"Sulla parte sinistra della foto si vedono dei poliziotti in assetto antisommossa, hanno i caschi blu con le visiere calate, gli scudi, i manganelli, gli anfibi ai piedi; sono aggruppati insieme, saranno una quindicina, poco più, e spingono. Uno è caduto, è per terra, ha perso il casco, si vedono i suoi occhi, c’è incredulità e smarrimento. Sulla parte destra della foto ci sono dei giovani, con scarpe da ginnastica, jeans, giubbotti, caschi da moto, e scudi formati da policarbonato e gommapiuma; si tengono uno con l’altro, quelli più dietro hanno le mani sulle spalle e sui fianchi di quelli più avanti e resistono, saranno una dozzina, poco più. Respingono l’impatto e spingono a loro volta, perché gli altri arretrino. Tra i due gruppi non c’è spazio, spiraglio, un lume d’aria e luce, il poliziotto a terra non ha modo di rialzarsi. Il corpo a corpo è ravvicinato e il cozzo si intuisce violento benché non fragoroso, si avvertono i muscoli tesi, la forza. È un’immagine della giornata del 14 novembre, un primo momento della carica della polizia dopo un lancio di oggetti da parte dei manifestanti; il gruppo di giovani cerca di fare argine, di dare tempo agli altri loro compagni di scappare, di trovare altre postazioni e un modo per resistere, tra poco irromperanno centinaia di agenti, la sproporzione e l’asimmetria saranno eccessive e sarà la fuga verso via Arenula. È un’immagine bellissima, senza tempo: un racconto omerico, il campo di battaglia di Kurukshetra del Mahabharata, la battaglia di Anghiari ritrovata, senza animali morenti e spade e sangue. Senza animali morenti e spade e sangue.
Non c’entra nulla l’estetica – la violenza non è mai estetica, dirò anche questo –, quell’immagine è bellissima perché è squisitamente politica, perché è fondativa."
Lanfranco Caminiti - da "L’uso della forza non può essere un monopolio di Stato"