“Una birra per favore”
“chiara?” Chiese la cameriera.
Scossi la testa in segno affermativo.
Una birra che risollevasse la notte stanca, ecco cosa mi serviva. Una birra che mi occupasse il tempo mentre pensavo a cosa dire, mentre pensavo a cosa fare.
Estrassi dalla giacca il taccuino e la penna, poi cominciai a scrivere dell'insegna luminosa della coca-cola che si rifletteva sul banco di legno lucido del locale. Poi scrissi di quanto era buia e fredda la notte fuori.
La ragazza mi consegnò la birra e cominciai a bere.
Mancavano una decina di minuti scarsi alla chiusura del locale, ero l'unico cliente, e l'unica sedia che non aveva le zampe puntate verso il soffitto era quella su cui tenevo il culo io. La ragazza asciugava bicchieri, ed io furtivamente osservavo le sue mani bianche. Incrociammo lo sguardo. Le sorrisi. Contraccambiò.
“Sei uno scrittore?” Chiese la ragazza.
“Mi piace definirmi così” Dissi.
“E cosa scrivi?”
“Ora sto scrivendo di questo momento”
“Quindi vuol dire che ci sarò anche io un giorno in un tuo libro?”
“Credo proprio di si.”
La ragazza sorrise, mi guardò con simpatia, poi abbassò lo sguardo e si concentrò su altri bicchieri.
“Tu fumi?”
“Si.”
“Se vuoi puoi fumare, tanto a quest'ora non viene più nessuno.”
“La ragazza si accese una sigaretta, poi mi portò un posacenere, e buttò l'occhio sulle pagine del taccuino.
“Hai una bella calligrafia lo sai?”
“Grazie.”
“E' molto femminile”.
Era vero, avevo una calligrafia femminile. Non ci avevo mai fatto caso.
Una donna grassa e di carnagione scura uscì dalle cucine con una busta in plastica tra le mani, mi guardò, non mi salutò, poi guardò la ragazza e chiese: “vuoi che rimango un po' cara?”
“No, tra dieci minuti chiudo. Non ti preoccupare.”
Notai con la coda dell'occhio la donna grassa fare un gesto con la testa rivolto verso di me, e vidi la cameriera avvicinarlesi e dirle qualcosa all'orecchio.
La donna grassa uscì dal locale, ma prima mi lanciò uno sguardo sospettoso. Io ti vedo sembrò dirmi con gli occhi.
“La cuoca dice che potresti essere un maniaco.”
“E' vero, potrei.”
“Non lo sei.” Disse con una nota di conferma nella voce.
“Cosa te lo fa credere con certezza?”
“Non hai gli occhi di una persona cattiva”
“eppure andrò all'inferno” dissi, scherzando.
“è una battuta perfetta per un libro!”
“meglio per un film” dissi, e la feci sorridere nuovamente.
Fumammo, parlammo di letteratura, e svuotai la birra. Le consegnai il bicchiere vuoto. Lei lo prese, lo sciacquò, lo asciugò e lo mise insieme agli altri.
Spense le luci, indossò la giacca e agguantò la borsetta che teneva vicino al mobile frigo. Uscimmo insieme dal locale.
“Mi chiamo Stefania, tu?”
“Eric, mi chiamo Eric Bellini.”
“Spero di leggere qualcosa di tuo un giorno Eric. Ora vado a casa. Buona fortuna per i tuoi progetti!”
“Grazie Stefania.”
“Prego.”
La ragazza si diresse verso un auto parcheggiata a pochi metri dal locale, salì e partì regalandomi un sorriso velato da un vetro ancora appannato.
La notte era scesa in paese dimenticandosi le stelle, fu spiacevole non averle a farmi compagnia.
Fumai un'altra sigaretta e salii in auto anche io. Dopo appena un paio di chilometri decisi di fermarmi a lato strada e di aspettare che la sbornia si alleggerisse. Proprio non riuscivo ad andare dritto. Fortunatamente però, stavo bene di stomaco.
Mi misi a sedere sul sedile per il passeggero e chinai la testa fino a far poggiare la fronte contro il cruscotto. Mi addormentai.
Quando riaprii gli occhi sentii un razzo viscido partire dallo stomaco e puntare verso la bocca. Vomitai. Vomitai senza trovare il tempismo necessario ad aprire la portiera.
Tirai una bestemmia e subito dopo mi ricordai di non avere pagato la birra.