Doriano Modenini
Da quando abito a Roma ho viaggiato molto. E ho capito che avrei voluto continuare a farlo, che avrei coinvolto mio figlio, che sarebbe stata un'esperienza unica, stupefacente, una continua scoperta. Non ho mai scritto una riga mentre viaggiavo, segnavo le città, le vie, i musei, i quadri, le librerie, i luoghi dove dormivo, quelli dove mi fermavano anche solo per qualche ora. Da quando la mia casa si è trasformata in un agglomerato di scatole, la necessità di catalogare ciò che librerie e cassetti contengono è un'urgenza più che un diletto. Eppure è proprio in uno di questi momenti che ho scoperto un taccuino risalente a un lungo viaggio per l'Europa nel corso del 2010. Ho lasciato tracce di questo viaggio tra le pagine del blog, su twitter, in un paio di occasioni anche su tumblr. Però non ne ho mai parlato e non lo farò di certo adesso.
Solo che ho riletto, questa mattina, una delle ultime interviste a Tabucchi sul suo libro Viaggi e altri viaggi (tra l'altro ne consiglio la lettura, anzi partite proprio da questo libro per conoscere l'uomo e lo scrittore pisano), poi ho letto un articolo su Artribune scritto da Aldo Premoli sui viaggi, la cultura e la ricerca scientifica, sugli investimenti, le accelerazioni e i rallentamenti. Un articolo che rispolvera concetti quali qualità, fatturato, mercato.
E mentre procedevo nella lettura di altri articoli su Artribune, una rivista che crea "connessioni e sinapsi attive per far capitare le cose, non per parlarne" (Cristiano Seganfreddo), ho ripensato a un viaggio in Africa, precisamente in Burundi e Rwanda, nel 2009. Ho ripensato a quanto ero poco preparata all'Africa, alle sue meraviglie, alle sue disillusioni, alle resistenze. Alla sopravvivenza, a quanto possa diventare violenta, tragicamente violenta, una vita basata sulla sopravvivenza.
Dalla situazione scolastica frammentaria, eccezion fatta per l'istruzione elementare che, dal 2005, ha aperto le porte a molti bambini grazie all'abolizione delle tasse (mentre invece continuano ad essere presenti le tasse per coloro che vogliono continuare gli studi. E visto il tasso di povertà molti ragazzi sono costretti ad abbandonare la scuola) alle difficoltà economiche e alla guerra civile finita, dopo tredici anni, nel 2006, il Burundi mi è apparso come un Paese pieno di contraddizioni ma non privo di fascino. Sono rimasta folgorata da quanta Africa ho visto e conosciuto.
Durante la mia permanenza in Burundi ho scritto poco, quasi niente. Come al solito però ho annotato i nomi dei quartieri di Bujumbura, la capitale (io mi trovavo a Kamenge), dei villaggi limitrofi, delle persone incontrate, qualche numero di telefono, mail e brevi annotazioni su ciò che provavo, come mi sentivo. Non sono mai stata così bene come in quel periodo. E non è perché in Africa ho sentito chissà quale richiamo atavico, tutte quelle stronzate sulle proprie origini, e le radici, e fare del bene aiutare i poveri, e la casistica potrebbe ampliarsi sempre più. Io ci stavo proprio bene, il mio benessere era qualcosa di molto egoistico ma che, comunque, si completava, si nutriva e si sentiva appagato solo in quella situazione.
Non ho più provato le stesse sensazioni. E non le proverò più. Oggi, in questo marasma di pensieri, riflessioni, ricordi che ha fatto nascere questo post inconcludente e liquido come mi sento talvolta io, voglio regalarmi e condividere con voi alcuni dei momenti vissuti con un video, questo http://www.youtube.com/watch?v=x6FRSA56iJU