Kony 2012 è il titolo di una campagna lanciata dall’organizzazione Invisible Children Inc., per ora incentrata sull’omonimo video, di cerca mezz’ora, che ha avuto una diffusione virale in Internet, portandosi in pochissimi giorni (è stato pubblicato solo il 5 marzo) a quasi 100 milioni di visualizzazioni. La campagna mira a sostenere l’arresto di Joseph Kony, guerrigliero ugandese accusato di “crimini contro l’umanità” dalla Corte Penale Internazionale dell’Aja (ICC).
L’idea della campagna è quella di stimolare gli sforzi internazionali per l’arresto di Kony divulgando il caso il più possibile. Fin qui nulla d’originale. Interessante è che la Invisible Children Inc. cerchi di mobilitare dei volontari perché, da un lato, facciano lobbying su alcune decine di personaggi famosi (politici e personalità dello spettacolo) per convincerli ad essere testimonial della campagna, e dall’altra perché acquistino un kit completo di manifesti, braccialetti ed altro materiale propagandistico.
In tal senso, balza subito agli occhi una cosa. La storia di Kony è raccontata frettolosamente ed in maniera tranciante, come quella d’un uomo brutale, senza ideali né sostenitori, che rapisce bambini per farli combattere al suo servizio. La spiegazione del motivo per cui molta gente (che presumibilmente prima di vedere il video neppure avrebbe saputo collocare l’Uganda sulla mappa) dovrebbe mobilitarsi per la campagna occupa solo una parte relativamente breve del video. Gran parte di esso è invece dedicato a decantare le lodi del potenziale di Internet, della mobilitazione dal basso, e a mostrare immagini di giovani e fotogenici attivisti intenti a diffondere la causa e i suoi gadget, decorati da loghi e simboli graficamente molto curati. I messaggi e le immagini rievocano gli eventi e l’interpretazione – a mio giudizio forzata, come ho argomentato altrove – della “Primavera Araba” come rivolta del “popolo di Facebook e Twitter“. E quello delle cosiddette “rivolte colorate”, che la capillare e professionale rete di organizzazioni “non governative” statunitensi è stata in grado di orchestrare in diversi paesi nel corso degli ultimi anni (Serbia, Georgia, Ucraina).
Un altro elemento degno di nota è che in Kony 2012 si sostenga l’invio di militari statunitensi in Uganda, deciso da Obama. Il proseguimento del sostegno militare alle forze armate ugandese è anzi il principale obiettivo dell’intera campagna: si vuole proprio evitare che il Congresso possa scegliere un disimpegno dal paese africano. La scelta del presidente Obama è dipinta come il risultato delle pressioni dal basso esercitate negli anni passati dalla Invisible Children, Inc., e come una missione militare decisa “semplicemente perché è la cosa giusta”. Questa lettura è semplicistica, così come la descrizione superficiale e manichea della situazione ugandese. Ma prima di motivare questi giudizi, apriamo una parentesi sugli artefici della campagna Kony 2012.
Invisible Children, Inc. nasce nel 2004 col preciso scopo di contrastare l’azione della Lord’s Resistance Army di Joseph Kony. I suoi fondatori, Jason Russell, Bobby Bailey e Laren Poole, all’epoca erano studenti universitari, rimasti impressionati da ciò che avevano visto durante un viaggio in Uganda nel 2003. Oggi la Invisible Children, Inc. incassa quasi 14 milioni di dollari l’anno, con un profitto netto di quasi 5 milioni. Nel 2011 il 16,24% delle spese è andato alla voce “Management & General“. Al 30 giugno 2011 dichiarava cespiti di poco inferiori ai 7 milioni di dollari. Jason Russell, regista e voce narrante di Kony 2012, riceve come retribuzione l’1% delle spese totali dell’organizzazione, ossia 89.669 dollari all’anno. Stipendi similari hanno anche il co-fondatore Laren Poole e il direttore esecutivo Ben Keesey. Ma tali cifre sono destinate ad essere surclassate quest’anno. Secondo quanto appena dichiarato da Jason Russell, in una sola settimana Invisible Children avrebbe già venduto 500.000 kit da $30 ciascuno, per un incasso totale di 15 milioni di dollari.
Al pari di molti paesi africani, i cui confini furono tracciati arbitrariamente dalle potenze coloniali europee, l’Uganda è percorso da tensioni inter-etniche. La principale è quella tra i Baganda (o Ganda), abitanti del Sud e dell’Est del paese, e gli Acholi, che vivono nel Nord ed anche fuori dai confini dell’Uganda, nel Sud Sudan. La storia dell’Uganda dopo l’indipendenza (1962) è stata così segnata dai colpi di Stato e dalle guerre civili, spesso costruite sulle linee di
Tuttavia, la lunga presidenza di Museveni non è stata tutta rose e fiori. La sua agenda neoliberale ha comportato gravi costi sociali in cambio della crescita economica, che per giunta si è concentrata soprattutto nelle zone bantu in cui è radicato il suo sostegno, mentre il Nord nilotico è stato trascurato. Museveni ha mostrato una certa
Non sono mancati i critici di Kony 2012. La giornalista ugandese Rosebell Kagumire ha rilevato l’ultra-semplificazione della vicenda fatta dal video. Una fonte d’indubbio prestigio come Foreign Affairs, la rivista del Council on Foreing Relations, unanimemente considerato il think tank più influente degli USA, ha scritto a proposito delle organizzazioni che, come Invisible Children, Inc., hanno sostenuto la causa del coinvolgimento statunitense nel conflitto ugandese: “Nelle loro campagne queste organizzazioni hanno manipolato i fatti per finalità strategiche, esagerando le dimensioni dei rapimenti e degli omicidi della LRA, enfatizzandone l’uso di bambini innocenti come soldati, e dipingendo Kony – senza dubbio un personaggio brutale – come un’incarnazione unica e terribile del male, una specie di Kurtz [il protagonista di Cuore di tenebra di Conrad]. Raramente hanno fatto riferimento alle atrocità del governo ugandese o a quella della People’s Liberation Army sudanese (che includono attacchi contro civili, saccheggio di abitazioni ed attività civili), o la complessa politica regionale che sta dietro al conflitto”. Michael Deibert, celebre giornalista che ha studiato a fondo la questione ugandese ricavandone anche un libro, ha commentato in maniera critica la campagna Kony 2012. Lungi dal difendere il capo della LRA, Deibert ha però notato che “il governo ugandese attualmente al potere vi è giunto anch’esso attraverso l’uso di kadogo (bambini soldato) e combattendo a
Non si vuol qui mettere in dubbio la buona fede degli animatori, attivisti e simpatizzanti di Invisible Children. Ma la realtà è molto più complessa di com’è descritta in mezz’ora dal video Kony 2012. Kony, che nel video (e nei manifesti di propaganda) è ritratto esplicitamente come un nuovo Hitler e un nuovo Bin Laden, è senz’altro un personaggio censurabile, ma è il prodotto della lotta di un popolo, gli acholi, che si sente oppresso da un presidente, Museveni, che non si è certo distinto per liberalismo, rispetto della sovranità popolare o dei diritti umani. E la presunzione di buona fede non risparmia Kony 2012 dalle critiche nel momento in cui si fa esplicitamente sostenitore dell’intervento militare statunitense in Uganda. Un intervento che solo una certa ignoranza degli eventi africani ed una grossa dose d’ingenuità potrebbe far ritenere, come afferma il documentario, motivato solo dal desiderio di “fare la cosa giusta”. Gli USA sono intervenuti in Uganda nel quadro della militarizzazione dei rapporti col continente, che è stata resa necessaria dalla penetrazione politico-commerciale della Cina in Africa. L’invio di consiglieri militari a Museveni, possibile preludio di una escalation bellica (forse proprio ciò che vuole ottenere la campagna virale Kony 2012?), va guardato assieme ai bombardamenti dei droni in Somalia, all’intervento in Libia per rovesciare Gheddafi, all’intervento francese in Costa d’Avorio per deporre Gbagbo. Il documentario di Julien Teil La guerre humanitaire ha mostrato il ruolo, non troppo cristallino, delle ONG nel preparare il terreno all’intervento della NATO in Libia. Invisible Children enfatizza la necessità di mandare truppe statunitensi in Uganda in un momento in cui la LRA appare indebolita e, secondo molti, Kony non si troverebbe più nel paese ormai da anni. Non pare a questo punto azzardato inserire anche Kony 2012 nel quadro del soft power statunitense che deve sorreggere l’estensione – non necessariamente in modo pacifico – dell’influenza di Washington in Africa.