Poster non utilizzato di Oldboy (2013)
Ne ho parlato di recente, di Oldboy e del suo remake, opera di Spike Lee.
A parte le ovvie considerazioni sul remake in sé, sull’operazione rifacimento, che ormai porta a fotocopiare film e serie televisive durante lo stesso anno di esordio dell’originale, qui di anni ne sono passati appena dieci.
English: Spike Lee at the Vanity Fair kickoff party for the 2009 Tribeca Film Festival. (Photo credit: Wikipedia)
[incredibilmente, contiene spoiler]
Non è una giustificazione, specie se si considera che i grandi maestri hollywoodiani avevano in mente l’adattamento di Oldboy già dal 2003, ovvero l’anno di uscita del film di Park. E che noi ce la ritroviamo, la versione di Spike Lee, soltanto adesso sugli schermi, per mere beghe di produzione. Non per sensibilità di sorta, quindi.
E nessuno mi toglie dalla testa che l’unica ragione di questo remake sia dare un volto occidentale ad attori che, per un pubblico xenofobo come quello statunitense, sarebbero stati un incubo da spernacchiare.
Se poi dietro la macchina da presa c’è Spike Lee, con tutte le sue prese di posizione, molto spesso retoriche, contro la discriminazione, c’è del paradosso, anzi, del ridicolo involontario.
E poi, non in ultima istanza, si ravvisa il tentativo di distendere e allentare una trama complessa, dalla costruzione intricata e visionaria, in una versione più commerciale, adatta a una platea distratta, che di incesti, tradimenti e vendette non se ne frega nulla, però una bella scazzottata, forse, ci sta sempre. È divertente da vedere.
Elizabeth Olsen ha dichiarato che non conosceva il film di Park (e ci mancherebbe, non mi stupisce per nulla) e che era del tutto all’oscuro del finale di quello di Spike Lee. L’ha appreso in diretta, alla proiezione di cortesia per gli addetti ai lavori, restandone sconvolta.
E questo dettaglio dà la misura delle cose.
Per carità Josh Brolin ci mette del suo, ce la mette tutta a rendere il suo Joe memorabile e dannato.
Ma il risultato è un rattoppo.
Tutta l’epica, la passione, la devastazione psicologica e fisica dell’originale qui sono annacquate.
L’idea che balza nella mente, durante la visione, è che sia fondamentalmente un riassunto. Una specie di bignami di Oldboy, data la fretta che corre lungo tutta la pellicola. Dura 105 minuti. E Spike Lee ha detto che gli sono stati tolti circa 35 minuti di lavoro, dalle case di produzione, che hanno imposto le sforbiciate.
Non so se nella versione originale, quindi, con la mezz’ora in più, il risultato sarebbe stato diverso. Queste sforbiciate trasmettono esattamente questo: la fretta. Sono la misura dei timori e delle aspettative, e dei signori del cinema, preoccupati che il pubblico si potesse annoiare di fronte a una costruzione piiù approfondita dei personaggi, e dello stesso pubblico, che ormai non riesce più a sopportare la narrazione, vuole solo botte-sesso-botte e ancora botte e magari un altro po’ di sesso. Li pretende, con arroganza. E che si fotta la psicologia dei personaggi e i messaggi.
Una cosa vergognosa.
Oldboy di Spike Lee si mantiene fedele alla trama del fumetto e soprattutto del film del 2003, presentando giusto qualche variante minima. Di fatto, con queste aggiunte, rovinandolo.
Ok, non è una sorpresa per nessuno.
Anche se proprio non riesco a capire come si faccia a narrare la stessa storia, ma a renderla piatta e noiosa, affatto sconvolgente al raggiungimento del climax e dell’agnizione.
O forse sì, si preferisce ad esempio abbondare con la tecnologia, affidando a fredde immagini proiettate da uno schermo modernissimo una verità che, nel 2003, era contenuta in un pacco regalo, in un album fotografico.
Spike Lee fallisce nella costruzione dell’attesa, affannandosi per tutto il film a dire che no, Elizabeth Olsen non è la figlia di Josh Brolin, è un’altra persona, che sta solo aiutando un uomo sfortunato.
Ed è proprio questo: la rivelazione dell’originale non era costruita (o scongiurata artificialmente) dalla regia, condivideva l’assoluta ignoranza del protagonista, che fino alla fine non sapeva, precisamente, quale fosse la propria colpa. La figlia del protagonista era solo una donna, una qualunque, con la quale condividere la follia di una vita devastata. Era ovvio che fosse una qualunque, la ragazza del ristorante, fino a quando…
Invece Spike Lee dispensa post-it. Guardate che no, non è così come pensate, anche se il nemico di Joe parla per tutto il tempo di far ritrovare alla sua vittima la figlia perduta. Non è mica lei, la figlia… Giusto Elizabeth Olsen, ci poteva credere, a questa cosa.
Poi c’è il problema della scena del corridoio. La rissa girata da Park, con la cinepresa che scorre in orizzontale.
Vedete, anche da questo si capisce la volontà di sfida implicita che c’è dietro l’operazione remake di Oldboy: cimentarsi in una scena altrettanto complessa, per mostrare che “noi la facciamo meglio”.
Anziché lasciare alla sensibilità dell’autore un’interpretazione personale di storia e personaggi, ci si getta in una gara a chi ce l’ha più lungo, il carrello scorrevole.
La scena di Spike Lee è più complessa. Si dice girata in un solo ciak, ma poi editata per conferirle maggior ritmo. Si svolge in un parcheggio sotterraneo a più livelli, con Josh Brolin che si cala da un livello all’altro, affrontando orde di malviventi.
Ma è più importante rifare meglio una scena o fornire una visione originale della stessa, che magari comunichi qualcos’altro?
C’è una lingua mozzata, ma è una delle variazioni cui accennavo poc’anzi. Una inutile lingua mozzata, priva del significato epico.
C’è un polpo in un acquario, ma figuratevi se Josh Brolin sarebbe stato disposto a divorarne uno vivo. Per non parlare poi delle proteste che ciò avrebbe attirato sul film, da parte delle bigotte associazioni animaliste americane.
C’è Elizabeth Olsen che ha l’aria stralunata. Forse è vero che non sapeva cosa diavolo stesse girando.
Non c’è una scena di violenza una che trasmetta tensione.
C’è Samuel L. Jackson che fa il carceriere, conciato con un look ridicolo e una cresta di gallo, ormai s’è perso per strada.
C’è un miliardario (Sharlto Copley) che non soffre di cuore, la cui esistenza non è quindi appesa a un filo, e che decide di vendicarsi di quest’uomo per una supercazzola di eventi che rivelano uno strano rapporto a tre tra lui, la sorella e il padre. Un’orgia. Melius abundare quam deficere, dicevano gli antichi. Ma non in tutti i casi. E questo è senza dubbio uno di quelli.
E infine, c’è un finale che è davvero, davvero ridicolo.
Ebbene sì, ennesima variante a opera di Spike Lee, che non si prende la responsabilità (e il coraggio) di ciò che ha narrato fino a quel momento, e che veste il tutto di un moralismo spietato, dispensando una giustizia tardiva, inutile e idiota.
Da un lato la follia, la lingua mozzata, l’amore assurdo e tragico (nonché persistente, anche dopo la rivelazione) del primo film.
Da quest’altra parte, diamanti distribuiti a destra e a manca per sistemare le faccende rimaste in sospeso, non c’è brutta cosa che un po’ di soldi non possano sistemare, happy ending più o meno convinti e una vita di eremitaggio auto-imposto, da parte di Joe, che dopo vent’anni di torture mi sembra fin troppo lucido, nelle scelte che fa. E perciò stesso, anche sciocco.
Spike, il vecchio Jack dice sempre: basta, adesso.