Il cantante siriano è uno di quei personaggi che non passano certo inosservati, infatti l’americana Sublime Frequencies qualche anno fa lo tira fuori dal cilindro e lo rende un piccolo fenomeno del pop più strambo, figlio delle distanze accorciate tra mondi diversi come quello occidentale e quello orientale. Oltre alla label di Alan Bishop & soci, altri si accorgono di lui e a un certo punto fiutano l’affare. Gli propongono dunque un contratto nuovo di zecca, per di più affidando la produzione a uno tipo scaltro come Kieran Hebden, in arte Four Tet. Certo, l’apporto di Hebden sembra relativo, nel senso che lo scopo rimane quello di confezionare delle canzoni orecchiabili e dall’afflato “post-globalista”, ma senza dimenticare le origini. Insomma, la ricetta è speziata (e un pelo scontata, anche) ma funziona. D’altronde è vincente proprio perché il cosiddetto “etnico” piace (ok, affermazione piuttosto dozzinale, ma ci sta). Né più né meno che dance pop, quindi, e di buona fattura: “Warni Warni” è concitata come una folk-song sotto speed e “Ya Yumma” vibra che è un piacere, come sempre accade con l’autore di Jazeera Nights. Due cose sa fare e continua a riproporle bene: canto meno enfatico di quello che sembra, basi elettroniche piuttosto semplici, ma solo all’apparenza, e piglio scanzonato come si conviene a un autore che per anni ha suonato a feste e matrimoni del suo paese di origine. Non manca pure una sorta di ballad, sempre alla sua maniera s’intende, “Khattaba”, che con quegli archi febbrili e il cantato che gorgheggia timido (c’è una invocazione ad Allah, ovviamente…) finisce per essere il pezzo migliore del lotto. In sostanza un disco che non dispiace e che conferma Souleyman come singer eccentrico, e mica tanto sprovveduto e kitsch, anzi.
Tracklist
01. Wenu Wenu
02. Ya Yumma
03. Nahy
04. Khattaba
05. Warni Warni
06. Mawal Jamar
07. Yagbuni