Olio di palma: non facciamoci ingannare

Da Rossellagrenci

Olio di palmaed eccolo fra i componenti di alcuni biscotti acquistati all’Ikea. Ho segnalato il prodotto al servizio clienti e questa è stata la loro risposta:

“Nei prodotti IKEA contenenti olio di palma (pochi), l’olio è sempre certificato RSPO (certificazione di sostenibilità).
Sappiamo che ci sono dubbi sollevati da Greenpeace su questo tipo di certificazione e l’azienda segue attentamente l’evolversi della questione, ma per il momento non ha deciso di eliminare anche l’olio di palma
certificato RSPO.”
Vorrei però ricordarvi, come spiegato da Roberto La Pira su Il fatto alimentare, che “l’olio di palma viene prodotto prevalentemente (90%) in Indonesia e Malesia, ed è una materia prima sempre più richiesta soprattutto dall’industria alimentare che ne utilizza oltre il 70%, seguita dal settore cosmetico, chimico oltre all’uso come materia prima del biodiesel.

I motivi di tanto successo sono di carattere economico (costa un terzo meno dell’olio di soia) e di carattere chimico (l’olio si presenta in forma solida a temperatura ambiente, non irrancidisce facilmente, resiste abbastanza alla cottura ed è molto versatile nella lavorazione industriale). Gli aspetti negativi sono nutrizionali (è considerato una materia prima di mediocre qualità) e ambientali (in Indonesia ogni anno spariscono decine di migliaia di ettari di foresta  per lasciare  spazio a nuove coltivazioni di olio di palma e gli ambientalisti ritengono devastante questa politica produttiva).

Che possiamo fare? Per  arginare questo disastro ambientale la rivista dei consumatori francesi Que choisir propone tre ipotesi.

1) Non comprare prodotti che contengono olio di palma (anche se spesso non è dichiarato in etichetta) preferendo alimenti ottenuti con olio di soia, girasole o colza (la rivista cita aziende come Findus hanno già sostituito l’olio di palma nei cibi impanati, e la catena di supermercati Casino che ha cambiato 200 ricette su 570). Il boicottaggio è un’arma spuntata perchè se non si usa olio di palma, compra olio di soia che, a parità di resa, necessità di superfici maggiori e presenta “criticità” nei paesi dell’America del sud dove si trovano le coltivazioni.

2) Pretendere dalle aziende l’utilizzo di olio non coltivato su terreni deforestati, come fanno già diverse imprese. La garanzia di usare olio di palma “sostenibile” non proveniente da zone disboscate, è certificata dal Rspo (Roundtable on sustainable palm oil) che certifica anche il rispetto di aspetti sociali legati alla coltivazione). In Italia aziende come  Ferrero per la Nutella  e Unilever dal 2008  usano solo olio di palma certificato Rspo,  dopo una decisione adottata dopo  un confronto con Greenpeace).  Non è però tutto così semplice! Secondo il gruppo ecologista Amici della terra la certificazione Rspo non basta, perché non controlla se vengono impiegati antiparassitari tossici come il Paraquat  e non è ancora in grado di garantire la piena tracciabilità della filiera.

3)  Ridurre il consumo di prodotti che contengono olio di palma, di soia …. che, è bene ricordarlo, non rientrano nella lista degli  ingredienti eccellenti dei nutrizionisti. Questo vuol dire acquistare meno cibo industriale e orientarsi verso prodotti semplici preparati in casa e cucinati con oli migliori come l’oliva.”



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