono manichini in posa; in una teca un uomo nella parte superiore che si sporge su quella inferiore dove una donna lo guarda; in un altro due bambolotti a dimensione bambino nell’atteggiamento di lanciare bicchieri dalla finestra… e poi case delle bambole o scene da savana con tanto di giraffe. L’intera strada è un divertimento grazie alla fantasia decorativa degli olandesi, che amano usare i davanzali delle ampie finestre per esporre ninnoli e che qui si sono sbizzarriti con pretese artistiche.
CAPITALE
La periferia di Den Haag è grandissima e non sempre amena. Il centro storico è piccolo e caratteristico ma dopo aver attraversato tanti quartieri meno abbienti ci fa un effetto un po’ straniante. Mi fermo per un caffè, specifico espresso, la barista mi dice 2 euro, frugo in cerca della moneta e intanto chiedo di aggiungere un goccio di latte, lei raccoglie dal bricco che usa per il cappuccino mezzo cucchiaio di schiuma e lo posa a galleggiare sul mio caffè: 2,20 euro, dice. Non so se intendesse questo, ma la Lonelyplanet dice che gli olandesi sono tirchi.
Sotto il balcone dorato del museo Escher riprogrammiamo il viaggio per aggirare l’imprevisto di averlo trovato chiuso. Abbiamo prenotato per stasera un hotel a Leida che è più a Nord, decidiamo di andarci subito e di tornare domattina per i musei. Questo avanti indietro ci costringerà a prendere un treno per Amsterdam o ad accollarci una settantina di chilometri, domani decideremo. Intanto abbiamo il pomeriggio intero e il sole: scegliamo la strada per Leida più lunga, quella lungo il mare. Il quartiere della ambasciate (bellissimo!) confina con il litorale, terra di sviluppo selvaggio: palazzoni, un enorme albergo di foggia orientale e un pontile coperto e fortificato che contiene negozi e sembra un sottomarino impiantato su una piattaforma petrolifera, ci lasciano un po’ perplessi. Il mare è marrone punteggiato da petroliere e navi cargo. Ma poco piú a nord comincia una duna di proporzioni mai viste, con vegetazione ricca e laghetti di acqua dolce. Un paradiso insolito, interamente percorso da una splendida ciclabile: non una gettata di asfalto, ma un sentiero di mattoncini a lisca di pesce su cui gli olandesi sfrecciano con i figli al seguito, al traino o piccolissimi e appesi al collo con fasce.
DUNA Naturalmente se i Paesi bassi sono piatti, la duna non lo è, e per la legge di Murphy del ciclista in Olanda il vento, se soffia, è contro. Con le borse sulla bicicletta, la sfida è per i polpacci. Ma la duna è un piacere (a proposito: troviamo le prime fontanelle di acqua pubblica) come il polder che segue, pieno di animali della fattoria, dal maiale alle oche, e di aironi, e Leida subito dopo è una meraviglia. Persino più emozionante di Delft, che abbiamo visitato questa mattina.
LEIDEN
L’hotel Huys van Leyden è una casa sul canale costruita da Lauris Huygensz Gael che era stato sindaco della città. Di quell’epoca conserva tutto il fascino, ha stanze raffinate e letti regali ornati da tendaggi. I bambini trillano di gioia e si divertono a preparare tisane con il bollitore in dotazione alle camere. Ogni casa di Leida è un godimento. Impazzisco per i fregi, le vetrate, le finestre che lasciano vedere dentro. 100.000 abitanti, 20.000 studenti, l’università in cui insegnò Einstein prima di scappare dal nazismo e che diede due premi Nobel, uno per l’invenzione dell’elettrocardiogramma. Ci sono studenti ovunque, nella piazza di fronte all’antico orfanotrofio (un palazzo del ‘500 ornato dalle statue di un bambino e di una bambina), c’è un concerto improvvisato. Cantano e ballano. Una massa di ragazzi bellissimi e di dimensioni esagerate, le femmine sono di media sopra il metro e 80 e i maschi sono sui due. Sembra di venire da Lilliput nel paese dei Gulliver.
Magazine Talenti
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