di Rina Brundu. Ladies and gentlemen, here’s the writer; qualora un giorno il comitato per il Nobel decidesse di celebrare la carriera e l’arte di Stephen King, il prolifico scrittore di Portland (Maine), è indubbio che questa frase potrebbe essere usata durante la cerimonia di presentazione e premiazione. Dopo una sessantina di romanzi pubblicati, milioni di libri venduti in tutto il mondo, le straordinarie prove come scenaggiatore e come saggista (basti pensare che il suo On Writing: A Memoir of the Craft, non è solo un’autobiografia ma è uno dei manuali da consultare per ogni editor e scrittore professionista che si rispetti), il Premio Nobel sarebbe infatti un riconoscimento imprescindibile per un artista che è stato definito lo Stephen Spielberg della letteratura.
Raccontare in un articolo standard quello che per me è lo scrittore contemporaneo per eccellenza non è cosa facile. Bisognerebbe almeno citare i suoi esordi nei giornalini scolastici, i suoi mille lavori e lavoretti per mantenersi, la denigrazione del mondo accademico per il suo tratto non-impegnato da cultore del gotico-cheap, la progressiva dipendenza dalle droghe e dagli alcolici, l’incident d’auto che ha per lunghi periodi compromesso la sua stabilità mentale e di fatto lo ha consegnato nel realm degli scrittori-dannati, dei geni creativi la cui esperienza artistica e letteraria è riflesso di un’esperienza di vita sentita sulla pelle, determinata alla nascita e in ultima analisi modellata dal destino.
Un destino mirabile, laddove il ragazzino del Maine, figlio di uno scrittore di poche speranze, appassionato di Edgar Allan Poe e di Lovecraft, di film di extraterrestri e di una cultura underground e new age sovente vista con disprezzo dall’establishment, laddove l’autore del best-seller gotico-cheap Carrie (1974 – più di un milione di copie vendute) è infine riuscito, agli inizi degli anni 90 (con opere quali Dolores Clayborne, una mia favorita), a trasformarsi in uno scrittore a tutto tondo, riconosciuto come tale, creativo, fenomenale, geniale, capace di ridefinire il glorioso genere gotico fatto esistere a suo tempo da Horace Walpole. Nello specifico, Stephen King è riuscito nell’impresa di passare dal genere gotico-cheap ad un gotico post moderno e innegabilmente digitale. Una delle prove che a mio avviso danno piena evidenza di questo percorso verso una grande maturità artistica è quella che King fornisce come sceneggiatore (e più tardi come scrittore), della miniserie televisica Storm of the century (1999, La tempesta del secolo), dove il character dell’antieroe Andre Linoge, l’atmosfera complessiva ricreata, la complessità significazionale, nonché la straordinaria qualità estetica di questo lavoro, fanno entrare, mani e piedi, di diritto, l’opera e il suo creatore nel mondo del gotico-sublime.
Sull’Andre Linoge della miniserie “La tempesta del secolo” (breve).
Chi è Andre Linoge? Un diavolo sembrerebbe. Di sicuro è comparso dal nulla nel microcosmo isola-Little Tall, per certo ha molte caratteristiche fisiche che ricordano una creatura degli inferi, gli occhi malfidi, una dentatura puntellata da denti aguzzi e animaleschi; di sicuro sa troppo del privato dei pochi isolani, conosce soprattutto i loro peccati, i loro scheletri faticosamente nascosti nell’armadio alla ricerca di una disperata rispettabilità di facciata e non fa nulla per nascondere i suoi poteri innegalbimente paranormali. C’è poi, in questo antieroe diabolico, un tratto sornione, una manifesta volontà di farsi gioco degli uomini, una fiducia completa nelle sue possibilità di riuscita che a lungo andare – ovvero quando costringe un padre e una madre a consegnargli l’unico figlio maschio allo scopo di farlo diventare un suo discepolo, pena l’annientamento di tutta la comunità – si trasforma in metafora dell’impotenza dell’uomo normale. Dell’uomo moderno.
Andre Linoge diventa dunque rappresentazione retorica (di un’arte retorica sviluppata, meditata e geniale), della nostra incapacità di lottare contro forze oggettivamente più grandi delle nostre (ad ogni livello), dell’impossibilità di superare dati ostacoli dentro le dinamiche di un destino segnato, dell’ostacolo che diventa prova. Di vita. E in ultima analisi diventa emblema paradossale della nostra capacità di accettarlo quel destino con una data dignità e con consapezolezza. Con la consapevolezza agli eroi che sebbene sconfitti non saranno mai dei vinti.
Featured image, Horace Walpole è considerato l’iniziatore della letteratura gotica moderna con Il castello di Otranto del 1764.
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