I bambini guardano la luna di ADRIANA SCARPA ed. Telntiadi 1883
Più non rincorro nei meriggi assorti su crinali di nuvole farfalle viola o gli elfi della sera.
Mi soffermo conquistata su questi versi che sono la voce di un bimbo e allo stesso tempo la voce di chi sa dare fiato e senso all’anima infantile.
Sfogliamo assieme i titoli che compongono questa raccolta, come un album prezioso di fiabe e di sogni.
“I bambini guardano la luna” (e il loro sguardo è capace di riprodurre in fondo l’armonia dell’universo).
Una vita…mentre l’inverno semina vento e pioggia mi è sbocciata dentro…perché la fame d’amore sa e può compiere miracoli.
“Ninna nanna al mio bimbo mai nato” (Egli è rimasto re di un regno che non ha potuto consolidarsi, dove occhieggia ancora quella ninna nanna mai cantata, solo inventata).
Parla, Adriana Scarpa, al suo piccolo non nato; gli dona, come fiore rimasto non colto, la triste immagine d’un seno rinsecchito che non dà latte; rivolge una preghiera alle sue piccole mani e gli racconta d’una finestra rimasta chiusa, di una giornata finita senza appello.
Questo bimbo che ora ha la voce del vento, anche se nel suo tempo non entrerai coralli o cresceranno aurore.
Egli non conoscerà la primavera e la sua piccola forma inerme resta un ricordo cullato nella mente.
A volte/invento Claudia/colore d’occhi e di labbra/e un burattino buffo/ e le prime parole.
Nomi di bimbi che hanno dato senso ad un’attesa, che hanno tanto da insegnarci, perché sanno raccogliere le favole e sorridere con gli angeli e incantare le conchiglie con filastrocche, e addormentarsi abbracciati a vecchi cani di pezza.
Oggi il sole contava i giochi sprizzando scintille sull’infanzia.
Non è una storia melensa, quella che racconta Adriana Scarpa: è storia di sogni e di immagini, di qualcosa che è rimasto appeso, come una luce fioca eppure vivida, a illuminare un percorso a metà che non ha trovato l’approdo, non ha saputo trasformare la sconfitta in vittoria.
I bimbi sono la forza del mondo, sono vento, conchiglie, luna, sogni; sono il sale della vita stessa.
Cantati con versi musicali, con una ricerca che traspare ed è innegabile tecnica versificatoria, ma non muore in un arido lavoro di labor limae fine a se stesso.
Alchimie per una donna di Adriana Scarpa ed. Montedit in
Collana «Le schegge d’oro»
Fu Lucy la prima umana sulla terra.
Milioni di donne. Esse riescono a dipanare la vita, pur prigioniere di pareti stinte, di ventri svuotati, di corpi sconfitti.
Con un omaggio in citazione alla grande Sylvia Plath entriamo nella magia.
Sono state e sono. Le donne. Il loro lamento (un lamento che contiene dolore, che si traduce in sentenza, che si fa interprete d’impegno, ma anche urlo gioioso di fatica d’amore).
Il loro portare il peso del mondo. Schiave in guerra e foriere di luce e di passione.
Io le ho amate in esse l’essenza di me donna, scrive Adriana Scarpa, proclamando con orgoglio e perizia poetica la sua appartenenza al proprio sesso e allo stesso tempo, declamando, quasi su un palco allestito nel centro di gravità del mondo, il suo conoscere, il suo avere incontrato il senso stesso dell’esistere in quei volti scolpiti nel marmo o dipinti in processione di vergini.
Donne è quasi costituire un microcosmo protettivo e protetto, mai completamente chiaro, mai definitivamente esploso, bensì portato a bastarsi, a volte dolcemente a volte crudelmente…
ché dentro noi esistono luoghi inesplorati; un microcosmo quasi nostalgico delle mille possibilità che si potrebbero creare nel gioco mirabile dell’esistere ( mi porto dentro i corpi invisibili di tutte le nascite che avrei voluto).
Donne è provare in modo intenso nostalgia e rimpianto (Nell’ombra verde/riconosco i miei rami d’infanzia/gli anni luce).
Alchimie.
E alchimie sono anche i titoli che danno nome alle sezioni in cui è divisa la raccolta: Ipotesi di donna; Ritratti; Venere sempre; Diario segreto.
Sono donna. Adriana quasi lo urla, a volte invece lo canta piano, altre ancora lo sussurra, e il tutto si fa mescolanza di gioia e dolore, di gioia e tenerezza, di bianco e di nero, martirio e civetteria e ancora fierezza nel proclamarsi imbattibili ( sono donna/con bracciate di rabbia e tenerezza[…]sono donna/come un’erica nel vento,/senza flettermi.
Bellissimo il poemetto Autoritratto con un incipit intrigante e manifesto di una pacata indulgenza alla propria femmina corporalità (Sotto il pizzo della camicetta/sta il mio involucro-corpo); un gioco di specchi in cui è d’uopo smarrirsi e far smarrire; un segreto che può celarsi anche nello scavo di una fossetta sottoguancia; occhi come pozzo nel quale sprofondare; tutto da dare e da dire, tranne il cuore, quello no quello resta racchiuso dentro una corteccia trasparente, da vedere ma non da possedere, se donna è libertà, se autoritratto è anche capacità di bastarsi, di restare implosa, di darsi solo finché lo si voglia, spezzare quell’emblematico fermaglio che trattiene al di qua di quell’orizzonte da non valicare, pena il tradimento di un’isola felice nella quale avvertire la bellezza di un quadro eternamente muliebre, che affida la sua consistente bellezza alla durata effimera d’un gesto.
Donna è esserlo sempre. Venere sempre. Oltre l’insidia del tempo, oltre quella musica che il corpo potrebbe cessare di percepire, nell’incedere amaro degli anni, oltre la finitezza, se resta la certezza di braccia eterne, di labbra morbide…respiro di cristallo, fili di vento, midollo dei sogni…
Perché Adriana sa come giocare con le metafore fino a far sudare la parole, goccia dopo goccia, fino a rubare loro ogni possibile gioco di lusinga e di consapevolezza, fino a rendere il poetare un’avventura che non può morire, neanche nel nostro arido presente che ha bisogno di tuffarsi in questi eterni idilli, incastrati tra girandole di luce, nella memoria di città che hanno accompagnato il quieto vagabondare senza geografia, portati dal flebile vento/che si fa turbine improvviso/per pienezza d’amore.
Leggerla sempre Adriana Scarpa. Per restare piacevolmente impigliate in una rete intessuta con parole/oggetti, con oggetti/metafore, con rimandi/ritorni. Per sentire che in lei vibrano corde indelebili e che la sua è poesia che si fa carne e sostanza, in un’epoca di sperimentalismi spesso vuoti e spesso affidati solo a giochi di parole che niente sottendono, mentre lei, Adriana, invece dietro la bellezza del dire ha la forte pregnanza del dare.