Con sincerità, non sono proprio quella che si definirebbe un’amante dello sport. Sebbene io riconosca l’importanza dei benefici psico-fisici donati a chi lo pratica e consideri la sua portata sociale, culturale ed economica, non ho sono mai seguito, da spettatrice o peggio tifosa, nessuna disciplina né, tantomeno, ne ho praticato uno in maniera regolare e duratura.
In ogni caso, anche se fa un po’ cliché, mi piace seguire le sfide che si svolgono durante le Olimpiadi. Da totale ignorante, mi appassiono alla storia di qualche atleta sconosciuto e ne seguo l’avventura. Ed è proprio durante una delle mie escursioni olimpioniche on-line che leggo questa notizia: Wodjan Ali Seraj Abdulrahim Sharkhani, judoka di 16 anni, una delle prime due donne dell’Arabia Saudita a partecipare alle Olimpiadi, gareggerà indossando una cuffia nera, simile a quelle usate dai nuotatori, dopo che il Comitato Olimpico le aveva vietato di indossare l’hijab, il tradizionale velo islamico, pena la squalifica.
Sono curiosa, digito il nome completo di Sharkhani su google: scopro che è proibito, pare per motivi di sicurezza, competere con il velo e che questa condizione non sia negoziabile e, dunque, il padre, furibondo, non sia intenzionato a far sottostare la figlia a questa regola e non la autorizzerà a prendere parte all’incontro senza la hijab. E scopro che, alla fine, funzionari olimpici, la Federazione e il padre, hanno concertato che Sharkhani possa salire sul tatami a gareggiare indossando un copricapo elastico nero.
L’incontro è un disastro: Sharkhani, cintura blu con alle spalle solo due anni di allenamento con il padre – arbitro internazionale di judo – viene messa al tappeto, dopo soltanto ottantadue secondi, da Melissa Mojica, cintura nera portoricana ventiquattresima nel ranking mondiale.
Ma – celebrano stampa, tv e media – la sconfitta di Sharkhani sul tatami porta con sé un record ben più importante: la presenza della giovane atleta alle competizioni olimpiche, prima donna araba a prenderne parte, è una vittoria nei confronti di tutte quelle rigide regole che fanno sì che le donne musulmane siano fortemente discriminate nella loro vita pubblica e privata. Ma siamo proprio convinti che sia così? Che si possa parlare di un primo passo verso la modernizzazione della condizione delle donne islamiche?
Per quanto mi riguarda credo che, ancora una volta, ci sia in gioco il corpo delle donne e la volontà, maschile e dominante, di agire su ciò che si vede e non si vede di esso. C’è il Comitato Olimpico che, sebbene Shahrkhani sia ancora cintura blu, decide di invitarla a prendere parte alle gare perché ogni paese ha diritto ad essere rappresentato dalle atlete migliori di ogni disciplina e che, in questa maniera, si garantisce il plauso ammirato del democratico, sportivo e solidale pubblico olimpionico senza porsi però il problema di quali conseguenze dovrà sopportare la sedicenne saudita per non aver indossato il “velo”. Da una parte c’è suo padre – rappresentante della Shariʿah, la legge islamica che prevede che le donne mantengano precisi comportamenti, tra cui seguire un certo abbigliamento e non partecipare a competizioni sportive miste – che non solo detiene il ruolo di familiare maschile “garante” di Sharkhani ma ne è pure l’ esclusivo portavoce. Ed infine ci sono i media – avidi di eroi ed eroine che possano accalorare il pubblico – che non si lasciano sfuggire la storia di discriminazione e passione per lo sport di un’innocente sedicenne.
Questa le uniche parole di Sharkhani : “Sono felice di essere alle Oimpiadi. Sfortunatamente non abbiamo vinto una medaglia ma in futuro ci riusciremo e io sarò una star tra le atlete”. Parole appena sussurrate, in arabo, alla fine dell’incontro mentre, accompagnata dal padre e da un secondo allenatore che la tenevano per entrambe le braccia, Sharkhani passava davanti a giornalisti e alle telecamere. Ma che cosa pensa Sharkhani del suo gesto “da record”? Dove vorrebbe essere? Cosa vorrebbe indossare?
Mi chiedo se – quando Sharkhani tornerà nel suo paese, lontano dai media e dalle luci a neon delle Olimpiadi – la cuffia nera che le permesso di gareggiare l’aiuterà a non essere ulteriormente discriminata per aver partecipato ad una gara di fronte ad un pubblico di uomini e indossando degli indumenti “non tradizionali”.
Stamani ho provato a cercare delle nuove notizie di Wodjan Ali Seraj Abdulrahim Sharkhani ma il suo quarto d’ora è già trascorso da un po’ ed oggi è il giorno di Oscar Pistorius, venticinquenne amputato bilaterale, primo atleta a prendere parte sia alle Paralimpiadi che alle Olimpiadi e alla sua fidanzata, supermodella russa, Anastassia Khozissov che ha messo di nuovo al tappeto la giovane judoka.