Antonella
Il palazzo è situato nella parte nuova della città, uno di quei palazzi con il parcheggio riservato ai condomini, con la catenella elettrica e le aiuole a fontana a fare da contorno.La grande porta a vetri si apre non appena lei ci passa davanti e, da dietro il bancone semicircolare, il portiere le sorride. “Buongiorno ho un appuntamento con il Dott. XXX” " Prego si accomodi, secondo piano”. La sala d’attesa è molto accogliente, una libreria di quelle componibili a cubi, divide la segreteria dal salottino, dove, altre mamme come lei, attendono il verdetto e il loro futuro. “Perché sono qui?” … lei se lo domandava.Nei suoi occhi smarriti un pianto che non riusciva a uscire, non ce la faceva perché avrebbe significato accettare quello che da giorni stava cercando prepotentemente di ignorare, mentre altri intorno a lei, le dicevano che suo figlio era diverso, che c’era qualcosa in lui, qualcosa che non andava ovviamente e che forse la colpa era anche sua. Questo alla fine era ciò che la dilaniava di più, perché se era vero che suo figlio aveva un problema, qualche responsabilità come madre l’aveva di sicuro. A questo lei pensava.
Lei l’aveva voluto, l’aveva messo al mondo e lo stava crescendo nel modo che riteneva più giusto e, evidentemente, era in questo che stava sbagliando. Credeva di fare il bene e stava combinando un disastro … questo le dicevano gli sguardi silenziosi degli altri e per questo il suo pianto era senza lacrime. Farlo uscire avrebbe significato attutire il suo dolore e lei di certo non se lo meritava. Non dopo quello che gli aveva fatto. “E’ giusto che io sia qui?” … lei se lo domandava e non sapeva.
Era solo certa che suo figlio era meraviglioso e per lei speciale. I suoi occhi erano come i suoi, dolci e pieni d’amore per tutti e, anche se la loro vita, a volte non era stata facile, loro l’avevano affrontata e superata. In un modo o nell’altro, stando vicini e ce l’avevano sempre fatta. Sarebbe stato così anche questa volta. Lui e lei si somigliavano molto, forti fuori e fragili dentro. Incapaci a esternare, rendevano complicato qualsiasi aiuto, eppure dentro di loro gridavano e questo non potevi ignorarlo.
Se questo presunto problema ci fosse stato, lei sapeva che quell'aiuto le sarebbe servito, che avrebbe dovuto mettercela tutta, che le sarebbero servite parole nuove, dosate e giuste, un tono rassicurante e dolce, forse anche qualche bugia … non era da lei ma ne sarebbe stata capace. Era anche disposta a diventare un’altra madre se fosse stato necessario, ma lui, mai e poi mai, si sarebbe accorto che qualcosa non andava, e avrebbe avuto le stesse opportunità, le migliori che il mondo potesse offrire.
A questo lei pensava, mentre seduta su quel salottino, attendeva la porta aprirsi. Fuori era una bella giornata di sole, non scaldava ancora tanto ma era un inizio o meglio ancora un risveglio.
La sua mente macinava domande ma un'unica certezza rispondeva a tutte: suo figlio era unico. No, non sto parlando di me, ma di una storia che, come mi ha chiesto Antonella, ho guardato con il cuore e forse anche oltre.
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