- My Son, My Son, what have ye done – 2010 – ♥♥♥♥ -
di
Werner Herzog
Che ci sia lo zampino produttivo di David Lynch nell’ ultimo film diretto da Werner Herzog lo si nota fin dai primi minuti, dalle musiche, dalle atmosfere che si respirano. La Storia di sfondo è tratta da un vero accadimento di cronaca nera accaduto a San Diego, nel quale un figlio ha inspiegabilmente ucciso la propria madre. Ma Werner Herzog non si limita a narrarne e ricostruirne i fatti, ma scava nella mente del suo assassino mitizzando quel folle gesto a tal punto da renderlo quasi un atto d’ amore. E’ sicuramente un film complesso questo di Herzog che scava sulla complessità dell’ animo umano e sull’ impossibilità di un uomo di riuscire ad afferrare quella bellezza del mondo che lo circonda, pur essendo pienamente consapevole di tutto questo splendore. Il protagonista Brad , interpretato da un perfetto Michael Shannon, per spezzare questa maledizione di non potere ottenere tutta questa bellezza deve quindi uccidere la propria madre, proprio come il Mito greco di Oreste, personaggio che Brad interpreta al tempo stesso in una tragedia teatrale. C’è tutta una riflessione, seppur complessa, sul rapporto tra essere umano e natura in questo film. Che parte dal quotidiano, tipicamente americano, fatto di villette a schiera rosa e apparenze perfette, e giunge fino all’ immensità del mondo manifestata dalle enormi steppe, dalle altissime montagne o da un gran numero di struzzi che corrono. Ricorrenti sono i flashback che vanno a spiegarci il personaggio principale, come anche i momenti di assenza di dialogo, accompagnati dalle musiche ipnotiche e surreali di Ernst Reijsiger, che bloccano i personaggi sullo schermo come a voler sottolineare la loro impotenza difronte all’ orrore della realtà quotidiana. My son, My son, what have ye done non vuole soltanto indagare sul perchè Brad abbia compiuto tale folle gesto, quanto arrivare a comprendere, qualora sia possibile, perchè l’ essere umano possa scegliere consapevolmente di compiere tale atto. Ed è da questa riflessione che se ne dipana un’ altra ben più complessa sulla sottile linea di confine che c’è tra la razionalità (in questo caso della polizia e delle forze armate che al di fuori della casa tentano di acciuffare Brad), e la follia di Brad che tenta in tutti i modi di proteggersi da un mondo che non riesce ad acciuffare completamente. Anche il connotato di depressione viene ribaltato da Herzog, assumendo non più soltanto un’ etichetta patologica quanto più un ossessione che intacca interamente la personalità di un individuo privo dei mezzi necessari a gestire questa grandezza del mondo. Più volte infatti Brad, nel suo percorso verso la “redenzione”, proverà a trovare azioni o oggetti (il marchingegno creato con decine di occhiali ne sarà un esempio) che possano essere capaci di inglobare tutto questo splendore, ma alla fine la sua unica possibilità sarà quella di spezzare tutto questo circolo di ricerca con il matricidio. Quello di Herzog è in definitiva un invito a guardare oltre la semplice linearità delle cose, alla ricerca di un nuovo campo visivo delle cose che ci si presentano davanti gli occhi. C’è chi ha pensato (come spesso accade ultimamente a tutti i critici dispregiativi di David Lynch) che questa produzione sia solo stata uno scherzo di due amici che abbiano voluto mettere in scena i loro due universi cinematografici. Ma anche se così fosse, come molto spesso recita il protagonista Michael Shannon ogni volta che viene cercato di esser riportato alla razionalità dai suoi interlocutori, verrebbe da dire: ” E allora..??”
( Finzione...)
( ...o realtà?)