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Oltre il conservatorismo per sbloccare il paese
Creato il 13 aprile 2014 da Leone_antonino @AntoniLeoneNaturalmente non è così, il ministro sopravvaluta ampiamente il potere dei professori. E tuttavia c’è anche del vero, nell’incauta e semplicistica affermazione del ministro delle Riforme. E’ vero, ad esempio, che l’incapacità della sinistra di rinnovarsi e di uscire dalla trappola dell’antiberlusconismo, un’incapacità di cui il primo responsabile è il ceto politico, è stata spesso, molto spesso, alimentata e ingigantita non già dai professori in quanto tali, ma da una élite di intellettuali in senso lato. Una élite progressista fatta di professori, scrittori, magistrati, registi, artisti, comici, attori, giornalisti, intimamente convinti della propria superiorità morale e civile, e irresistibilmente attratti dall’idea che il proprio compito, anzi la propria missione, non sia semplicemente di far bene il proprio mestiere, bensì di insegnare al paese come vivere e che cosa pensare. Un magistero, quello dei venerati maestri (così li chiamava il compianto Edmondo Berselli), che effettivamente ha finito per inchiodare la sinistra ai suoi miti e ai suoi riti, con un danno incalcolabile per il paese non meno che per la sinistra stessa. Già, perché una cosa bisognerà pur dirla una buona volta: se oggi l’Italia è un paese profondamente diseguale, con una frattura abissale fra garantiti e non garantiti, con i giovani e le donne sistematicamente tenuti ai margini del mercato del lavoro, con uno Stato sociale dispensatore di privilegi e avaro di servizi, è anche perché per decenni ci siamo tenuti questa sinistra, miope e conservatrice.
Da questo punto di vista Renzi e i suoi hanno ragioni da vendere. Dove invece, a mio parere, stanno prendendo un abbaglio è quando, parlando genericamente di professori, non colgono la differenza fra l’élite degli intellettuali, che parlano il linguaggio della certezza e della superiorità morale, e la massa degli studiosi, che parlano il linguaggio del dubbio e della ricerca, e non amano arringare le folle. Fra questi ultimi, siano essi economisti, politologi, sociologi o giuristi, da almeno vent’anni le posizioni che dominano la scena parlano di modernizzazione, di cambiamento, di riforme radicali, non certo di conservazione del patrimonio e delle conquiste irrinunciabili della sinistra. Dalla commissione Onofri (1997) alla commissione Muraro (2007), per citare solo due esperienze significative, il mondo degli studiosi è più che mai schierato dalla parte del cambiamento, e immune da ogni rimpianto per la sinistra che fu.
Ecco perché il nodo dei “professori” è delicato. Ci sono professori di tipo-vate (gli intellettuali, o venerati maestri), e professori di tipo-Archimede (gli studiosi, gli esperti). Entrambi non hanno un rapporto del tutto armonico con Renzi. La differenza cruciale, però, è che i primi temono che Renzi abbia successo, i secondi che fallisca. I primi diffidano delle idee di Renzi, i secondi dubitano della sua capacità di metterle in atto.
Quel che accomuna profondamente i due tipi è il desiderio di essere ascoltati dal principe. I professori-guru non si capacitano che la politica abbia smesso di riconoscere il loro ruolo di guida morale e spirituale. I professori-esperto si stupiscono che la politica paia non aver bisogno del loro supporto tecnico e di conoscenza. Gli uni vorrebbero indicare al principe i fini dell’azione politica, gli altri mettergli a disposizione i mezzi per realizzarli.
La mia sensazione è che entrambi si illudano. La politica è per sua natura autoreferenziale, Renzi o non Renzi. Può fingere di ascoltare i venerati maestri (come faceva in passato), ma alla fine tira dritto per la sua strada. Può avere bisogno degli esperti, ma solo quando è con l’acqua alla gola, e comunque sempre e solo dei “suoi” esperti. In questo, le cose non sono molto cambiate, semmai sono diventate più chiare. Gli intellettuali e i tecnici, i maestri e gli specialisti, la politica li ha sempre usati, ma non li ha mai ascoltati davvero (e qualche volta è stato un bene). Solo un grande narcisismo, e una certa dose di ingenuità, possono far credere ai professori che il loro ruolo possa cambiare.
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