Sonouna privilegiata. Vivo il privilegio di far parte di una piccola comunità dicreativi e pensatori, liberi per quanto sia possibile. Tutto questo attraversol’esperienza del teatro.Grazie a questa straordinariaesperienza posso tracciare un pensiero che è ancora una bozza in via disviluppo. Se ripenso al gruppo come entità e come viene descritto generalmentedalle discipline umanistiche, assomiglia ad una massa indifferenziata conun’unica identità dove l’omologazione è necessaria per stabilirne l’equilibrioomeostatico. Ma le persone sono tutto tranne che equilibrio. Direi piuttosto unprocesso in continua evoluzione e trasformazione. Ecco perché vorrei passaredal concetto di gruppo al concetto di “reterelazionale”, che per me ha come centro il rispetto per le differentipotenzialità attraverso la connessione e lo scambio reciproco. In questo modo,se ci pensate,davvero “ il tuttodiventa di più della somma delle sue parti”. La mia esperienza con ognipersona della Compagnia V’Erasimile si è arricchita perché ognuno di noi haportato un pezzo della propria personalità e della propria visione nel lavoroche abbiamo condiviso. Ma la caratteristica che più di tutte connette lepersone è il “cuore”.
Non nego di esser particolarmenteaffascinata dalle personalità istrioniche e genialoidi, quelle che con unsemplice gesto tirano fuori le soluzioni più sorprendenti. Ma nei rapporti, ciòche davvero conta, soprattutto in una piccola realtà come la nostra, è quantosentimento, quanta dedizione, quanto spirito di sacrificio (nel senso disacrificare una parte immediata del nostro ego per un risultato più ricco infuturo), quanto cuore siamo disposti a donare. Il dono di noi stessi, è l’atto piùcoraggioso ed innovativo che di questi tempi potremmo usare come antidotocontro la crisi distruttrice che viviamo. Sembra assurdo che storie come quellaraccontata in “Spiriti”, la storia di un paese come il Cile degli anni Trenta,caratterizzato da disoccupazione e malessere, si possa ben sovrapporre alcomune sentire attuale, di tutto il nostro mondo. Un malessere che allora portòalla rivoluzione e subito dopo al rovesciamento del potere da parte delladittatura di Pinochet. Come trent’anni fa, alche oggi il popolo degli “indignados”, per il quale sento disimpatizzare, stanno manifestando lo stesso malcontento di allora. Tutto ciò mifa molta paura, perché non avendo più memoria, l’uomo rischia di commettere glistessi errori, i famosi ricorsi storici di Vico, che come un monitociclicamente entrano prepotenti nella storia. Ecco perché la battuta finale conla quale chiudo la rappresentazione, assume un senso sempre più chiaro: “ … ètempo di un impegno coraggioso, è tempo di riconciliazione!”
Riconciliazione come balsamo perlenire le vecchie ferite e impegnarsi per un futuro più rispettoso dei veribisogni di ciascuno di noi. Tutto questo può avvenire solo nel rispetto e nellavalorizzazione delle differenti individualità. Quelle che mi figuro come tantebraccia luminose che insieme pulsano come un grande cuore.