Omicidio Biagi, prescrizione per Claudio Scajola e Gianni De Gennaro

Creato il 12 maggio 2015 da Andrea86
L'ex Ministro dell'Interno e l'ex Capo della Polizia erano indagati per cooperazione colposa in omicidio colposo per la mancata scorta al giuslavorista ucciso dalle BR nel 2002

La sezione distrettuale del tribunale dei ministri di Bologna, a quanto apprende l’ANSA, ha dichiarato l’estinzione per prescrizione delle accuse nei confronti di Claudio Scajola e Gianni De Gennaro per la mancata scorta a Marco Biagi, ucciso dalle Br nel 2002. Erano indagati per cooperazione colposa in omicidio colposo.
ANSA
OMICIDIO BIAGI, LE ACCUSE A CARICO DI CLAUDIO SCAJOLA E GIANNI DE GENNARO -L’inchiesta è stata condotta dal Pm Antonello Gustapane. Secondo le prime ricostruzioni sarebbero contestate alcune omissioni e manchevolezze nella protezione del professore. Claudio Scajola e Gianni De Gennaro avrebbero dovuto rispondere di «imprudenza e negligenza e in violazione degli articoli 1, 2, 5 e 24 della legge 121 del 1981 (ordinamento dell’amministrazione di pubblica sicurezza, ndr) e delle circolari ministeriali vigenti in materia di misure di protezione». Marco Mangia, legale dell’ex Ministro all’epoca contattato dall’agenzia Ansa disse di non sapere nulla sulla vicenda: «Non abbiamo ricevuto carte, nessun avviso».
ANSA/ CENTIMETRI
NON SI PRESE IN CONSIDERAZIONE IL FATTO CHE FOSSE DIVENTATO UN OBIETTIVO DELLE BR?Secondo le contestazioni dei pm hanno gli indagati non considerarono l’«elevatissima probabilità» che il giuslavorista, diventato il principale consulente tecnico-giuridico del ministero nell’elaborazione di politiche di riforma del mercato del lavoro e delle relazioni sindacali, «duramente contestate dalle forze democratiche di opposizione e bollate come “neocorporative” dalle forze estremistiche di sinistra», fosse divenuto «l’obiettivo principale delle Br-PCC», a partire dalla pubblicazione del cosiddetto Libro Bianco. Organizzazioni, quelle brigatiste, che Scajola e De Gennaro conoscevano come in parte ancora in libertà, dopo la commissione dell’omicidio del professore Massimo D’Antona.
LE ANALISI NON CONSIDERATE - Per i pm Scajola e De Gennaro avrebbero anche omesso di considerare le analisi sull’eversione di matrice brigatista dal Dipartimento di pubblica sicurezza «che paventavano azioni aggressive anche omicidiarie da parte delle Br-PCC» e di altri gruppi, sulla scia dell’azione contro il professor D’Antona, nei confronti di esponenti di settori politico-economici più impegnati in progetti di riforme istituzionali, nella mediazione tra le parti sociali. Inoltre non avrebbero considerato nemmeno le diverse analisi sviluppate dal Sisde con documenti che «giungevano a preconizzare, nel solco dell’azione D’Antona, azioni dimostrative o di attacco anche grave, ad obiettivi “simbolo” o a persone che non beneficiano di misure di protezione».
LA RIAPERTURA DELL’INCHIESTA -Dopo l’archiviazione della prima inchiesta, la scorsa primavera il caso venne riaperto dopo la trasmissione a Bologna di nuovi documenti, compresi alcuni appunti dell’ex capo della segreteria di Scajola, Luciano Zocchi. Tra i documenti che hanno permesso l’apertura del nuovo fascicolo c’erano quelli sequestrati il 9 luglio scorso durante la perquisizione della casa romana dello stesso Zocchi in un’inchiesta sulla truffa ai danni dell’ordine religioso dei Salesiani. L’ex segretario di Scajola, parlando del caso Biagi, dichiarò: «Se qualcuno ha sbagliato nel togliere la scorta a Marco Biagi lo ha fatto per superficialità e certamente non per volontà».
LA PRECISAZIONE DI ZOCCHI AL CORRIERE DELLA SERA - Un anno fa lo stesso Zocchi, intervistato da Fiorenza Sarzanini sul Corriere della Sera, aveva smentito Scajola sulla vicenda della scorta mancata a Marco Biagi. Se l’ex ministro si difese in Senato spiegando di non essere mai stato a conoscenza dei pericoli e delle minacce al giuslavorista, in realtà lo stesso capo dello staff del Viminale precisò di avergli consegnato, quattro giorni prima dell’agguato mortale contro Biagi, due lettere con le richieste dell’onorevole Maurizio Sacconi e del direttore generale di Confindustria Stefano Parisi. Missive nelle quali si spingeva affinché fosse concesso lo strumento di protezione al giuslavorista bolognese. Anche l’attuale governatore lombardo Roberto Maroni spiegò come fosse alta l’attenzione per il timore di un attentato contro Biagi. «Sono io ad aver scritto una lettera al ministro dell’Interno, chiedendo di estendere la scorta anche a Bologna, dove viveva», spiegò.
«BIAGI? UN ROMPICOGLIONI», LA FRASE CHE PROVOCO' LE DIMISSIONI DI SCAJOLA -Scajola si dimise poi dall’incarico nel 2002, accusato dalle opposizioni, dopo che da Cipro aveva offeso la memoria di Marco Biagi, bollandolo come «un rompicoglioni che voleva il rinnovo del contratto di consulenza». (Photocredit copertina ANSA/ANGELO CARCONI)
Fonte: Giornalettismo

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