Oltre il 60% delle famiglie siciliane, in perfetta e drammatica linea con le cifre nazionali, sono ormai fortemente indebitate con banche e finanziarie.
Indebitate al punto che arrivano a bruciare anche l’80% di stipendi o pensioni prima ancora di percepirli a fine mese. In pratica queste famiglie campano con quel che resta dei prelievi che vengono fatti ormai automaticamente per i debiti contratti o per i prestiti richiesti. Che è la stessa cosa.
E’ l’Associazione di tutela dei Diritti del debitore, nata in Sicilia poco più di sei mesi fa, a spiegare in quali pessime acque stiano affogando le famiglie, ma non solo. Perché l’associazione, spiega il presidente Tuccio Alessandro, si sta occupando anche di piccole e medie imprese. “Che sono, in sostanza, nelle stesse condizioni, visto che sono fortemente indebitate con le banche e non riescono, anche per la crisi dei consumi, ad uscire da questo tunnel”.
L’Associazione che cerca di tutelare i diritti dei debitori, dunque di buona parte dei siciliani, coinvolge avvocati, commercialisti, ex bancari, tutti professionisti che hanno una conoscenza diretta del fenomeno, del denaro che esce e non rientra. Per domani a Catania, per di più, in collaborazione con il Movimento Cristiano Lavoratori, con la Banca Etica, la Confcommercio e Federconsumatori, è stato organizzato un convegno proprio sul sovra-indebitamento e le nuove povertà.
“Interverranno anche mons. Algeri della la Caritas – anticipa Alessandro – il presidente della Sezione del Tribunale civile di Catania, dott. Acagnino e altri relatori con cui si cercherà di fare il punto sulle iniziative che possono aiutare a fermare questa emorragia che colpisce famiglie e imprese”.
Ci sono leggi per farlo, ma sino a oggi è mancata la volontà. E la situazione precipita di giorno in giorno. Basti pensare che tra cessione di 1/5 di stipendio, le cosiddette delegazioni (cioè ulteriori trattenute che superano anche il 40% degli stipendi), e gli impegni con le finanziarie, dentro quel 60/65%% di famiglie indebitate una buona parte che percepirebbe stipendi o pensioni di 1.200 euro, si ritrova in tasca soltanto 300, 400 euro al massimo.
“Impossibile, così, far fronte a qualunque impegno – spiega Tuccio Alessandro – perché avanzano sempre da pagare le spese quotidiane di vitto, l’alloggio, le bollette, gli imprevisti. E qui si innesta anche l’altro aspetto che stiamo tentando di contrastare, cioè l’aggressività con cui intervengono gli istituti incaricati di recuperare i crediti. Si tratta di persone che agiscono, spesso, non rispettando i debitori, non comprendendo le situazioni umane in cui ci si può trovare, ma che assumono, come raccontano, del resto, numerosi e drammatici episodi di cronaca, atteggiamenti anche particolarmente aggressivi”.
L’associazione riceve decine di segnalazioni su autentiche incursioni di gente che deve recuperare crediti e qui per arginare il fenomeno si punta sulle norme dettate dal garante della privacy sui dati personali sensibili. “Chi si trova alle prese con questo problema deve segnalarlo prontamente, deve registrare i messaggi telefonici, ma anche i colloqui spesso bruschi che hanno con chi pretende il pagamento. Poi interveniamo, appunto, partendo da quelle norme dettate dal garante”.
Difesa dalle agenzie, dunque, ma qui si tratta anche di avere supporto per trattare con le banche, rapporti sempre più tesi e difficili. “L’ obiettivo che abbiamo è quello di evitare che le famiglie entrino in un vortice che le annienta. Perché spesso quando chiedono e ottengono un prestito, anche di dieci o quindici mila euro, devono anche sottoscrivere un’assicurazione, che costa tra 1000 e 1500 euro. Una assurdità”.
Così serve chi si colloca accanto alle famiglie indebitate, anche i servizi sociali dei Comuni, con personale che l’associazione sta cominciando a formare, mentre tocca a Confcommercio, ovviamente, stare vicino alle imprese. Ma verso dove vuole procedere oggi l’associazione per la tutela dei debitori? Verso una soluzione, chiamiamola così, concordata, che non va molto lontano da quella che riguarda chi rischia il fallimento.
“Si tratta di negoziare anche per le famiglie un accordo che consenta o di allungare i tempi per la restituzione del debito, o la decurtazione dello stesso debiti in relazione alla effettiva possibilità del soggetto di fare fronte ad una parte del debito. Questo vale anche per le imprese, come detto, che non sono a rischio fallimento. Riteniamo che sia anche importante potere contare per sostenere questa fase delicata per famiglie e imprese, potere contare sulle risorse che sono nei fondi antiusura e antiracket. Perché, è chiaro, questi soggetti indebitati sono sempre più spesso preda anche di organizzazioni illegali che possono approfittare di questo stato di sofferenza”.