Il presidente deposto Mohammed Morsi, detenuto in un luogo segreto, sarà processato ad ottobre, con altri 14 esponenti dei Fratelli Musulmani, con l'accusa di "aver commesso atti di violenza e di istigazione all'omicidio". Mentre l’ottantacinquenne Hosni Mubarak tornerà davanti ai giudici il 14 settembre. Nel nuovo processo, istituito dopo l'appello concesso a gennaio dalla Corte di Cassazione all'ex rais, Mubarak deve nuovamente rispondere delle accuse che lo vedono responsabile dell'uccisione di numerosi manifestanti durante la rivolta che nel 2011 porto' alla caduta del suo regime. Nel frattempo, l’importante leader dell’opposizione liberal Mohammed El Baradei, ex direttore dell’AIEA e premio Nobel per la Pace, ha lasciato l’Egitto.
Oggi proviamo a capire dove va il paese dei Faraoni. Con quattro domande alla giornalista Luciana Borsatti*, autrice di “Oltre Tahrir. Vivere in Egitto con la rivoluzione” (Editori Internazionali Riuniti, 2013): 21 storie per 21 personaggi per raccontare la Rivoluzione vista dagli egiziani.
- Il massacro del 14 agosto ha segnato l’inizio di una repressione al Cairo. Lei crede che in Egitto si rischia una dittatura militare?
Non credo che una dittatura militare sia negli intenti di nessuno degli attori in campo, a cominciare dalle stesse forze armate che hanno deciso di intervenire, destituendo il presidente Morsi solo dopo la mobilitazione di milioni di persone che chiedevano elezioni presidenziali anticipate, e dopo aver più volte invitato a trovare una via d’uscita politica dalla crisi. L’attuale governo ad interim è formato da civili, e la road map indicata per la transizione verso una nuova costituzione e nuove elezioni entro la primavera 2014 sta rispettando i tempi. Il perpetuarsi di violenze e attentati da parte di estremisti e jihadisti - in reazione alla destituzione di Morsi, agli sgomberi delle piazze dei suoi sostenitori e alle tante centinaia di uccisioni e arresti tra i pro-Morsi - potrebbe però prolungare lo stato di emergenza e ritardare il ripristino di un sistema democratico.
- L’opinione pubblica sembra arrendersi - anche in Egitto - ad una reazione violenta dei Fratelli musulmani. Ma si tratta di un movimento islamico moderato che aveva ufficialmente rinunciato alla violenza.
Sicuramente la reazione dei pro-Morsi - spinti addirittura al martirio dall’incitamento a resistere da parte dei loro leader nelle piazze – e la parallela ondata organizzata di violenze contro i cristiani e le forze dell’ordine stanno appunto ad indicare una ripresa del radicalismo e della propensione alla lotta armata da parte di gruppi islamisti. Che ruolo stia giocando in questo la Fratellanza non è ancora chiaro, anche se una parte dei suoi sostenitori ha impugnato le armi sia contro le forze dell'ordine che contro gli oppositori..Certo è che nei confronti dei suoi leader arrestati è stata formulata l’accusa di incitamento alla violenza, e che larga parte dell’opinione pubblica condivide la convinzione che i Fratelli Musulmani siano terroristi. D'altra parte la sua leadership nel 2012 avevano minacciato una guerra civile se il loro candidato alla presidenza non fosse stato dichiarato vincitore.
- Fra i personaggi da lei intervistati c’è Mohammad Tolba, uno di quegli islamisti radicali di cui tanto si parla ma poco davvero si sa. Come descriverebbe questo suo incontro?
Mohammad Tolba è lontano anni luce dal radicalismo propenso alla lotta armata di cui si è parlato fin qui. E’ un giovane salafita che crede nella sharia come miglior ordinamento possibile, ma che sottolinea anche che la legge islamica non può essere applicata con la forza. I partiti salafiti hanno ottenuto circa il 30% dei voti alle prime elezioni politiche del dopo-Mubarak, poi sono entrati politicamente in conflitto con la Fratellanza e ora il partito El Nour - schierato con il nuovo governo - si propone come mediatore per una riconciliazione. Ma Tolba è un libero pensatore, capace di interloquire lucidamente con il pensiero laico, attento ai problemi sociali ed economici come priorità da affrontare, e convinto sostenitore – anche tramite il suo blog Salafyo Costa - del dialogo e della convivenza con le altre componenti della società, cristiani inclusi. Insomma, è un salafita ‘sui generis’, che però testimonia come quello salafita sia tutt’altro che un corpo monolitico, e come l’uscita dalla semi-clandestinità, grazie alla rivoluzione, costringa anche questi islamisti ultra-conservatori (fedeli ai dettami letterali dell'Islam delle origini) a confrontarsi dialetticamente sui grandi temi dei diritti e delle libertà individuali.
- Il nazionalismo salverà l’Egitto, e da chi? Da una rapida lettura del suo libro oggi gli egiziani sembrano soprattutto diversi, con aspirazioni spesso in conflitto, capaci di vedere il quadro generale, oppure solo le esigenze immediate della propria vita quotidiana.
Riformulerei in parte questa domanda, perché e’ vero che quella egiziana è una società molto composita e con interessi diversi a seconda delle provenienze economiche, sociali, culturali e religiose, ma è anche vero che è compattata da un forte senso di appartenenza nazionale - e questo spiega in parte anche il largo consenso di cui ha goduto l'intervento militare e su cui l’esercito puo' tuttora contare. Non vi sono rilevanti differenza etniche (un caso a parte è quello delle tribù beduine), vi è un orgoglio condiviso per un millenario passato, e i cristiani rivendicano piena appartenenza ad una stessa nazione. Credo che il senso nazionale rappresenti dunque un elemento di stabilità. Insieme alla fiducia nell’esercito come garante di tale identità comune. E’ chiaro che questo può oggi favorire un’involuzione autoritaria, guidata dalle stesse forze armate, ma solo per le circostanze di cui si era parlato all’inizio. Non e’ nell’interesse dei militari stare al comando in prima fila. Piuttosto possiamo dire che intorno a loro si è rinsaldato un blocco composto anche dalla magistratura e dai potentati economici e politici dell'era Mubarak, che hanno fatto uso del movimento Tamarrod come testa di ponte per tentare un'operazione restauratrice. Fino a che punto questa operazione riuscirà dipenderà anche dalla capacità delle forze rivoluzionarie non islamiste di creare finalmente un fronte unitario, e da quella del sistema del suo insieme di tornare a 'includere' la Fratellanza, disinnescandone il nuovo potenziale eversivo.
*Luciana Borsatti, udinese di origine, è giornalista dell’ANSA dal 1992 e lavora per la redazione Esteri e il notiziario ANSAmed, occupandosi dell’area mediorientale e mediterranea. Ha seguito da inviata la rivoluzione in Tunisia e lavorato come corrispondente dell'agenzia dagli uffici del Cairo e di Teheran.