Oltre l'oceano

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CAPITOLO 1

Convinta di ciò che stava facendo, ora che finalmente poteva estraniarsi da tutti, Josephine Westree, non si sarebbe arresa. Nessuno le aveva detto che cosa fare; semplicemente s’era stancata della falsità e dell’invadenza delle persone con cui aveva a che fare ogni giorno, da quando era nata. Decise quindi di cominciare una nuova vita tra le montagne dell’America Settentrionale. La natura incontaminata, o così sperava di trovarla, le aveva sempre ispirato armonia e tranquillità; un luogo giusto, insomma, per lasciarsi andare alla riflessione e alla meditazione. La sua famiglia non era a conoscenza della sua partenza e la cosa non le dispiaceva, anzi era contenta di essersene finalmente liberata. Il rancore che provava nei loro confronti sarebbe svanito, però, col tempo.
L'aereo atterrò dolcemente senza turbolenze all'aeroporto di …... Recuperò le sue 2 valigie colme di diversi abiti pesanti, e s'accinse a prendere il mezzo che l'avrebbe portata dritta dritta a Deepwood. Si guardava attorno estasiata e con gli occhi pieni di ottimismo, avrebbe fatto di tutto per restare in quel luogo il più a lungo possibile, i suoi sogni si stavano realizzando, nonostante non avesse mai considerato l'Inghilterra una cattiva Nazione, grazie anche al fatto che era ancora un regno, non riusciva a stare ferma in quel suo paese, aveva bisogno di sperimentare e conoscere gente nuova, di vedere la vita stessa in un modo diverso.

Dopo un transfert piuttosto pesante, ma sereno, giungeva alla sua nuova dimora; era sicura di poterla già scorgere a ridosso della collina. Eccola là: quattro immensi abeti e due altri più bassi la circondavano come proteggendola dalle insidie. Tutto attorno era bruno, ma sulle vette più alte già luccicava la neve che, di lì a poche settimane, avrebbe ricoperto anche le alture sottostanti.
La baita, era costruita con tronchi circolari di mogano scuro, resa ancor più accogliente e sicura, da questi componenti. Ad essa si accedeva con quattro scalini in comune pietra bianca. I tronchi erano verniciati sia all’esterno che all’interno proprio per evitare che col passar del tempo e con pioggia, neve o vento, perdessero la loro resistenza. All’interno, l’odore del legno penetrava nelle narici; l’abitazione era arredata con cura. Sul pavimento d’assi era adagiato un tappeto di mucca pezzata, divani in stoffa rossa accendevano la sala; sulle pareti erano appese a dei chiodi, pentole, scodelle e utensili da cucina in rame lucente, con un’unica funzione decoratrice. Ogni cosa e il posto che occupava, per Josephine, avevano un significato particolare. Dietro alle scale che portavano alla camera c'era il bagno. Nella stanza, piuttosto grande, c'era un letto matrimoniale, con sopra un lucernario attraverso il quale avrebbe potuto scrutare il cielo, alla sinistra una portafinestra con terrazzino di legno, mobili rustici sulla destra e una scrivania di fronte al letto dotata di lampada ad olio. Il soffitto era spiovente. “Beh direi proprio che non posso lamentarmi, qui è perfettamente come ho sempre desiderato!”; Josephine non era a conoscenza dei segreti*' legati alla casa.
Uscì sul terrazzino e si mise a fantasticare. S’immaginava osservare il calar del sole e dipingere quel momento della giornata; spesso realizzava quadri per allontanarsi dalla realtà e dare vita ad un mondo interiore dove poter viaggiare liberamente, indisturbata; ma forse fra quelle montagne non le sarebbe più servito.
Sulla parete sopra al letto c’era un acchiappa sogni indiano di notevoli dimensioni, e la cosa le faceva piacere perché anche lei in Europa ne aveva uno; gli oggetti che appartenevano a quel popolo l’avevano sempre affascinata.
Dietro la scala, alla sinistra del bagno, al piano terra, vi era la cucina arredata con mobili scuri e rustici; anche gli accessori culinari erano in rame. Vicino al lavandino in ceramica, vi era una stufa a legna dove avrebbe potuto cucinare, invece di usare il gas. Le uniche comodità che aveva erano la luce e l’acqua corrente, calda e fredda. In più c’era una cantina dove avrebbe potuto collocare e quindi conservare al fresco le bevande e i latticini. Adesso che si ricordava, in salotto c’era un caminetto! Di certo non avrebbe sofferto il freddo, e in più il legno avrebbe trattenuto il calore completamente all’interno; anche la stanza da letto, ne avrebbe tratto vantaggio. Aveva in mente di porre qualche accorgimento per renderla ancora più confortevole e personale; nel pomeriggio, quindi, sarebbe scesa in paese per acquistare qualche metro di stoffa rossa.
Dopo aver sondato l’ambiente, riordinò i suoi vestiti e gli oggetti che si era portata dall’Inghilterra; fatto ciò si preparò il pranzo, e  mise quattro legni ad ardere nel caminetto.
 
In Paese, si trovava in mezzo a gente diversa da quella che sempre l’aveva attorniata;  dopo aver trascorso solamente quattro ore nella sua nuova abitazione, sentì che con loro sarebbe stata meglio, non avrebbe avuto di che preoccuparsi del giudizio degli altri, perché quelle persone sembravano non notarla, continuavano la loro vita frenetica pensando ai loro problemi. Da un lato quel comportamento la rassicurava, ma dall’altro si sentiva come esclusa… Beh ma non aveva scelto quel posto proprio per allontanarsi da ciò che l’era ostile??? A volte nemmeno capiva i pensieri che le frullavano in testa; si sentiva continuamente in contraddizione come se qualcun’altra con idee e concetti contrastanti i suoi, abitasse in lei… Ed era questo, oltre alle mille altre cose, che doveva capire, perchè finora ne aveva solo sospettato l’esistenza; forse sarebbe riuscita a conviverci oppure sarebbe stata molto più drastica e avrebbe dovuto rimuovere quella figura, che le dava non pochi problemi, dal momento che quando quella parte di lei si manifestava, lei stessa si escludeva dagli altri e si rendeva intollerabile per far si che la lasciassero in pace. A vo0lte pensava potesse trattarsi di una sorta di autopunizione che si infliggeva per levarsi il peso della colpa che le soppraggiungeva, dopo aver commesso qualche gesto sconsiderato, ma non ne era del tutto sicura.
Tornando alla baita, incrociò un gruppo di turisti con una guida, probabilmente sarebbero andati a visitare le riserve indiane. Questi turisti probabilmente non erano di passaggio, sicuramente alloggiavano in qualche hotel o pensione. Avrebbe tenuto in considerazione il fatto che c'erano anche delle attività commerciali piuttosto grosse, magari avrebbe potuto trovare un lavoro. Cercò di ricordare i tempi in cui anche lei era una turista, ma le era difficile perché la sua immaginazione si scontrava troppo facilmente con la realtà; quel pomeriggio aveva altro da fare che pensare ai momenti lontani. Chissà perché le capitava sempre di pensare al passato?! Non era una cosa tanto buona quando capitava troppo di frequente; pensare al passato andava bene, ma solo per imparare da esso, non per autoflagellarsi. Mah… E con quei dubbi entrava in casa. Quel che doveva fare, era mettere le tendine alle finestre e la stoffa rossa che aveva acquistato pareva l’ideale, legava perfettamente con il colore del legno. Non si trattava di un tessuto coprente, era bensì ricamato. Prese dei chiodi nel ripostiglio esterno della casa, dove c’erano altri attrezzi da falegname  e si mise a picchiettarli sulle finestre. Terminata l’opera, sorrise compiaciuta perchè era in grado ancora di render bella ogni cosa.
La giornata s’apprestava a terminare. Le foglie degli alberi apparivano ancor più accese, grazie alla luce rosseggiante del sole che filtrava tra loro; il vento soffiava tra le fronde, i pochi uccelli cinguettavano allegramente, prima di tornare ai loro nidi. Ormai l’aria cominciava a divenire pungente rispetto la mattina, segno che quasi certamente, fra un paio di giorni, sarebbe caduta la prima neve. Ora che osservava il cielo, più limpido ad autunno inoltrato, Josephine si accorgeva quale fosse la differenza: guardare in quei luoghi il firmamento era diverso che in città, con il frastuono delle auto e le luci dei lampioni e dei grattacieli. “Eh già le stelle si vedono meglio e i pendii sono avvolti da un chiarore lunare quasi magico…” Rifletteva, mentre si abbandonava in una così calma quiete,  in un’atmosfera così rasserenante; la viveva e l’assaporava nei minimi dettagli, e le pareva di riscoprire qualcosa di meraviglioso celato nel suo inconscio; qualche cosa di cui aveva sempre percepito l’esistenza, ma di cui ne aveva temuto il peso e la presenza stessa. Ciò poteva facilitare la sua crescita spirituale a cui attribuiva una fondamentale importanza.
Alla fine della giornata si sentiva spossata in modo eccessivo pur non avendo fatto altro che sistemare le sue cose e pulire un po’ l’arredamento; l’unico sollievo era che, ora almeno, la casa aveva un aspetto più ordinato e presentabile casomai dovesse capitare che giungesse qualcuno a farle visita; in verità si trattava solo di inconsapevole malinconia per il mondo al quale Josephine non apparteneva più: la città.
Abbandonò quei pensieri per lasciarsi andare in un profondo torpore. Sognò l’Europa.
 
 CAPITOLO 2
 
Il mattino dopo preparò la colazione: aranciata, fette biscottate con la marmellata, e un buon libro.
Lo zucchero che l’era entrato in corpo favorì il suo ricomponimento; pimpante ed energica s’apprestava a sistemare le ultime cose con lo scopo di predisporre una lista della spesa e recarsi nuovamente in paese. Decise che si sarebbe anche cercata un occupazione, magari nel turismo, come la presenza dei vari alberghi le avevano suggerito.
Dai giorni precedenti nulla era mutato, la stessa gente e gli stessi animali scendevano dalla collina per confluire nella piazza, il centro delle attività di Deepwood. Alcuni uomini le fecero cenni col capo, lei garbatamente rispose al saluto; forse l’avevano già vista e s’erano ricordati di lei. Sorrise tra se e sè all’aspettativa di stringere nuovi rapporti sociali, con quelle persone, che erano estranee indubbiamente all’ipocrisia e alla falsità celata nei volti di coloro che, invece, aveva lasciato in Inghilterra. Si avviò verso il panificio. L’odore del pane appena sfornato e adagiato sui tavoli per la vendita, aveva un odore diverso, pensò che fossero i boschi e il paesaggio che contribuivano a trasformare anche i profumi. Comprò 4 tartarughe e 2 filoni, per non restare senza pane, che, siccome le piaceva da matti, in un giorno sarebbe già finito! Si diresse poi in latteria e lì compro 1 litro di latte, mozzarella, e per provare anche un litro di latte di capra, molti dicevano che aveva un gusto e un aroma particolari, e a lei piacevano le cose particolari. Non costava niente provare, a lei poi… Soprattutto quando viaggiava le veniva naturale alimentarsi con i cibi del posto, non era affatto schizzinosa. Comprò anche delle uova in un pollaio attrezzato per la vendita; la negoziante sembrava non appartenere a quel luogo così mite, talmente orgogliosa quanto era delle sue chiocce, ne divulgava la beltà e la fertilità ad ogni cliente. Molti l’ascoltavano addirittura con piacere, altri invece non le davano molta importanza e proseguivano oltre.
All’improvviso un baldo giovane le si avvicinò: “Buongiorno signorina, è nuova di qua? Non l’ho mai vista!”. Josephine decise che non si sarebbe tirata indietro a rispondere, intimorita dal peccare di superbia o maleducazione… “Sì, sono arrivata qui da pochi giorni…per staccare dalla monotonia della città; e qui si sta davvero bene” guardando ai monti e agli abeti intorno. Non voleva spingersi troppo oltre e parlare delle sue sensazioni ad uno sconosciuto che, tra l’altro, le sembrava non aveva rispettato i canoni della buon’educazione, giacché neppure si era presentato! Da che mondo e mondo sapeva, quindi, di non dover dare troppa confidenza alle persone, anche se in quel paese nessuno le sembrava ostile, ma non si sa mai… Concluse, perciò, la breve chiacchierata, accorgendosi di star a parlare con un giovincello: “Beh…mi ha fatto piacere parlare con qualcuno, ma ora sai, devo proprio andare, ho parecchie cose da fare” Senza aspettare risposta alcuna, girò i tacchi e s’incamminò verso la sua abitazione, nemmeno preoccupandosi ed accorgendosi che il ragazzo, intrigato dalle sue parole e dal suo atteggiamento, ancora la fissava, sedotto dai suoi lineamenti. “Ehi… Bill, baldo giovane…la smetti di guardare ogni ragazza del paese!? Vieni qua a darmi una mano, scansafatiche!” Era il padrone della macelleria, che aveva da scaricare alcune casse dal carretto.
Bill lo guardò con due occhi ridenti, e lo raggiunse. Frank usava sempre come pretesto il fatto che cominciasse a diventar vecchio per farsi aiutare dai baldi giovani, sebbene neppure lui avesse più di quarant’anni. Nonostante questo, era un uomo molto simpatico che spesso ironizzava sulla sua stessa vita, in modo tale che così nessuno si stancasse mai di lui. Era molto apprezzato per la sua laboriosità, tra l’altro era anche molto generoso; dove c’era da dare una mano lui non mancava mai, anche se avesse avuto molto lavoro nella sua macelleria, lui abbandonava, lo stesso, le sue faccende per prestare aiuto a chi si trovava in difficoltà.
Intanto, Josephine nella sua incantevole dimora, rifacendosi ad una ricetta che le era stata lasciata da una vecchia aborigena nel suo ultimo viaggio in Australia, preparava uno spuntino vegetale delicato e sostanzioso, che sarebbe stato seguito da una bella padella di spezzatino. Occorreva rinforzarsi, per far fronte al clima invernale alpino. Più tardi preparò un dolce con le mandorle.
Erano già le due e mezza del pomeriggio, un sole magnifico splendeva fuori e non sapendo cosa fare (che bella sensazione dopo i trambusti della città) decise di chiudere casa e fare una passeggiata lungo il sentiero del Vecchio Tronco, (in lingua originale The Old Tree) che terminava poi su di un ampio prato, tra le colline, come aveva sentito dire in paese. Prese un bastone di legno per difendersi da probabili serpenti e s’avviò entusiasta. Da quanto tempo non camminava in mezzo alla natura… Da sola, ma nello stesso tempo accompagnata dai rumori del bosco, si sentiva in armonia con tutto. Un picchio, da qualche parte, tamburellava il suo becco su di un fusto. Sugli altri alberi notò delle indicazioni, s’avvide subitaneamente che in realtà qualche cerbiatto o qualche alce che si cibavano della corteccia aveva lasciato il segno del suo passaggio. Quanto le sarebbe piaciuto vederne alcuni, anche da lontano si capisce! Non voleva intaccare il naturale scorrimento della vita degli animali, avrebbe, per questo, preferito osservarli nelle loro solite abitudini. Ad un tratto una leggera brezza cominciò a soffiare; era ancora più piacevole ascoltare la foresta. Il soffio del vento disperdeva i suoni ovunque, circondandola come se fosse all’interno di un vortice. Chiuse gli occhi a metà sentiero. Il turbine d’aria che sembrava circondarla aveva sollevato alcune foglie autunnali; come accompagnati dal fogliame, ora, i suoi capelli castani fluttuavano e si dimenavano nell’aria, alzò le braccia al cielo e fu in quel momento che si sentì in completa sintonia con le forme di vita che la attorniavano, conscia finalmente di farne parte anche lei, come mai prima d’ora. Si sentiva come un’aquila che da un masso sporgente su di un pendio roccioso dovesse librarsi in aria, spinta dal vento, senza una meta… E volare…
Aprì gli occhi, conscia di aver camminato anche ad occhi chiusi, aveva ormai raggiunto il pascolo. Sicuramente doveva esserci un immenso tronco da qualche parte altrimenti il sentiero non si sarebbe potuto chiamare Vecchio Tronco…o no?! Invece di esplorare a vuoto il posto, si mise alla ricerca di questo Vecchio Tronco, spostandosi verso la parte boschiva del pascolo.
Improvvisamente sentì uno scroscio… possibile che ci fosse un altro fiume?! Se sì, probabilmente non scendeva dalle parti della sua abitazione, ma faceva un altro giro. Penetrò tra gli alberi servendosi dell’eco, per giungere all’origine di quel fragore. In ogni caso c’era qualcosa, ma non era certo un torrente, bensì la fonte vera e propria: una cascata; ed era meravigliosa, non pensava davvero fosse così grande! C’era una grotta, sbarrata da un grande tronco, che ne proteggeva quantomeno l’entrata. Malgrado mancasse poco al tramonto e quindi all'avvicinarsi del buio, seguì il suo istinto esploratore. Stando ben attenta a dove mettere i piedi s’inoltrava sempre di più al suo interno con qualche difficoltà vista la penombra che non poteva garantirle un’andatura sicura. Sassolini minuscoli crepitavano sotto ai suoi passi, qualche volta inceppava in un buco scavato forse da qualche bestiola, per cui si appoggiava alle pareti. Queste, in alcune zone erano bagnate e ricoperte di muschio; le faceva un po’ impressione affondare le mani in quella cosa pelosa e morbida, mancava solo che le salissero lombrichi sulla mano o altri animali! Mentre procedeva, anche se con poca luce, notò delle raffigurazioni rupestri, che parevano rievocare antichi miti e popoli preistorici. Riproducevano delle caverne davanti alle quali, accovacciati, vi erano dei trogloditi intenti a lavorare delle selci, le loro armi da caccia. Si trattava perciò dell’Era Paleolitica. Non sapeva che anche nell’America Settentrionale ci fossero stati insediamenti come in tutti gli altri continenti; studiando la storia sui libri, l’America sembrava non esistere per nessun altro fino alla sua “scoperta”, nel 1492. Vide che più procedeva più le forme cambiavano aspetto, fin’ad arrivare a delle rappresentazioni più evolute e prossime all’inizio dell’anno mille, si trattava di uomini con delle piume sul capo che ballavano attorno ad un fuoco; di queste visioni non rimase stupita, era a conoscenza del fatto che le popolazioni, che risiedevano in America prima del 1400 fossero Pellerossa, ma non avrebbe mai creduto di trovare tracce sul loro conto. Evidentemente non s’era mai documentata abbastanza. Più oltre c’erano altre testimonianze storiche di quel tipo, ma stavolta la protagonista principale della scena era un’immensa mandria di bisonti che correvano all’impazzata tra le vallate delle montagne, inseguita da coyoti e Indiani che puntavano loro contro delle lunghe lance; alcuni erano muniti di archi con frecce che venivano scagliate sulle prede più deboli; vista la loro scarsa robustezza si sarebbero potute spezzare, su di un esemplare più grande. Gli scenari erano raffigurati con una successione impeccabile, somigliava di star a guardare una diapositiva. Improvvisamente si rese conto che era quasi sera, mancava probabilmente un minuscolo spicchio e il sole poi sarebbe sceso al di sotto dell’orizzonte. Cominciò a pensare che dopotutto il nome di quel sentiero potesse avere qualche significato particolare: non era semplicemente un sentiero escursionistico o sciistico, forse la parola sentiero simboleggiava il percorso di una vita... o come in Australia una linea dei sogni. Sarebbe sicuramente andata ad informarsi di questo, ora era troppo curiosa.
Doveva affrettarsi se non voleva percorrere il sentiero di notte in compagnia di qualche animale strisciante. Fece attenzione a non cadere durante il percorso, conosceva di già ogni singola falla; indi ripercorse nuovamente il tratto al contrario e in meno tempo di prima (gli Dei solitamente al ritorno, hanno pietà di te) si trovò già in prossimità della sua abitazione.
Ad aspettarla non c‘erano solo gli animali del bosco che sostavano un momento prima davanti alla sua porta e scappavano poco dopo al suo arrivo, bensì un uomo; pareva cercasse lei perché si aggirava intorno alla casa e ogni tanto sbirciava dalla finestra per appurarsi che la baita fosse abitata. Josephine, non aveva proprio paura, anche se la mancanza di luce accelerava i battiti del suo cuore rendendola sospettosa e irrequieta, ma quell’uomo non sembrava avesse cattive intenzioni, anzi se ne stava pure per andare, quando, armata da un desiderio di sapere inaspettato, Josephine lo fermò: “Ehi! Aspetti… Aveva bisogno di qualcosa? Abito qui.” con il fiato corto. Il signore si voltò, sorpreso di vederla: “ Si, la stavo cercando.. Mi scusi, sono il falegname del paese Richard Parker, sono venuto a vedere chi abitasse la mia vecchia casa” “Piacere sono Josephine Westree,- accorgendosi di star a parlare col vecchio proprietario aggiunse:- ma la prego entri in casa..”. Parlarono del più e del meno e Josephine, una volta giunti al piano superiore, chiese se l'acchiappa sogni fosse appartenuto a lui. Richard era un uomo singolare, se ne stava sulla porta della camera appoggiato allo stipite e osservava compiaciuto l’arredamento: “Ha dei buoni gusti signorina Westree, - sorrise e poi si rivolse all’acchiappa sogni- quello appartiene a mio figlio che lo lasciò appeso parecchi anni fa, quando cambiammo abitazione a causa del gelo, per proteggere la casa…da beh…dagli spiriti negativi…io non pratico molto la religione indiana, è mia moglie che porta avanti le sue tradizioni, nonostante io non sia indiano sono felice che non si dimentichi dei suoi avi…lei può fare ciò che vuole e mio figlio pure”. Josephine se ne compiacque, era un uomo maturo e sicuramente sua moglie lo amava molto. Pensò a ciò che l’aveva portata a trasferirsi in America, i suoi genitori, i pettegolezzi dei conoscenti, gli innumerevoli fidanzati che la perseguitavano, la sua società dominata da politici corrotti e assetati di ricchezza che inevitabilmente rendevano più povera la popolazione senza scrupoli alcuni… e a nessuno di loro veniva in mente di portarsi avanti le tradizioni, anzi probabilmente non avevano mai conosciuto il significato di quella parola; ora si trovava in un posto diverso, le parole di quel signore l’avevano già incantata; lì la vita sembrava differente, il tempo pareva non scorrere, come la neve che cade silenziosa e altrettanto silenziosamente si appoggia sui tetti delle case, nei cortili addobbati a festa, sui rami dei pini…le venne un improvvisa nostalgia del Natale, e questo sarebbe stato il primo che avrebbe passato lontano da tutti: amici e nemici. Richard la scosse da tutti quei pensieri, quasi intuendoli; così si congedarono amichevolmente e ognuno tornò alle proprie faccende. Ormai però i pensieri avevano cominciato a insinuarsi nella sua mente, anche se Richard l’aveva interrotta, in testa i criceti ripresero ad andare. Cercava di ricostruire i fatti sin dal primo momento che era giunta a Deepwood. Sembrava veramente che avesse tralasciato qualche piccolo particolare: perché Richard era venuto da lei e soprattutto chi l’aveva informato della sua venuta??
Non c’era niente di cui allarmarsi, probabilmente era stata la signora delle chiocce a informare il signor Parker del suo arrivo, già se l’immaginava, aveva incontrato il falegname e parlando delle sue chiocce le era scappato che aveva visto una ragazza nuova in paese, e poi il baldo giovane col carretto…ih c’era tanta di quella gente che non l’aveva mai vista e che quindi l’aveva notata subito, praticamente tutti; non praticamente, tutti e basta. Ma come facevano a sapere dove lei fosse andata ad abitare, quello era ancora un mistero.
“Ah! basta con queste paranoie!” se lo diceva sempre quando si rendeva conto che così facendo non poteva giungere a nessuna soluzione certa.
Cominciava a divenire piuttosto freddo anche dentro casa, quindi uscì con una lampada ad olio a raccogliere della legna nella casetta a fianco dove aveva trovato gli attrezzi del falegname. Il cielo era completamente nuvoloso e l’aria aveva odore di neve. Stava aprendo la porta, allorché un gufo o un altro rapace notturno fecero sentire il loro richiamo che echeggiò fino alle sue orecchie…secondo un detto popolare i gufi portavano sfortuna… “ma guarda te! proprio ora che le cose avevano cominciato a filare per il verso giusto doveva succedere qualcosa…” si rese conto di essere ancora molto superstiziosa; non le era mai del tutto scomparsa la paura del buio, accidenti ai suoi fratelli dispettosi! Si affrettò a raccogliere i legni per non doversi trovare di fronte a qualche…..sì, qualche lupo! Presa dalla sua stessa paura, si mise a correre per raggiungere la porta di casa, ma inciampò in un sasso: lei e tutti i suoi legni caddero per terra; quando cominciò a rialzarsi, alzò la testa davanti a sé e parve scorgere due occhi in mezzo ai tronchi degli abeti, due occhi lucenti! Si mise a imprecare anche se era una donna lo poteva fare, quando ti capitano momenti così, non pensi a niente se non a squagliartela! Entrò in casa e sbatté la porta alle sue spalle, ripose le legna nel caminetto, assieme a della carta di giornale e accese il fuoco. Va bene, lei era una signorina con tutto rispetto , ma quando serviva farsela sotto lo esprimeva senza problemi, ci vuole un po’ di carattere o no? Solo che da sola, non era tanto bello, anche perché potevano giungerli dei pensieri molto strani, che forse non c’entravano niente, ma che, in minima parte, eran dovuti a dei diversi atteggiamenti che assumeva… come ora davanti al caminetto guardando il fuoco, mentre le s’incrociavano gli occhi perché fissava troppo intensamente le fiamme, cominciò a sentirsi a disagio con se stessa, e a non capire. Le sembrava di aver dentro sé il nulla; ogni volta che le succedeva s’impanicava e cercava di rievocarsi da sola. Restava per dei secondi ferma immobile sul posto, mentre il cervello partiva disperato alla ricerca di segnali elettromagnetici per riportarla alla realtà; doveva assolutamente schiodarsi da lì e cercare qualcosa di familiare per ricondursi a sé, si voltò…una libreria, un tavolo rotondo con delle sedie, un tappeto di mucca, dei divani rosso carminio, accidenti, qua non c’è niente! E mentre lo diceva, lo stesso non riusciva a capire dov’era e CHI era, ma era così nervosa…. Il cuore cominciò a batterle forte forte forte, salì le scale e cercò qualcosa di familiare nella stanza da letto. Che cosa le tornava familiare?...sopra al letto vide l'acchiappa sogni..in un lampo le passò davanti il viso di qualcuno, ma non era uno che aveva lasciato in Inghilterra... Ecco fatto, era tornata in sé stessa! “Chi sono io?.... Josephine òa ragazza che viene dall'Inghilterra!” esclamò ad alta voce. Doveva ricordare il suo passato, cercare qualcosa in quell'attimo di perdizione che la riconducesse a se: il passato era l'unica cosa che poteva farle tornare la memoria.
“Scendiamo a preparare la cena, va che è meglio!”diceva parlando da sola , ma le succedeva sempre più raramente ora che era andata a stare lì, anche se QUEGLI EPISODI non l’abbandonavano mai.
La temperatura, da basso, era aumentata di qualche grado. Preparò la cena, più che altro aveva sonno, quindi si limitò a mangiare della minestra. Mentre mangiava, si ricordò della scena avvenuta fuori casa, si diede della scema, aveva 24 anni, ed avere ancora delle allucinazioni di quel tipo…?! certo che era un personaggio! Rise. Ma se non fossero state delle allucinazioni? si mise a ragionare: “Allora..sono in montagna, ma non tanto in alto, se era un lupo poteva esser sceso dalle alture in cerca di cibo..bene la prima preda che trova sono io perché il paese è più in giù! Fantastico devo dire…!” Non sapeva bene cosa fare, se non pensare al peggio ed autoflagellarsi, e si domandava perché le succedeva questo, e si arrabbiava pure. Josephine si faceva troppi problemi per niente, col passare degli anni era diventata sempre più bambina e non le sembrava giusto che dovesse decrescere invece di crescere! Per questo non vedeva l’ora di affrontare la vita senza bisogno di attaccarsi a qualcuno per un aiuto o per un consiglio, voleva imparare a sbrigarsela da sola! Era meglio se andava a dormire, infatti così fece. Si addormentò subito.

CAPITOLO 3

La mattina dopo verso le otto, si alzò, e sorpresa delle sorprese: la neve! Era nevicato tutta la notte, e continuava a nevicare. Bene..avrebbe passato un’intera giornata in casa, doveva inventarsi qualcosa da fare altrimenti si sarebbe annoiata parecchio, decise di dipingere di nuovo. I suoi attrezzi li aveva riposti in camera nella panca vicino all’armadio; dopo aver riassettato le stoviglie avrebbe cominciato l’opera. Era molto brava, in Inghilterra aveva improvvisato una mostra dei suoi quadri, non era andata affatto male, infatti coi soldi che aveva ricavato si era pagata il viaggio fino a Deepwood.
Quando ebbe finito tutte le faccende domestiche, portò in camera la tavolozza, le tempere e ricostruì con molta pazienza la base in legno su cui adagiare la tela. Iniziò tracciando l’orizzonte in matita, anche se c’era ben poco da disegnare visto l’immenso bianco che si trovava di fronte quella mattina. Comunque il suo quadro, piano piano, cominciò a raffigurare ciò che dalla finestra della camera vedeva: il paese, le colline tutte intorno, fino a salire all’ inverso per la collina che portava alla sua casa. Completato lo schizzo a matita cominciò a dipingere: usò sfumature chiare del grigio, per la neve; verde oliva per le colline ancora non del tutto coperte dal manto nevoso, marrone scuro per i tronchi degli alberi in primo piano, giallo sporco per le pareti delle abitazioni che vedeva dalla sua postazione e rosso mattone per le tegole delle case… E andava avanti Josephine con il suo quadro senza accorgersi del tempo che scorreva… la sua mano si muoveva da sola legata all’immagine che aveva già raffigurata nella mente. Sul lato sinistro della tela cominciò a tracciare il sentiero che aveva percorso quella sera, sfumandone i contorni per creare un effetto di comparsa casuale; era contenta che le sue doti artistiche migliorassero di volta in volta, questo quadro era perfetto per essere fissato alla parete della sala e da lì non scollarsi mai, altro che mostre!, al momento non aveva bisogno di denaro, avrebbe dipinto quadri solo per migliorarsi e per arricchire l’ambiente dove si trovava. Quindi, dopo che si fu asciugato bene, lo incorniciò e lo appese alla parete della sala, sopra al caminetto; il calore non avrebbe disciolto le tinte poiché ormai erano impregnate nella tela. Riordinò le tempere ad olio, il blocco degli schizzi e la base in legno decidendo di inserire il tutto nell'armadio; mentre riponeva i vari materiali all'interno, le cadde sul piede qualcosa…sembrava un piccolo portafoglio, curiosa lo raccolse ed appurò che non era un portamonete bensì un piccolo diario, che, secondo quanto scritto sopra, apparteneva a qualcuno col nome di Yiska; fece per riporlo nell’ultimo scaffale dell’armadio visto che non le apparteneva, quando l'acchiappa sogni cadde sul letto. Il chiodo si era staccato…e dove cavolo era finito adesso?? Ribaltò tutte le coperte per trovarlo, visto che non aveva ancora fatto il letto, e lo trovò fra quest’ultimo e il comodino, ma si era incurvato, quindi ne prese un altro nella scatolina sul secondo scaffale dell’armadio e tralasciò di ricollocare il libretto dentro al mobile. Quando riappese l’acchiappa sogni sul muro, senza farci caso riprese in mano il libricino e diede inizio alla lettura.
 
19 dicembre 1995
 
E’ stata una giornata faticosa, mio padre è stato via tutto il giorno, io e mia madre abbiamo dovuto sbrigarcela da soli a rimettere apposto questo rifugio dopo la valanga dell’altra notte. Se n’è andato via dicendo soltanto che voleva che noi ce la cavassimo da soli e avremmo sentito la sua mancanza…beh è stato così; mia madre ha cominciato il suo lavoro piangendo e dicendo che non ce la fa più del suo comportamento, che ripete sempre le stesse cose, che si lamenta sempre, che vuole sempre essere così al centro dell’attenzione non accorgendosi che lo fa nel modo più disonesto.
 
   “Accidenti forse non sono affari miei…” pensava Josephine, ma ormai era troppo presa dalla lettura, il protagonista, o la protagonista, si sfogava molto bene tramite la penna.
 
Io dal canto mio cosa potevo fare?? Le sono stato vicino e la incitavo a lavorare così non ci pensava, la fatica ogni tanto ti aiuta, infatti, dopo l’è passata. A mio padre non dico mai niente, ma verrà il giorno in cui lo farò, perché non può dire queste cose ogni volta che si sente escluso, e dare la colpa a noi, se si sente escluso dovrebbe dirlo apertamente, si vede che ha paura di affrontare il discorso, perché pensa di non meritarci. Non voglio essere cattivo
 
“…Dunque è un ragazzo che scrive…” si accorse Josephine...
 
…dico solamente quello che penso perché vedo come stanno le cose  e come peggiorano di giorno in giorno in questa casa.
Quando c’era il nonno non era così. Il nonno si imponeva su mio padre e lo faceva rigare dritto, coi suoi discorsi saggi quasi sempre riusciva ad evitare un diverbio fra tutti noi, e mio padre, il più delle volte, se ne andava con la coda fra le gambe; la mamma non era contenta quando se ne andava, gli mancava subito. Figuriamoci oggi cos
 
La stesura terminava così. Dopo alcune pagine bianche, riprendeva.
  
24 dicembre 1995
 
Quella sera, mio padre ha bussato alla porta della mia camera e non ho potuto proseguire. Per una volta non ha cominciato ad urlarmi che non sono buono di fare nulla, anzi si è complimentato, sorridendo, del lavoro svolto qui alla baita.
Oggi è la vigilia di Natale, sono le 9 di sera. Nel pomeriggio sono arrivate la zia Liluye e lo zio, con la loro piccola, mia cugina Soyala. Ora sono chiuso in camera. Potrei uscire, andare a giocare con mia cugina, ma non me la sento affatto, voglio stare solo a riflettere con la pipa del nonno tra le mani, che ho chiesto in prestito alla mamma un attimo fa. Riflettere su cosa?? Sul fatto che forse è colpa mia… a volte invece mi chiedo come mai quei due si siano incontrati…mi riferisco ai miei genitori...mi chiedo cos’hanno in comune… Lui è anticonformista, mia madre è molto legata alle sue tradizioni e ai costumi dei suoi predecessori (infatti io ho preso da lei)…mi chiedo come facciano ad andare d’accordo, son sempre che si beccano l’un con l’altro…e io cosa ci faccio qui, cosa c’entro in mezzo a loro... Ho 19 anni subito e mi sembra di averne di meno. Basta! Fumiamoci sopra.
 
Sono molto stanco, la pipa ha fatto effetto… Buonanotte…
Buon Natale…
…Yiska
  
25 dicembre 1995
 
Stanotte ho sognato una ragazza. Non mi capitava da tanto tempo. E’ mattina, sono riuscito ad alzarmi anche dopo il viaggio mentale di ieri sera. Scendo per controllare cosa combinano quei due.
  
E’ sera. Ho passato un buon Natale, non pensavo. Mio padre è stato zitto quasi tutto il tempo, per scusarsi con mia madre le ha regalato un centrino ricamato...che tipo!...e a me ha portato un acchiappa sogni, che ho appeso subito in camera. La mamma ha sorriso quando l’ha visto...forse le ha ricordato che sono sempre il suo bambino, nonostante abbia superato i 18 anni. Codesto oggetto, difatti, ha il potere di scacciare i sogni brutti dalla mente dei bambini al loro risveglio. Anche se ho sentito dire che appeso ad una finestra, scacci gli spiriti malvagi. Strano che mio padre abbia pensato proprio a questo visto che le tradizioni degli indiani pellerossa non gli interessano affatto!
Dopo il pranzo mi sono appisolato sul divano e cosa strana ho sognato di nuovo la ragazza di questa notte. Era carina, mora, con la pelle chiara, e gli occhi neri, ricordo vagamente il nome, qualcuno l’aveva salutata…Katrina o qualcosa del genere, ma era così bella da perdersi dentro, al suo passaggio lasciava una scia indefinita dietro a sé. Quando mi è passata vicino, si è voltata e mi ha sorriso, ma poi è svanita così com’è apparsa. Non so se esiste veramente o se è solo un’allucinazione mentale. La nonna diceva sempre che i sogni avevano un significato o che comunque si potevano ricollegare alla realtà, al passato oppure al futuro, quindi mi viene spontaneo chiedermi perché? Chi sei? Esisti? Ci siamo già incontrati o ci incontreremo in futuro?
Josephine rimase colpita, nessun ragazzo che avesse conosciuto finora, aveva mai provato interesse per i sogni. Voleva già sapere chi era, e incontrarlo.
Siccome non aveva proprio niente da fare, anche se sapeva benissimo che non doveva farlo, anche se si sentiva un po’ traditrice nei confronti di quel qualcuno che scriveva, non dette retta alla sua coscienza noiosa e continuò con la lettura.
 
 26 dicembre 1995
 
Nel primo pomeriggio, quando c’era ancora un po’ di luce, io e mio padre abbiam portato i cani oltre il rifugio, ad un certo punto Nanuk è scappato e per trovarlo abbiam dovuto inoltrarci fin dentro il bosco. Cosa non abbiamo visto là! Dentro ad una grotta, appena fuori sull’ ingresso, c’era una lupa con i piccoli; cose da non crederci Nanuk aveva messo incinta una lupa! Mio padre è rimasto a bocca aperta quanto me. Ci siamo fermati ad osservarli da non molto vicino, poi Nanuk ci è venuto incontro e uno dei piccoli l’ha seguito. Erano davvero belli, tutti pelosi e rotondi, con le giovani orecchiette abbassate, poi la madre ha emesso un breve ululato e il piccolo è tornato da lei, saltellando. Anche io e mio padre siamo tornati da mia madre, senza saltellare però, per raccontarle l’accaduto, e quando giunti a casa abbiamo aperto la porta abbiam visto mia madre circondata dal fumo della pipa del nonno; ho mandato via immediatamente mio padre, perché non vedesse quel che ella stesse facendo,  e le sedetti accanto. Lei con gli occhi persi nel vuoto mi disse: “Ho parlato col nonno…dice che verranno tempi duri…finchè non troverai una risposta alle tue domande”, la guardai, sicuro di mostrare stupore, lei invece mi disse: “Lo so che sai cosa intende”. Il nonno è deceduto quando io avevo otto anni, e da allora la mamma è rimasta in contatto con lui tramite le sue sedute davanti al fuoco; è l’unico modo per sentirlo…vorrei provare anch’io, ma lei dice che è ancora troppo presto, io la ascolto, ma credo di essere abbastanza maturo per essere pronto, cosa ci dovrebbe essere di così sconvolgente poi? Al massimo mi intenerisco…comunque non voglio discutere le sue decisioni. Poi tornò mio padre, e si arrabbiò con noi due, diceva: “Cosa state a perder tempo con gli spiriti!”, mia madre ha fatto finta di niente, io invece son sbottato e ho cominciato ad attaccarlo e a dirgli che se gli davano fastidio le nostre credenze, poteva anche andarsene che a nessuno importava niente, ce la saremmo cavati benissimo senza di lui! L’ho fatto per fargli capire, per fargli comprendere che non può offenderci in questa maniera e pretendere poi rispetto. Non mi ha ascoltato assolutamente, o forse si, non si è capito, l’unica cosa che ha fatto è stata prendere ed uscire. Il fuoco si è spento in quel preciso istante, e mia madre ha avuto un sussulto.
Passa il 25 dicembre e dopo ogni cosa va in sfacelo…come se si dovesse essere felici solo quel giorno…
  
A Josephine scese una lacrima sul viso… Le sembrava di aver già sentito quei pensieri…
 
 27 dicembre 1995
 
E’ mezzanotte, sono in salotto con la mamma, mio padre non è ancora tornato.
 
E’ mattino, siamo stati svegli tutta la notte in attesa che tornasse, ma non ci ha degnato della sua presenza.
E’ colpa mia? No accidenti!
Cosa dobbiamo fare? Aspettare senza muover un dito o mobilitare le ricerche? Da parte mia, non farei niente, sono ingiusto, lo so… ma che ci devo fare...ha offeso la mamma per l’ennesima volta e il nonno per la prima, questa non gliela posso perdonare! La mamma dice: “Tornerà figlio mio, tornerà…abbi pazienza”. Sembra non mancargli, ma so che non è così.
  
Girò pagina per continuare, gemente per le parole che toccavano il cuore, ma vide solamente i resti delle pagine strappate, attaccate alla costa interna del libro. Non osò proseguire, le penetrava dentro, le faceva venire nostalgia delle persone che ora non erano lì accanto a lei.
Prima di riprendersi da quelle confessioni gli ci volle un po’, anche perché le passarono in testa mille pensieri. Come poteva quel signore non rispettare le tradizioni di sua moglie? E abbandonarli così?
Yiska sembrava un ragazzo forte, ed anche parecchio duro con se stesso, ma forse era solo apparenza, anche lui dentro di sè sentiva la mancanza di suo padre.

CAPITOLO 5

Josephine si addormentò.
Nel sogno qualcuno le si presentò di fronte e al suo risveglio ricordò solo queste tre parole: “Segui il lupo…”
Erano già le sei della sera...però!, ne aveva passato di tempo a pisolare. Mentre scendeva le scale…segui il lupo... le tornava in mente… segui il lupo…segui il lupo… “Accidenti a questi sogni… adesso mi metto a seguire i lupi… io che ne ho una paura matta!”
Si affacciò alla finestra, fuori era buio pesto non si vedeva niente, se non le luci lontane delle case in paese, la luna non c’era, anzi probabilmente stava nevicando di nuovo. Riaccese il caminetto, stava poco a gelarsi! Fece per prendere i legni dalla cassetta, ma vide che una delle assi del pavimento era rialzata leggermente; strano che non l’avesse notata prima!, e si disse: “ Bene altre fessure da cui proviene del fresco!” cercò dei chiodi per batterla giù, ma quando andò per fare ciò, vide qualcosa luccicare, quindi mossa dalla curiosità innata dei bambini che le apparteneva, invece di abbassare l’asse, la tolse via del tutto. Vi trovò una collanina fatta con delle stelline di vetro, strisce di pelle di camoscio, e delle piume. Era molto carino, un po’ giovanile, sennonché. Su di un pezzo di cuoio lesse un nome inciso: Liluye. “Che bel nome!” e lo indossò.
 
Dopo cena, si rese ovviamente conto di non avere assolutamente sonno, ma non poteva prendere e uscire a fare una passeggiata, mica era in città! Lì non c’era proprio nessuno ed era così buio che non si vedeva ad un palmo di naso. Si mise a guardare i disegni che aveva fatto in Europa, e verso le 10 di sera si addormentò sul divano.
 Josephine stava ancora sognando, si trovava nel salotto e guardava il quadro sopra il caminetto. Lo osservava attentamente come se fosse stata la prima volta che lo vedeva, stringeva le palpebre per mettere a fuoco l’immagine…si accorse, non senza stupore, che al di sotto dell’immagine in primo piano ve ne era un’altra sul grigio bluastro, che si avvicinava molto ad un volto di un saggio indiano come congelato nei ghiacci, ma... lei non aveva dipinto quella immagine!
Si svegliò di soprassalto. Fuori si alzò il vento, lo potè sentire dall’eco del camino; si stava scatenando una bufera di neve. Un attimo dopo s’avvide che la porta era aperta, e un lupo proprio dinanzi all’uscio, la fissava con due occhi dorati. Spaventata, chiuse la porta facendo finta di non averlo visto. “Basta! Che cosa volete da me?!” si mise ad urlare, come se il vecchio indiano del suo sogno potesse sentirla. Non poteva essere di nuovo una cosa casuale… “No, questa volta no…è troppo fatto apposta perché io apra la porta e segua il lupo..”. Riaprì la porta di casa, molto molto lentamente, sbirciando dalla fessura. La prima cosa che notò fu che non c’era più vento…un’insolita calma ricopriva la collina, la neve cadeva leggera, la bufera di prima era durata pochi secondi, quei pochi secondi in cui lei vide il lupo e da esso si lasciò intimorire. L’animale, stavolta, era accovacciato vicino alle pietre sotto la finestra, quando sentì la presenza di lei, si alzò sulle 4 zampe e la guardò. Certo un po’ di paura faceva, ma c’era qualcosa di diverso in lui dagli altri lupi…sembrava più un husky che un lupo vero e proprio; le sue forme erano più rotonde e morbide, e gli occhi erano meno freddi, più dolci. Le abbaiò…appunto, le abbaiò…incitandola a seguirlo..proprio come la voce le aveva consigliato in sogno….già peccato che era ancora buio…e seguire un lupo in mezzo a quel buio, certo non era un impresa facile e tanto meno intelligente. Ma non potè indugiare perché il lupo-husky la tirò per i pantaloni e sapeva bene che doveva seguirlo per arrivare a quel qualcosa che, da un paio di giorni, le frullava in testa non riuscendo, però, a capire cos’era.
Era quasi piacevole seguire quell’animale in mezzo alla neve, le parve di tornare bambina, quando correva con Spirit nel parco innevato dietro casa; non si accorse, ma si mise a correre veramente, senza neppur domandarsi dove il lupo la stesse portando. Ed ad un tratto cominciò a gridare “Spirit coraggio, prova a prendermi!”, superò di qualche metro il lupo che la rincorse, la raggiunse e la gettò a terra. Josephine, lanciò un urlo di sgomento, percepì che non era mai stato Spirit quello che correva con lei e che ora gli stava sopra, urlò di nuovo, ma la bestia non gli si levò di dosso, anzi abbassò il muso sulla sua faccia! Josephine intanto irrigidita dalla sua stessa paura fissava il suo aggressore, che però le leccò la guancia. Dopo un attimo sentì qualcuno chiamare “Nanuk! Vieni qua di corsa!”; il cane-lupo le si levò di dosso immediatamente, e lei intanto cercò di rialzarsi, ancora sconcertata dall’accaduto. Quando alzò lo sguardo intravide tra i rami qualcuno accarezzare la schiena del lupo, che le venne nuovamente incontro e che la strattonò per i pantaloni. Quella persona le venne vicino e le disse: “Mi scusi tanto dev’essermi scappato” “Oh ma certo, scuse accettate guardi, mancava poco che mi venisse un infarto, ma le sembra il modo di tenere un animale questo? un lupo tra l’altro…” gli rispose seccata, mentre si toglieva la neve di dosso, poi alzò gli occhi e .. Josephine sapeva di avere gli occhi sgranati dalla sorpresa e di essere arrossita subitaneamente, quanto era affascinante questo ragazzo...oppure uomo?! Benché lei avesse dato una risposta ironica e secca, lui era ancora lì che la fissava. Josephine si scusò, balbettando: “Scu..scusami mi…mi dispiace”, lui cercò di rendere meno imbarazzante la situazione: “Ah ora ho capito chi sei! Tu sei la ragazza straniera..che modo strano di conoscersi eh!” e disse tutto questo ridendo. Sorrise ancora incredula, Josephine. Imbarazzata ancor più di prima da quei pensieri che le frullavano nella mente, accarezzò il cane: “Ehi Nanuk…si chiama così vero? Che bello spavento che mi hai fatto prendere..” e seguitarono parlando del cane. Così lei venne a sapere che Nanuk era un incrocio fra un lupo e un husky, un cane da slitta; e che il ragazzo, ne aveva altri tre a casa. Il padre, l’husky, era morto per un tumore, in età ancora giovane. “Nanuk comunque è abituato a girare liberamente per la foresta, sa ritrovare la strada, anche se questa volta si è allontanato più del previsto… fino alla vecchia casa non si era mai spinto…” disse con un sorriso e gli disse ancora sconvolta: “me lo sono trovata sulla porta di casa venti minuti fa circa…prima mi ha fatto prendere un bello spavento, poi sinceramente ho richiuso la porta terrorizzata, e quando l’ho riaperta era accovacciato vicino alle pietre sotto la finestra…” raccontava Josephine tentando di nascondere un lieve imbarazzo. “Fino a casa tua…??” “Certo! Ho comprato quella casa vicino al sentiero del Vecchio Tronco…e mi ci sono trasferita poco più di 2 settimane fa…è molto bella, mi ci trovo proprio bene…” Mentre parlava osservava le sue labbra, nella speranza che lui non si accorgesse, rosse come fragole, due grandi occhi verdi, la cui forma dolce ma al contempo triste e misteriosa le ricordavano qualcosa di familiare; aveva lo sguardo di una persona che si era formata nel tempo, superando le difficoltà. Il suo viso aveva dei lineamenti ben definiti, voleva sfiorare quelle guance, passargli le dita fra i capelli lunghi, brillanti e neri come il carbone. Ma decise di darsi una calmata, possibile che ad ogni ragazzo che incontrava le venivano sempre in mente pensieri sessuali?? “Fammi capire bene…ti sei trasferita da poco in quella casa….??” Josephine gli rispose: “Si perché? A proposito… E’ venuto un signore qualche giorno fa…Richard Parker..ha detto di chiamarsi…diceva di abitare lì, prima di trasferirsi da un’altra parte, tu lo conosci?…” Josephine lesse la sorpresa nei suoi occhi ma non disse niente anche quando lui, con un filo di voce, le rispose: “ah no no…scusami ora devo proprio andare…Mi ha fatto piacere conoscerti, Josephine. A presto…!” E se ne andò così, col cane al seguito. Josephine rimase di sasso, così tornò verso casa.
Solo dopo un’ora si riprese dal suo nervosismo insensato; l’immagine di quel ragazzo che se ne andava le era rimasta stranamente impressa. Inoltre c’era qualcosa che le sembrava di aver tralasciato, qualcosa che non era invece da tralasciare! Ma non si sforzò, poiché sapeva che non si sarebbe ricordata della cosa, talmente era presa dallo sguardo profondo del ragazzo e dal desiderio che si era acceso dentro di lei.

CAPITOLO 5

In biblioteca, avrebbe trovato qualche notizia sul Sentiero del Vecchio Tronco. Alla Reception della biblioteca c'era una signora molto bella, aveva un sorriso veramente dolce e sopratutto era di una gentilezza fine. Le indicò in che scaffale cercare le informazioni di cui andava cercando e stranamente era nella sezione Costumi & Tradizioni, non nella sezione Percorsi Escursionistici come aveva pensato.
In mezzo a fascicoli di ogni tipo riguardanti gli usi e i costumi ad un certo punto scorse un libro dalla copertina molto datata, tenuta insieme da dei comunissimi pezzi di scotch – pensava che le cose venissero tenute meglio da quelle parti- non appena vide il contenuto e si rese conto di quale importanza avesse per lei quel libro andò immediatamente dalla bibliotecaria a chiederle come mai un libro talmente prezioso fosse conservato in così malo modo. La signora Lilian era in evidente stato di imbarazzo, Josephine sapeva che la colpa non era sua, appunto per questo voleva parlare col titolare di quella biblioteca!
-Signorina prego c'è qualche problema, che sta inveendo così sulla mia fidata impiegata?-
Joy si voltò, un uomo sui 50 anni con una smorfia al posto del sorriso che lo faceva assomigliare ad un serpente, con i capelli grigi e una folta barba- che non gli donava affatto- la guardava dall'alto al basso.
Certo- rispose lei- com'è che questo libro è così rovinato, possibile che non vi prendiate cura voi proprio voi di quello che esponete in questa biblioteca?
L'uomo prese il libro in mano, lo guardò e disse: Signorina deve scusarmi, ma come ben lei sa e pure le ha dato il nome appropriato, questa è una biblioteca per cui i libri si prestano, è logico che passando di mano in mano un libro si rovini col passare del tempo....
oh oh certo, disse Josephine ridendo– e lei è il titolare? Titolare di cosa che non tiene neppure a cuore i suoi libri. Per evitare che la prossima persona glielo distrugga definitivamente io glielo compro per 15 dollari, cosa ne dice??
Quel libro ne valeva molti di più, ma quel tizio non ne sapeva niente.
Signorina lei è veramente una cosa incredibile, prima mi accusa di tenere male i miei libri e ora mi vorrebbe dare dei soldi..crede che io sia così scemo, se lo tenga pure se le fa piacere!
Era ancora più scemo di quanto aveva pensato, ah ah l'aveva fregato! Salutò la bibliotecaria, che si scusò da parte del titolare per la scenata e se ne andò!
Lilian guardò Ektor, e gli disse: <>
<>
<>
Dirigendosi verso casa, iniziò a leggere il libro. Come appunto il titolo le aveva dato a pensare, non si trattava di una guida di escursionismo, ma era una raccolta di detti e usanze del popolo indiano che viveva nella zona. Non era tanto vecchio come volume, l'unica ed ultima stampa era datata settembre 1930. Era un uomo a scrivere, certamente un saggio indiano:

Dedicato a mia figlia Liluye e al mio nipote speciale Yiska

Josephine non poteva credere a ciò che leggeva, quindi prese a leggere avidamente.

La nostra Terra è preziosa, la nostra Terra ci dà la vita e dobbiamo rispettarla. Tutto è vita; anche il sassolino più minuscolo che ci troviamo davanti, una volta faceva parte di una grossa montagna, poi gli agenti atmosferici l'hanno trasformato con il passare del tempo, ma non per questo ha perso la sua rilevanza e la sua essenza. Raccogliendolo nella mia mano posso sentire ancora tutta la sua energia. Tutto è importante, mentre cammino su uno di questi tanti sentieri, osservo gli alberi, tocco i loro tronchi e la loro energia mi penetra nella pelle, sento che mi stanno dicendo: - noi siamo qui per voi, aiutateci a trasmettervi tutta la nostra saggezza, imparate ad amarci e a parlarci quando vi chiediamo la vostra attenzione, con un soffio di vento le nostre fronde si muoveranno e percepirete la nostra voce.-. La montagna è l'entità più vicina a Nostra Madre Terra, un luogo sacro per noi indiani, qui dimorano gli dei più grandi, con la loro maestosità ci dimostrano quanto Madre Terra sia potente. Noi amiamo la montagna e i segreti che essa cela. Osservando la parete di ciascuna di queste magnifiche creature non si potrà non provare un brivido, che diverrà un esplosione di sensazioni suggestive quando il vostro sguardo sopraggiungerà le loro cime, là dove tutto si mostra al cospetto della Madre di Tutto, la Sua forza è immensa.
Naturalmente tutto era stato tradotto dall'indiano locale all'inglese.
Più avanti venivano riportati i pensieri di un Saggio Indiano*:
“E' dolce pensare a te quando le foglie e l'erba assumono i colori e le tonalità dei crisantemi e la luce del sole tinge d'oro la foschia autunnale. Mi accarezza il pensiero di te quando tutto tace nella notte.
E' confortante sapere che la tua fede supera le tue paure, che la pace permea la tua intera esistenza.
E' con gratitudine che riconosco quanto tu sia saggio oltre l'umana conoscenza, e quanto tu sia buono, anche quando avresti ragione di non esserlo. Tu sei il Grande Spirito, l'amorevole ed infinita Presenza che ci benedice ad ogni ora.”
Dopo aver dato una prima letta, si rese veramente conto di aver fatto un vero affare. Era la risposta a tutti i suoi problemi, era come avere in mano una guida morale. Il suo Spirito si sarebbe nuovamente manifestato in tutto il suo splendore. Ora che ci pensava, era più di una settimana che quegli episodi di perdizione mentale non le capitavano, forse lassù stava veramente ritornando a vivere, stava ritornando ad essere quella piccola bambina innocente che era stata. Fin da piccola infatti quando si trovava nell’orto di casa dove vi erano piantati alberi da frutto, si ricordava bene, che in primavera usciva dalla corteccia dei suoi alberi, della pece o vi si aprivano, in essa, dei buchi nodosi ; a lei ricordavano delle ferite, allora spezzava il gambo di un soffione e con la sostanza lattiginosa che ne usciva curava la ferita del pesco e lo rassicurava che tra non molto si sarebbe sentito meglio…saggezza innata e innocenza pura. Si sentiva orgogliosa di quella premurosa bambina che era stata, e rendendosi conto di pensarla come i Pellerossa, avrebbe perchè no?!... potuto avere qualche avo Pellerossa!! Era molto eccitata all'idea, anche perchè si sarebbero potute spiegare tante cose del suo carattere! Era venuto il momento di riscoprire dentro sè queste sue qualità, che dispiaceri e brutte situazioni della sua vita avevano temporaneamente offuscato.
Mentre scendeva giù per il sentiero innevato, vide dei bambini con la slitta e i cani, giocare. Una bimba le venne vicino e le chiese: “Vuoi giocare con me?” Certo che si fidavano molto di chiunque, questi bambini: “Ciao piccola, sicuro che voglio giocare con te. Mi chiamo Josephine, tu come ti chiami?” Intanto che giocavano a palle di neve e costruivano il pupazzo la bambina si era aperta con lei e, quindi, scoprì che era indiana e che si chiamava Soyala; abitava fra gli abeti in una baita poco più in su della sua, adiacente alla casetta della zia e del cugino; vista la splendida giornata la mamma l’aveva lasciata uscire. Ad un certo punto Soyala le si sedette accanto e le prese le mani, le tolse i guanti e ne lesse i palmi: “La vita ti ha serbato una bella sorpresa, ma forse l’hai già ricevuta… Ehi ma dove hai trovato questo?” Si riferiva al bracciale in piume e pelle di camoscio. “Ah questo..l’ho trovato nella baita dove ora abito, e siccome era bello me lo sono messa addosso” “Questo bracciale è della zia Liluye…vieni su con me, te la farò conoscere e le dirò che le hai ritrovato il suo caro bracciale”, ma Josephine si tirò indietro” Liluye -pensò- non è la prima volta che lo sento...ma certo il libro è dedicato a una Liluye...oh Santa Madre Terra!” Ebbe improvvisamente timore della fatalità del caso e rispose a quella bambina con un filo di voce: “No, Soyala…riportaglielo tu…ciao” gli diede il braccialetto e scese correndo giù per la collina. Soyala la guardò andare via con una faccia che faceva trasparire mille domande e nessuna risposta.
Ecco cos’era quella cosa che non le veniva in mente: la casa in cui abitava ora, il diario di Yiska, quel che le era successo alla mattina presto, il libro che aveva preso in biblioteca: c’era un collegamento fra tutte queste cose! Come aveva fatto a non accorgersene prima!
“No, no, accidenti troppe cose ingarbugliate non ci capisco niente!”. Decise di andare a casa a riordinare i pensieri, magari..oh certo! Quel diario…

Soyala corse dalla zia Liluye, su per la collina affondando gli stivali nelle neve fresca appena caduta:
“Zia! Zia! Il tuo bracciale, l'ho ritrovato!”
“Ciao piccola. Il mio bracciale? Oh Santa Madre Terra! Dove l'hai trovato?”
Soyala non sapeva bene se dire la verità o meno, la madre le diceva sempre di non parlare con gli sconosciuti e se lo avesse saputo, sarebbero stati sicuro due giorni senza cibo, ma..quella persona sconosciuta era una ragazza, giovane, e non aveva sentito vibrazioni negative quando le aveva preso i polsi
“Una ragazza, zia, ce l'aveva al polso. Mi ha detto di averlo trovato sotto le assi del pavimento di casa sua..”
Liluye era sgomenta, ma non lo diede a vedere alla piccola “Grazie Soyala, per me è molto importante che tu l'abbia ritrovato”
“No zia, non sono stata io a ritrovarlo, ma quella ragazza là”
---Chissà chi era quella ragazza, e cosa ci faceva nella sua vecchia casa.....---

CAPITOLO 7

Non poté correre verso casa e spalancare la porta per andare a leggere quel diario perchè quel signore, quel Parker, era di nuovo davanti alla sua porta, ma questa volta teneva in mano un grosso libro, e sembrava veramente intenzionato a non andarsene finché Josephine non fosse tornata, in quanto lo vide sedersi sugli scalini antecedenti la porta di ingresso ed a sfogliare un..album. Era un album di fotografie. Josephine non riusciva a vedere le foto, però doveva trattarsi di qualcuno a cui quest'uomo teneva molto poichè accarezzava le foto e aveva un'espressione piuttosto triste addosso.
Per sbirciare mise male un piede su di un masso dietro cui si era nascosta, e cadde a lato della catasta di legna per l'inverno. Il signor Parker la vide subito, la guardò stranamente, lei si sentì in dovere di dire: “ah ah mi scusi, sono sempre un po' giocherellona, prego entri pure, vedo che ha qualcosa da mostrarmi se non sbaglio...” Il signor Parker annuì e sorrise divertito per il ruzzolone di Joyce. 
Di fronte al caminetto e ad una tazza di cioccolata calda il Signor Parker cominciò a raccontare:
“Sono venuto da te perchè qualcosa, che non so spiegarmi cosa sia, mi ha suggerito di approfondire la tua conoscenza, e un sogno strano che ho fatto questa notte, mi ha spinto a tornare qui da te...”
Allora non era lei l'unica a sognare, un altro pezzo del puzzle si stava concatenando agli altri, quindi si interessò ancora di più alla cosa...
“Non è un caso se ti ho portato questo album, poiché nel sogno di stanotte sentii la voce di un uomo dirmi: <>; questo album racchiude tutti i miei ricordi più belli di quando stavo ancora con la mia ex moglie e con mio figlio, certo sono passati tanti anni e ti domanderai come posso ancora pensare a lei... Però non posso fare a meno di pensare a mio figlio, a quello che gli ho fatto passare, e a quanto inevitabilmente io mi senta in colpa per non averlo capito e rispettato.”
Non conoscendo assolutamente quell'uomo a Josephine potevano venire in mente tante idee strane: cosa poteva aver fatto quell'uomo a suo figlio?? Le veniva da pensare alle cose più brutte, a causa di quello che aveva passato lei in Europa; sperava di non doversi confrontare nuovamente con quella realtà, e con questa speranza continuò ad ascoltare quello che l'uomo aveva da dirgli.
A quel punto forse per raccontarle meglio i fatti, o più che altro i suoi ricordi, Richard aprì l'album e le mostrò le fotografie:
“ Vedi qui siamo a casa, questa casa, noterai sicuramente la collocazione delle finestre...e il caminetto... Questa è mia moglie, scusa la mia ex moglie Lilian, questo è suo padre Joseph. Mio figlio li ha immortalati in questa foto, mentre stavano invocando gli spiriti delle montagne, intonando un canto, di cui io non conosco le parole, in lingua indiana.”
A quel punto Josephine ebbe un fremito, il padre dell' ex moglie di Richard assomigliava terribilmente al vecchio che le era apparso in sogno, ma non proferì parola sulla sua visione notturna, e lo lasciò continuare.
“ Il padre di Lilian è morto qualche anno dopo, mio figlio è stato molto male, perchè per lui non è passato a miglior vita solo un nonno, ma una guida spirituale, quale lui era realmente. Mia moglie..., scusa la mia ex moglie, ha avuto un bel daffare con me poi... Si io sono stato sempre contrario a queste loro tradizioni, e dopo la morte di Joseph ci siamo allontanati sempre di più, perchè lei continuava a parlare con suo padre dall'aldilà, e aveva insegnato pure a nostro figlio le tecniche per parlare con gli spiriti di coloro che erano stati in vita prima, e io non potevo al tempo sopportare questo... finchè non ha chiesto il divorzio...”
Josephine era a bocca aperta e cominciò a capire, cosi pensò a voce alta “ I sogni hanno sempre ragione...”
“Come? Cosa hai detto?”
“pensavo a voce alta ma mi sento in dovere di dirle alcune cose ora che lei si è aperto in questo modo con me...non è facile per me, perchè capisco che sia un argomento piuttosto delicato...e la prego non pensi che la sto prendendo in giro, ma... un paio di giorni fa ho sognato questo uomo che lei dice essere il padre della sua ex moglie, materializzarsi su questo dipinto, vede questo appeso sopra il caminetto, in una nuvola di fumo, e pochi giorni prima ancora qualcuno nel sonno mi disse di seguire un lupo...”
L'uomo restò stupito, e poi disse: “ se me l'avessero raccontato quella volta non ci avrei creduto e mi sarei messo a ridere, ma ora che queste cose capitano anche a me, credo proprio che io debba rivedere certi miei atteggiamenti che ho tenuto in passato e cominciare a credere un po' di più...”
Josephine sorrise, perchè anche questo confermava il fatto che si può sempre imparare qualcosa nella vita, a qualsiasi età. Ma Richard colse in quel sorriso una risposta positiva al suo bisogno di aiuto - “ cosi sembra che...io e te non ci siamo incontrati per caso... il sogno più che altro mi ha fatto capire che tu sei venuta qua per uno scopo...”

Per Josephine non era facile, lei aveva capito tutto quanto anche fin troppo bene, il ragazzo che aveva scritto quel diario era collegato con quello che ora gli stava dicendo quell'uomo. Non poteva violare ulteriormente la privacy di questo ragazzo dicendo a quest'uomo che aveva trovato un diario al piano di sopra per togliersi ogni dubbio o curiosità. E poi quest'uomo era arrivato fin da lei con la convinzione che lei lo avrebbe aiutato solo perchè un sogno gli diceva che forse lei era la soluzione... Doveva pensarci bene, non poteva prendere ora e andare a cercare una persona sconosciuta, per fare cosa poi, aiutare questo Parker che tutto sommato era uno sconosciuto pure lui. “ Io la capisco perfettamente, ma vede io sono qui da poco più di un mese, e non conosco nessuno. Mi sembra come di forzare le cose, poi secondo me non ha ancora abbastanza elementi che confermino il fatto che io proprio io, sia la sua chiave... La prego non mi fraintenda, eppure nonostante anche io abbia in questi giorni fatto dei sogni strani, che vogliono forse rivelarmi qualcosa, non vedo fatti certi su cui lavorare, e io sono una persona piuttosto pragmatica se si tratta di cose delicate come questa. Secondo me dovrebbe aspettare dei segni più concreti.”
A quel punto Richard si sentì in imbarazzo e si scusò di averla disturbata, la ringraziò per il tempo che le aveva concesso e la salutò. Josephine rimase un po' cosi... ma d'altronde era stata lei ad allontanarsi da quella situazione, dicendo a quell'uomo praticamente che non l'avrebbe aiutato. Vide l'uomo andare via da casa sua con un'aria tremendamente affranta.

Si sentì in colpa per aver mandato via il falegname in quel modo.

Il titolo diceva: “la magia del Grande Spirito è in noi”, era un capitolo del libro trovato in biblioteca
Questo sentiero per me e i miei antenati ha un significato particolare: ognuno di noi l'ha percorso, invocando gli spiriti della natura e parlando con loro. Nella grotta di questo vecchio sentiero io e mia figlia abbiamo compiuto degli incantesimi e abbiamo intonato dei canti. Da questa grotta sfocia l'Old River, nelle quali acque anche qui sono stati praticati dei riti di iniziazione, da tempi immemorabili. Per tutta la popolazione di Deepwood (eccetto forse qualcuno) questo è un luogo sacro.
Spero tanto che anche tu nipote mio un giorno possa vedere quanto immenso è l'amore del Grande Spirito per tutti noi, e seguire le tracce che ho lasciato in questo mio lungo cammino. Tua madre ti aiuterà, anche se sembra che tu sia già destinato a seguire le nostre orme e a mandare avanti le nostre tradizioni.
Preparò la cena, sempre con i discorsi del Signor Parker e le parole scritte dal saggio indiano appena lette, che le frullavano in testa.

CAPITOLO 8

Un meae dopo armata da una incredibile voglia di fare, scese in paese con un pacco di curricula in mano, che li consegnò in tutti gli alberghi del paese. Vivere lì sarebbe stato più facile con un entrata di denaro in più, anche se al momento non ine aveva una reale necessità, in quanto i risparmi degli ultimi 12 mesi erano piuttosto sostanziosi. Persa nei suoi pensieri, camminando a testa abbassata, finì per scontrarsi con qualcuno; una figura dai capelli lunghi e neri...“Guardi dove cammina o da un giorno all’altro finirà con la testa contro il muro!” Che figure…alzò gli occhi e rimase letteralmente di stucco: era il ragazzo con cui si era incontrata per caso nel bosco, più che per caso, il lupo, Nanuk l'aveva portata da lui..e...no ora doveva troppo chiedergli delle cose “Senti, prima di tutto scusami, poi devo chiederti un immenso piacere...vorrei parlarti di una cosa che mi turba, non so perchè mi rivolgo a te che nemmeno ti conosco, però...” Lui rimase incredulo, di cosa doveva parlarle questa ragazza appena conosciuta? Ma non le dispiaceva affatto passare del tempo con lei, per cui le rispose che non aveva nulla da fare e si diressero in piazza, con calma. Josephine non sopportava quei momenti di silenzio per cui lo interruppe dicendo: “Tu, hai detto l'altro giorno, che il tuo cane non si era mai spinto fino alla vecchia casa...era casa tua un tempo.. come ti chiami?“ era sbigottito dalla velocità nervosa con cui Josephine pronunciava quelle parole, e non rispose.”Ok- disse Joyce- forse devo prima dirti quello che mi è successo in questi giorni perché tu possa capire e rispondere a questa domanda…” “Esatto” rispose. “Bene...l’altro giorno, dopo la prima nevicata, mi sono messa a dipingere, è il mio hobby; dopodiché ho riposto la base in legno nell’armadio e in quella mi è caduto qualcosa sui piedi…era un diario…scritto da un ragazzo, che abitava li…si…l’ho letto, so che non avrei dovuto farlo . – Joyce aveva assunto un tono diverso– ah e qualche giorno dopo il mio arrivo, il falegname... il signor Parker è venuto da me dicendomi che quella in cui vivo ora è la sua vecchia casa. Ieri pomeriggio è tornato da me e mi ha mostrato delle foto sue personali che raffigurano suo figlio, la sua ex moglie e il nonno materno di suo figlio...” lui non rispose, la fissava solamente negli occhi. “dopo mi sono sognata che appariva un uomo sul mio quadro e mi diceva di seguire il lupo, poi cosa ancora più incredibile gli occhi di quel saggio si sono illuminati e, cosa ancora più assurda, la mattina quando mi sono svegliata ho visto un lupo sulla porta accovacciato! Credevo di essermi sognata tutto finchè non ho visto il TUO cane sulla mia porta di casa!” Trasse un respiro profondo, perché aveva parlato senza fermarsi. “Certo che hai una bella fantasia, Josephine!” “No no altro che fantasia! Questo sogno che ho fatto indica qualcosa veramente! Mi stai guardando come se tu stessi pensando che sogno ad occhi aperti”, cercò di calmarsi, sapeva che era stata lei a sbagliare prima di tutto, a farsi i fatti degli altri e leggere diari che non le appartenevano; sapeva anche che lo conosceva da pochissimo e che forse era riservato, e gli disse: “Hai ragione sai, non ci conosciamo come fratello e sorella o amico e amica, siamo dei perfetti sconosciuti a entrambi…quindi ti capisco se non vuoi aprirti con me…scusami…” e fece per andarsene, ma lui la prese per il braccio e la bloccò ponendosi davanti a lei, a meno di dieci centimetri, non erano mai stati così vicini; lei alzò gli occhi e si ritrovò davanti quelli di lui, che la studiavano, aveva caldo, le batteva forte il cuore; lui sorrise e le disse: “Come sei bella…quando ti imbarazzi”. Dopo quella frase, a Josephine sembrava di conoscerlo da una vita, arrossendo sorrise e gli disse: “Ma dai, cosa stai dicendo??”. Non riuscirono più a tornare sul discorso di prima, forse aveva fatto apposta per non rispondere a quelle domande, però non voleva pensarlo, voleva lasciarsi cullare dalla dolce apparenza che anche lui sentisse per lei le stesse cose che lei provava per lui. Si avviarono verso casa di Josephine dal momento che stava già calando la sera.

CAPITOLO 9

Josephine rimase a fissarlo per un po' sulla soglia. Il lampione esterno della casa rendeva ancora più delineati i lineamenti di quel viso, e i suoi occhi... assomigliavano a quelli di un lupo... “No non può essere, pensò Joyce, vuoi vedere che...” doveva stare con lui il più a lungo possibile, quindi gli fece una proposta forse un po' azzardata, ma cosa aveva da perdere? :“Cosa ne dici di cenare da me? Sempre se non ti aspetta qualcuno a casa...?”
“No... anzi mi farebbe piacere, così possiamo conoscerci meglio..”
Josephine si diede da fare non per sorprenderlo, ma per rendere la serata molto piacevole, mentre preparava da mangiare e gli offriva del vino, il ragazzo si aprì a lei, così da non sembrare neanche più riservato come prima.
“Direi che è venuto il momento di raccontarti un po' di me...Quel ragazzo che hai visto nella foto, sono io. Questa era la mia vecchia casa. Abitavo qui con mio nonno, mio padre e mia madre. Devo dire che non è cambiata molto, e apprezzo il fatto che tu la stia tenendo così bene, tanto quanto mia madre, sarebbe orgogliosa di te.”
Josephine inghiottì la saliva con un tonfo e lui sembrò non notare la sua faccia sorpresa e continuò raccontando la sua storia:
“ Sono mezzo indiano come puoi vedere, poiché mia madre è indiana e mio padre è americano. Questa casa racchiude mille segreti e mille canti, che io mia madre e mio nonno intonavamo insieme davanti al caminetto, in salotto. Mio nonno è morto quando io avevo 8 anni...”
“Io sono Elwood, mia madre Lilian e mio nonno, si beh lui si chiamava Joseph, i nostri nomi indiani sono rispettivamente Yiska.... Liluye.... e Old Tree.”
“Non ci posso credere tu sei Yiska!!! Oh mio Dio – e pensò: io allora ho letto il suo diario- mi dispiace – disse- per tuo nonno, e mi dispiace anche per tuo padre...”
“Mio padre? Che cosa intendi?”
“Ah ah non fare finta di niente, io so di te molto più di quanto pensi, il tuo cognome è Parker, perchè non mi hai detto niente prima quando ti ho accennato al fatto che avevo trovato un diario, e che il Signor Parker è venuto da me con un album della sua...della vostra famiglia?Aspetta...vado a prendere ciò che ormai credo di capire appartenga a te...”
Salì la scala a chiocciola di corsa, lui la seguì su per le scale, quando vide come lei aveva arredato la camera rimase a bocca aperta. Nulla era mutato, e si ricordava benissimo con una punta di dolore l'abbattimento del muro, che aveva fatto si che la sua camera si inglobasse in quella dei genitori. Aveva in mano un libricino dalla copertina di cuoio sgualcita, che lei con mano sicura gli porse.
“Direi che è tuo...”
“L'hai letto?...” “Si, mi dispiace, so che non avrei dovuto...” “No infatti...” Non disse altro. Josephine si sentì estremamente in colpa, che cosa mai aveva fatto? Aveva violato la privacy di uno sconosciuto e ora, ….questo poteva rendere vano ogni tentativo di approccio con questo ragazzo. Si alzò e andò alla finestra, cominciò a dire che gli dispiaceva, che forse non avrebbe neanche dovuto giustificarsi, ma le veniva naturale dire che qualcosa dentro le aveva detto di proseguire con la lettura; in quel momento lui la interruppe e disse: “ Però credo che non tutto il male venga per nuocere... Cosa ti ha detto il Signor Parker?”
Con una punta di ironia, triste, perchè colpevole, lei gli rispose: “Tuo padre, mi ha mostrato il vostro album di famiglia, su di un primo momento non capivo cosa volesse da me però quando mi ha detto che un uomo gli aveva parlato in sonno e gli aveva detto che quella ragazza – che poi sarei io- che abita nella sua vecchia casa c'entrava qualcosa con lui, non ho potuto non credergli e soprattutto non ascoltarlo. Vedi Yiska – e lo disse con un sorrisino malizioso- da circa quattro giorni faccio sogni strani, credo a questo punto che fosse tuo nonno nel mio sogno a parlarmi...”

Elwood riflettè per qualche minuto. Effettivamente molte cose sembravano combaciare e portare a lei. Così esordì; “ Chiunque abbia un'anima pura, automaticamente porta un'energia potente che può raggiungere altre dimensioni. Può essere che la tua sia giunta fino a mio nonno. Ti ha detto qualcosa in particolare?”
“Mi ha detto di seguire il lupo. Come ti ho raccontato poco prima fuori casa, al mio risveglio mi sono ritrovata un lupo accovacciato davanti la porta di casa...che poi non era un lupo, ma il tuo Nanuk...”
“ Si, mio nonno vuole dirti qualcosa... vuole dirci qualcosa...forse è arrivato il momento...”
“Il momento per cosa?”
“Il momento che ognuno si prenda le proprie colpe e le proprie responsabilità, e che qualcuno ammetta che esiste qualcosa di superiore a noi che vuole dirci qualcosa...
Mio padre come avrai dedotto era contrario ai riti che praticavamo perchè li credeva fuori da ogni possibile raziocinio umano, e che le tradizioni di un popolo ormai estinto dovessero morire con esso. Quello che non ha mai accettato quindi, era che il popolo Pellerossa, e con esso le sue credenze, non sono e non erano realmente morti, ma si tramandano di generazione in generazione come è giusto che sia, anche per non dimenticare che il popolo Pellerossa è stato spazzato via ingiustamente e brutalmente dai coloni. Noi dal canto nostro eravamo troppo orgogliosi e per così dire patriottici, così tanto da difendere a spron battuto i nostri miti, senza accettare che qualcun altro non potesse concepire il nostro mondo, e anzi lo considerasse una cosa assurda. Successivamente alla scomparsa di mio nonno si crearono i primi contrasti, poichè il nonno riusciva a calmare mio padre e proteggere quello in cui credeva, se stesso, me e mia madre da un uomo troppo scettico qual è stato mio padre. Lui si allontanò sempre di più da noi, tanto quanto noi continuavamo a professare la nostra fede nel Grande Spirito, e questo ferì mia madre veramente tanto. Lei percepì dal suo atteggiamento che lui non l'amava più, perchè se non rispettava i suoi usi e costumi, non rispettava nemmeno lei. Nemmeno me, poiché ero molto attaccato a mia madre, e ho sempre difeso con tutta la mia forza lei e i nostri valori.
Lui lo prese come un affronto da parte mia, e disse che nessuno di noi meritava la sua presenza. Lui tornò, dopo averci fatto stare molto in pensiero, ma ormai mia madre aveva preso la sua decisione, qualche giorno dopo lei chiese il divorzio. Lui se ne andò di casa, non facendoci più avere sue notizie e io rimasi qui con lei.
In tutto questo tempo, mia madre mantenne il contatto con il nonno e io appresi tutte le tecniche e i canti Pellerossa, così da poter parlare anche io col nonno. “
“Ma i tuoi parenti, quelli dalla parte di tua madre voglio dire, cosa pensavano di questo?”
“Loro sono sempre stati un po' più moderni, e hanno sempre pensato che mio padre probabilmente avesse i suoi buoni motivi per non concepire la nostra religione come tale, ma come un modo di eludere dalla realtà. Molte persone tuttora pensano questo, però credono in Dio, il Dio cattolico per spiegarci meglio, e anche loro secondo me allora si discostano dalla realtà. Ma è pur sempre vero che ognuno può pensarla come vuole. Allora ti dirò è un bel rompicapo. Ho imparato a farmi gli affari miei, a credere lo stesso in quello che voglio credere, senza dar troppo peso a quello che dicono gli altri, sopratutto quando questi ultimi vogliono impormi le loro idee.”
“Ho capito...anche io ho passato questi problemi, tutti mi considerano una persona strana, al di fuori del normale, perchè credo a delle cose, che molti indicano come PASSATE DI MODA, ma queste caratteristiche per cui mi differenzio non sono una moda. Io preferisco credere, o più che altro sì, mi viene logico, credere che ogni cosa sulla Terra abbia un'anima, dal piccolo sassolino all'immensa montagna. Da piccola io parlavo con gli alberi nel mio giardino...forse tu sei l'unica persona che non mi prenderà in giro sentendo questo, perchè ho trovato qualcuno che la pensa come me finalmente....”
“ Tu parli come i saggi indiani, è per questo che il nonno ti ha parlato nel sonno, e ti ha suggerito di seguire il lupo, non è un lupo reale che devi seguire, nel senso pratico proprio del termine, credo intendesse che devi seguire il tuo destino o forse il tuo Spirito Guida... Sai niente degli Spiriti Guida?”
“Certo, è un argomento interessante per me, come tutto il mondo Pellerossa.”
“Il lupo è un animale forte che sa stare da solo, e che non ha bisogno degli altri per vivere, o sopravvivere -prendila come vuoi- dimmi se mi sto inserendo troppo nei fatti tuoi, o piuttosto credo di averne il diritto ormai che hai letto il mio diario- le disse sorridendo-mio nonno credo voglia aiutarti ad essere come il Lupo; nonostante egli sia scomparso il suo spirito vaga ancora in questa casa, probabilmente a tua insaputa l'hai invocato...mi dicevi di un quadro...mostramelo”
Josephine si alzò e indicò il quadro sopra il caminetto. Elwood rimase un po' stupito dalla maestria con cui Josephine aveva dipinto il paesaggio: “Sei proprio brava. Ma cos'è quel sentiero sulla sinistra?” “Oh quello è un sentiero che c'è dietro casa, il sentiero del Vecchio Tronco...Old...” “Tree... - Josephine lo guardava a bocca aperta, ma certa di quello che Elwood avrebbe detto- si è il sentiero che mio nonno e tutte le generazioni prima di lui hanno percorso intonando dei canti di vita, di morte...credi sulla fede..ora capisco... Tu hai percorso questo sentiero Josephine?”
“Si, Elwood. Adoro stare in mezzo alla natura e sentirmi parte di essa, perchè raramente nelle città d'oggi capita di sentirsi veramente in armonia con la natura, visto che ormai non c'è più uno spazio verde nel giro di 20 metri; avevo bisogno dopo tutto quello che ho passato in Inghilterra di sentirmi di nuovo viva; sapevo che il mio istinto esploratore non era scomparso, così una sera quando già stava calando il sole mi avviai verso quel sentiero, all'inizio perchè volevo vedere dove stesse questo Vecchio Tronco, e leggendo qualche giorno fa questo libro- e glielo mostrò- ho capito che non si trattava di un percorso escursionistico, ma come anche tu ora mi hai confermato si tratta proprio di un sentiero di preghiera..una linea dei sogni..”
“Linea dei sogni...si può essere definita anche così..ma tu com'è che sai tutte queste cose, che ne sai tu delle linee dei sogni?”
“Mi sono sempre interessata a queste cose, credo che sia una cosa per me naturale, poi per verificare queste cose sul piano pratico, ho fatto un viaggio in Australia quando avevo 17 anni, e ci sono rimasta per altri 2; ho imparato le tecniche delle anziane donne aborigene e ho praticato quando ero pronta ed iniziata, qualche canto... Non credo però che queste attività mi abbiano aiutato molto, perchè infatti una volta tornata dall'Australia, la sicurezza che avevo acquisito è crollata come un castello di sabbia alla prima onda”
Elwood annuì. “Hai provato qualcosa oppure ti è successo qualcosa di particolare mentre camminavi lungo quel sentiero?”
“Tu mi leggi nel pensiero – e sorrise- si...all'improvviso ha cominciato a soffiare una leggera brezza accompagnata dai profumi delicati del sottobosco, me lo ricordo molto bene: le foglie autunnali sul pavimento ricoperto di aghi di pino si alzarono in un vortice, provocando un leggero scricchiolio, un aquilotto forse, emise un richiamo, chiusi gli occhi e mi sentii anche io un'aquila, libera di volare nei cieli infiniti e meravigliosi...”
“E' qui che mio nonno è entrato in contatto con te, con il tuo spirito, per mostrarti la via...Lui ha percepito le tue paure e i tuoi desideri, e ora vuole aiutarti più che mai a trovare di nuovo il tuo Spirito Guida, e credo proprio che tu l'abbia ritrovato...: Nanuk, - e accarezzò la testa del cane fra le orecchie pelose- lui non si è mai avvicinato a nessun altro che non fossi io, mia madre o i miei parenti più stretti.” Sentendosi preso in considerazione, Nanuk emise un piccolo flebile bau, e istintivamente andò verso Josephine e si accovacciò sui suoi piedi...
“Vedi, ormai ha capito qual è il suo compito, vuole con questo suo gesto farti capire che ti starà accanto finchè non sarai la persona forte che desideri essere”
Josephine sorrise, ma poi cominciò a piangere. Le sue parole l'avevano colpita. Era tutto vero.
Yiska si alzò per andarle accanto, cercando di confortarla e farla tornare serena, le disse: “sono contento di averti conosciuto, sei una persona speciale, lo sento; quindi anche se ora non percepisci tutta la tua forza, io credo in te...devi crederci anche tu.” Josephine lo guardò con gli occhi ancora colmi di lacrime, fece per dire qualcosa, ma non potè, Yiska aveva appoggiato le labbra alle sue in un timido caldo bacio. Molte palpitanti sensazioni offuscavano la sua mente, chiuse gli occhi e assaporò quella bocca morbida. Sapeva di volerlo, aveva sperato che lo volesse anche lui, ma non avrebbe mai creduto che avvenisse così presto; non aveva cercato di accelerare i tempi, parlando di se e delle sue esperienze si vede che qualcosa fra di loro era scattato. Lui non poteva trattenersi e il suo membro era già turgido e spingeva contro il ventre di lei, allorchè disse: “ti da fastidio?”, lei sorrise e rispose di no. Come poteva darle fastidio?! Quello era il segno che lui era attratto da lei in maniera inequivocabile, e lei si sentiva già pronta ad accoglierlo....ma....va bene riscoprire di essere attratti l'uno dall'altra ma non andava bene accelerare troppo le cose, temeva si sciupassero, e invece lei voleva che queste turbinose sensazioni si ripetessero ancora ancora e ancora. Pensò a come far terminare la cosa senza che lui la prendesse come un rifiuto e quindi si staccò timidamente dal suo viso giocando un po'.
La cena preparata da Josephine era stata eccezionale. Yiska era soddisfatto, in tutti i sensi.
Le augurò la buonanotte e si recò a casa. Fuori un bel manto di neve pesante, copriva i prati le valli e appesantiva le fronde degli abeti; era così silenzioso che poteva sentire addirittura lo scorrere dei fiumi che scendevano a valle, i suoi pensieri vagavano, per giungere alla fine ad un solo argomento: lei, Josephine, un bel fulmine a ciel sereno. No, non era un caso che si fossero incontrati, possibile che lei fosse la risposta a tutte le sue domande? Tutte quelle domande che gli avevano riempito e sconquassato la mente, dopo il divorzio dei suoi genitori?! Non era il caso di porsi altre ulteriori domande, la sola cosa che poteva, doveva fare, era aspettare ora un segno che confermasse il tutto.
“Yiska!!!!- era la madre- Dove sei stato tutto questo tempo?”
“Prepara il fuoco nel tepee, e la pipa, ti spiegherò tutto a tempo debito”
Josephine....non lo riteneva vero, e più cercava di crederci meno ci credeva, la sua sorpresa nei confronti di quello che era successo e che stava tuttora succedendo, rendeva tutto ancor più bello. Però c'era qualcosa che la turbava. Certo dopo un incontro del genere, era opportuno purificare la stanza; molte volte in presenza di situazioni positive e decisamente potenti a livello emotivo capitava che si intrufolassero nella situazione stessa, energie e spiriti invidiosi, che creavano delle bolle nell'aria colme appunto di preoccupazioni. Accese il suo computer e selezionò la musica degli Indiani d'America, era molto tempo che non l'ascoltava e sicuramente quello era il momento adatto. Accese dell'incenso a forma di coni, all'ambra, segno ying yang della Terra, per richiamare queste energie negative dall'aria al terreno dove poi si sarebbero dissolte. Facendo roteare il piattino su cui stava posato l'incenso, e selezionando dal computer una canzone intitolata “Heal the soul” cominciò a purificare la stanza, rimuovendo eventuali scorie inutili. Le sue mani cominciarono a muoversi a spirale, mantenendo il ritmo dei tamburi e cambiando movimento per attenersi al suono musicale ascendente, calmo, o melodioso. Notò subito che quella cucina aveva bisogno da tempo di essere pulita, e questa certezza era data dal fatto che nonostante, la fiamma divampata sul piccolo incenso fosse piccola, il fumo che ne fuoriusciva era molto denso e in quantità elevata. Si spostò, tenendo sempre il piccolo piattino con l'incenso fra le mani e si diresse con esso nelle quattro direzioni, partendo da quella nella quale si trovava: l'ovest, per proseguire in senso antiorario verso sud, est ed infine nord, per chiudere il cerchio. Nella sua mente viaggiavano pensieri rivolti verso la guarigione, la liberazione della stanza da energie rimaste bloccate, da energie di persone che di lì erano passate, ma che non se ne erano mai totalmente andate. A fine operazione pensò di aver fatto un buon lavoro, e spalancò le finestre per benino per eliminare il restante odore di bruciato.
Yiska era seduto di fronte al fuoco, la pipa in mano nella quale stavano bruciando, tabacco, salvia e timo, emetteva dei leggeri sibili e nuvolette di fumo uscivano dalla sua bocca. Il profumo era gradevole, tanto che sua madre si avvicinò e gli chiese che cosa volesse fare; quelle erano le tre erbe sacre per eccellenza, che intenzioni aveva suo figlio?
“E' la prima volta che ti vedo armeggiare la pipa del nonno in questo modo... E' successo qualcosa di importante oggi?”
“Si Madre, qualcosa di molto importante, non so se parlartene ora od aspettare un ulteriore segno. Già il fatto che ti abbia detto di prepararmi la pipa e il fatto che sono qui che la tengo fra le mani, implica qualcosa...ma ti prego attendiamo in silenzio, se puoi centrati anche tu, e aiutami se c'è qualcosa che non riesco ancora a vedere”
La madre di Yiska era quasi sorpresa dalle parole del figlio, ma vista la sacralità con cui le aveva espresse non potè fare altro che seguirlo.
Così nello stesso momento, individui diversi accomunati dalla stessa fede nel Grande Spirito, stavano celebrando lo stesso rito, senza saperlo,... neppure. La potenza intrinseca era molta. Josephine senza saperlo aveva eseguito un rito di purificazione antico millenni, che aveva funzionato, Yiska dall'altra parte cercava di mettersi in contatto con suo nonno ed era ancora lì che attendeva un riscontro.
Madre e figlio chiusero gli occhi. La madre di Yiska intonò un canto Cherokee che sentiva spesso quando era piccola. Sua madre e la madre di sua madre, e le generazioni prima ancora, intonavano questa melodia per ottenere il potere supremo, quello adatto alle visioni che richiedevano impegno-energia a livello soprattutto fisico-mentale, accompagnando il tutto dall'immancabile suono del tamburo.
Il fuoco emise un forte schioppettìo, e una fiammata si levò dal centro del falò. I due spalancarono gli occhi che fino a quel momento erano chiusi per permettere alla mente di spaziare nella quarta dimensione, e videro distintamente una piuma di aquila aleggiare sopra la fiamma e tra il fumo che usciva dall'imboccatura del tapee. Quello era l'unico segno che Old Tree, mettendosi in comunicazione con i loro spiriti, aveva dato loro di interpretare. Yiska non era molto contento del risultato ottenuto, ma la Madre interruppe subito i suoi pensieri.
“Chebon, Figlio, non guardare solo all'apparenza...questo è il messaggio che quella unica, misera, piuma vuole darti. Pensa, rifletti, che cosa rappresente l'Aquila?....Non occorre che tu mi risponda subito, la risposta comunque non devi darla a me, ma a te stesso”.
Era molto tardi, quasi le tre del mattino. Fortunatamente, visto che era inverno, il sole tardava molto a sorgere, quindi avrebbero potuto dormire almeno 5 ore. La meditazione intorno al fuoco era stata piuttosto concentrata ed intensa, le sue palpebre si adagiarono lente e la sua mente caddè in un sonno profondo. Aveva sperato, Yiska, di ottenere tramite i sogni la risposta, ma questa non arrivò.
I giorni passavano silenziosi, tutti erano occupati nelle loro faccende quotidiane. Josephine anche era molto impegnata. Vista la sua spontanea attitudine per le pratiche indiane, aveva cominciato ad informarsi sulle popolazioni locali più recenti e le interazioni, soprattutto spirituali, che c'erano fra la sua attuale abitazione e il suo amato Yiska. Tutto quel fumo scaturito dall'incenso bruciato l'avevano fatta pensare. Non devono essere stati anni felici quelli trascorsi fra quelle mura, ma non riusciva totalmente a crederci. Nel diario di Yiska era riportata solo una parte della loro vita....
eh! Oh già ma certo... i ricordi di quelle situazioni di quelle emozioni erano rimaste intrappolate nella casa, perchè in un solo posto erano appunto rimaste e lo sono ancora... vive, nel cuore di Yiska!
Quello che lui avrebbe dovuto fare era, cambiare atteggiamento, perdonare, quindi, ma lui non lo aveva ancora capito, perchè quello stato elevato di grazia non l'aveva ancora raggiunto. Era ancora ancorato al rimorso, al capire perchè cosa come e quando, e si perdeva l'essenziale di quell'esperienza.
Mattino, tu che con questa neve ti perdi silenzioso, i secondi pargono ore, le ore tempi indefiniti in uno spazio temporale ancora più vasto.....
Era un libro di poesie che Josephine stava sfogliando in casa, trovato fra gli scaffali in camera. Questa autrice aveva un modo così soffice di scrivere, sembrava di stare con la mente su delle nuvole di cotone. Eh si era proprio mattino, quel mattino che si dice abbia l'oro in bocca; non aveva mai inteso il significato, ma una sola cosa le pareva certa: il mattino era l'inizio di un nuovo giorno, e ogni giorno doveva essere vissuto appieno, sennò non valeva neppure la pena di viverlo.
Non resteranno solo parole, parole di pensieri vuoti, no! Saltò su e scese di corsa le scale. Un caffè era quello che ci voleva! Pulizie, passeggiata all'aria aperta sulla neve fresca, soffice appena caduta e...qualsiasi altra cosa le venisse in mente!
Dlin dlin dlin dlin dlon dlon. L'acchiapasogni nuovo comprato qualche giorno prima in paese, tintinnava nel vento che entrava dalle finestre aperte e creava corrente nel soggiorno di Josephine. Era rosso, con una pietra nera al centro, attorniata da 7 cilindri in metallo leggero che appunto si scontravano con questa pietra mossi dal vento creando questi suono melodiosi, simili ad un leggero tocco su di uno xilofono, altro strumento musicale, dai toni sennonchè più glaciali, se così si poteva dire, estremamente melodioso, dopo la sua amata arpa.
Toc Toc Toc...quello però no, non era l'acchiappasogni, ma qualcuno alla porta. Menomale che aveva messo apposto la casa così non avrebbero potuto darle della disordinata, giacchè dall'ordine all'interno di un'abitazione o di una stanza si poteva notare l'ordine mentale di una persona.
Aprì la porta, e lì sulla destra con le mani in tasca c'era lui, Yiska.
“Buongiorno Josephine”, si salutarono, lei non si aspettava di vederlo e sorrise felice. Lo invitò ad entrare, e gli offrì del tè caldo.
“Come stai Yiska?, che cosa ti porta quaggiù?”
Lui arrossì leggermente e le disse: “Evidentemente o sei molto sensibile o ci conosciamo da molto più tempo di quanto pensiamo”
“Direi che sono molto sensibile, anzi da quando sono qui, ho affinato le mie doti extrasensoriali, sarà il silenzio dal quale sono attorniata” e gli porse la tisana alla melissa.
“Buono, che cos'è?”
“Infuso alla melissa, allontana la malinconia, i pensieri tristi. Attenua il nervosismo, l'irritabilità, nonché la depressione.”
“Ma...sei una dottoressa?”
“Ah ah...no, però mi sono informata molto bene sulle proprietà terapeutiche delle piante, le abbiamo a disposizione, perchè non usarle?! Trovo stupido l'utilizzo della medicina tradizionale, oltre che inquinante e dannosa per la Terra.”
--Oh si, questa ragazza è proprio straordinaria, ed è capitata proprio sul mio cammino---
“Ehi, allora, sta facendo effetto?!” ammiccò un sorriso molto dolce e premuroso
“Certo, un pochino, ma per queste cose credo che ci voglia molto di più di una tisana... Sono venuto qui da te, perchè...non lo so perchè, qualcosa mi ha spinto qua”
“Mettiamoci comodi sul divano, così potrai raccontarmi tutto”
Yiska si rese conto per la prima volta nella sua completezza, oltre della bellezza esterna della ragazza che aveva di fronte, anche e soprattutto della bellezza interna. La parola che le veniva in mente guardandola negli occhi era: ARMONIA.
“In realtà non so da dove cominciare... Dall'ultima volta che ci siamo visti, non sono successe molte cose, ma quelle poche successe credo siano molto rilevanti.
Quando quella sera sono rincasato da casa tua, ho fatto accendere il fuoco nel tapee da mia Madre, e abbiamo cercato di ottenere dalla fusione delle nostre menti una visione... Dimmi se sto parlando di cose che ti turbano o alle quali non credi...”
“No Yiska tranquillo, ti capisco benissimo”
“.....mmm si d'altronde una donna-medicina come te come potrebbe non crederci”
Nessuno le aveva mai dato della donna-medicina...si sentì orgogliosa, fiera di se stessa, e senza superbia lo spronò a continuare nel racconto
“Effettivamente qualcosa....ci è arrivato, solo che, non riesco ad interpretarlo...da solo. Mia madre era li con me e anche lei ha detto di aver visto la stessa cosa, ha visto anche l' alone di preoccupazioni sul mio volto, e mi disse quindi che il messaggio che ci è giunto attraverso la visione sta a significare che io non devo fermarmi all'apparenza, che se anche se molto piccolo come segno, direi estremamente misero, poiché si trattava di una piuma, UNA SOLA, di Aquila, quel segnale valeva molto di più di quanto sembrava, e che la risposta ai quesiti che mi sono comparsi nella mente in quel momento, non avranno alcuna risposta da fattori o personaggi esterni, ma soltanto da me. Il punto è che mia madre non mi ha spiegato nulla, io so poco di tradizioni indiane, credenze e varie cose, perchè....ho interrotto la mia formazione, un tempo.”
Non sapeva se dirglielo, chiaramente lui non ci era ancora arrivato. La madre però aveva detto che doveva arrivarci da solo, lui però era in una confusione tale che anche pensandoci seriamente, probabilmente sarebbero passati giorni, mesi, perchè lo capisse e riuscisse a trovare un nesso, IL nesso. Alla fine decise. Era capitata in quella casa, aveva letto il suo diario, era quindi a conoscenza di molte cose che lo riguardavano, perchè tirarsi indietro proprio ora?!
“Yiska...tua madre ha ragione... Ed è giusto, legittimo anzi oserei dire, che non ti abbia spiegato nulla. Tutto sta in te, in che cosa hai iniziato e....in che cosa hai interrotto, Yiska. L'ultima volta che ci siamo visti, abbiamo parlato di Spiriti Guida, e scusami tanto ma mi sembrava che tu ne sapessi più di me al riguardo...”
“Si...però... non so, quella stessa notte, dopo la meditazione, non ho fatto sogni, mi ricordo solo una nube nera intorno alla mia testa, dentro ai miei occhi”
“Questa nube nera...è già qualcosa Yiska, è molto più di quanto tu possa pensare. Chiaramente rappresenta un tuo atteggiamento, un comportamento che hai tenuto o che tuttora mantieni, che cerca di venire fuori, di manifestarsi in un altro modo visto che siccome ti stai ponendo tutte queste domande è in corso una specie di guarigione in te e a livello conscio questa ombra non si può più presentare, quindi lo fa nei sogni. Che cosa ne pensi di quella piuma che hai visto nella visione?”
Josephine cercava di farlo ragionare, voleva che ci arrivasse da solo alla cosa, con un aiuto, ma decisamente minimo, il vero lavoro spettava a lui.
“Mi sembra di aver dimenticato tutto, ma qualcosa mi fa pensare che l'Aquila venga associata ad un volo libero, cioè almeno questa è l'idea che l'animale Aquila mi riporta alla mente.”
“Esatto. Io non credo di saperne molto più di te Yiska, solo che momentaneamente la tua mente è oscurata, anzi inconsapevolmente tu stesso la stai oscurando. Ti dispiace se accendo un incenso?”
“Ora dammi la tazza, siediti comodo su questa sedia, chiudi gli occhi e respira profondamente, lasciati scivolare, lasciati andare.
Ora stai camminando lungo un sentiero, è primavera, è mattino, tutto tace, un leggero venticello soffia e porta a te i suoni di un bosco vicino, nel quale tu ora ti addentri. C'è un piccolo torrentello che scorre fra i massi e vuoi scoprirne la fonte, così ti arrampichi su quella cengia rocciosa; cammini e cammini, ti arrampichi e ti arrampichi, instancabile alla ricerca della verità. La fonte è li di fronte a te. Oltre la fonte che è in cima al monte, senti, percepisci con tutto te stesso che c'è qualcosa, ma improvvisamente guardi indietro, al passato Yiska, e sotto di te vedi quel bosco che un momento prima mentre lo attraversavi ti sembrava così accogliente, ora lo vedi che è scuro, quasi minaccioso, pericoloso, e vorresti volare via, come un'Aquila. Ma prima di poter volare via devi accettare ciò che vedi, perdonare te stesso per quello che hai visto, se davvero l'hai visto, solo così potrai come un'Aquila sospesa nel vento, librarti in aria e volare....”
Il tintinnio assolutamente casuale e naturale dell'acchiappasogni rosso appeso sulla finestra, ridestò Yiska da quella meditazione guidata, estremamente utile.
“Josephine, tu....come...voglio dire, come hai fatto a condurmi dentro...me stesso? Questa tecnica è sensazionale!”
“Che cosa pensi della piuma che hai visto nella visione?” gli ritornò a domandare Josephine.
Yiska sorrise, la consapevolezza era giunta, e non è che lei glielo avesse detto, lei l'aveva fatto ragionare, non con la mente, non con la parte analitica del cervello, ma con lo Spirito.
“La piuma che ho visto rappresenta il vento, la mia capacità di lasciarmi andare, cosa che potrò fare solo una volta che avrò cambiato il mio atteggiamento, solo una volta che mi sarò perdonato e avrò perdonato.........mio Padre”.
Il tono della sua voce era cambiato, da sgomento, era passato a consapevolezza per arrivare alla commozione, la commozione che determinava il raggiungimento di quella ultima, unica e reale verità.
Josephine era commossa anch'essa; non potè fare altro, una volta sedutasi accanto a lui, se non che abbracciarlo.
Yiska la guardò, illuminato, decisamente illuminato e le disse: “Tu Josephine, ragazza pura e limpida come l'acqua, sei l'unica dopo mio nonno e mia madre ad avermi capito, io voglio stare con te”

CAPITOLO 10

La neve fuori aveva raggiunto ormai quasi il metro e mezzo. I pochi alberghi esistenti erano di bassa categoria, ma a Josephine tutto sommato non sarebbe dispiaciuto lavorarci dentro, conscia del fatto che sicuramente come in Inghilterra maggiore era la categoria peggio ti trattavano. Era mattino presto ed una signora grassottella si avvicinò alla porta di casa sua. Bussò tre volte prima che la giovane aprisse la porta.
“Buongiorno! Lei è la Signorina Westree?“
“Buongiorno a Lei! Si sono io, mi scusi se l'ho fatta attendere, prego vuole entrare?”
Davanti ad un caffè originale dell'Arabia la signora spiegò che aveva bisogna di una tuttofare nella sua baita. Le donne giovani in paese scarseggiavano e molte se ne erano andate in città a cercare fortuna ed era un'occasione da prendere al volo, una ragazza giovane vivace e piena di qualità come lei si era descritta.
“Mi piacerebbe molto signora Eacy! Mi dica quando possiamo cominciare!”
“Vedremo se terrai la stessa forza d'animo quando inizierai, straniera!” questo pensò in risposta la signora Eacy all'entusiasmo di Joyce.
Questa si che era una bella notizia, ora avrebbe avuto modo non solo di far passare le sue giornate ma anche di conoscere qualcuno di quel paesino così carino ed accogliente.
La prima cosa da fare era informare Yiska della cosa, poiché se fosse andato tutto per il verso giusto non sarebbe stato male trasferirsi per un periodo più lungo di quello che inizialmente aveva pensato.
Il sole picchiava forte fuori e le cose di cui subito si ravvide furono i colori del cielo di un azzurro quasi accecante e il luccichio dei fiocchi di neve cristallizzati sui sentieri. \

“Come?! Soyala hai detto??...Oh sì, hai detto proprio così, devo mostrarti una cosa...”
Josephine si avvicinò ad un cassetto del comò e ne estrasse una cosa piccola e luccicante
“e'...”
“E' il braccialetto di mia madre... Come fai ad averlo tu? Ce lo aveva lei indosso qualche giorno fa...e poi...l'ha perso...”
“Non so Yiska, ma me lo sono trovata sotto le assi del parquet, subito dopo che trovai il tuo diario...”
“Ok non abbiamo più bisogno di altri indizi. Tu sei la chiave di volta” Le mostrò un ampio sorriso carico di complicità.

*-- tratto da “ il Diario Pellerossa- L'eredità spirituale degli Indiani D'America” di Joyce Sequichie Hifler

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