C’è chi è accusa la gente di vedere mafia e ‘ndrangheta dappertutto, come i noti deputati dei romanzi di Sciascia che smentiscono paternalisticamente il taglio delle indagini di volenterosi ed intelligenti magistrati e poliziotti.
Eppure l’intrico di possibilità che stanno dietro l’omicidio del carabiniere Giovanni Sali, freddato a colpi di pistola a Lodi la scorsa domenica 4 novembre, potrebbe arricchirsi di una nuova ipotesi, piuttosto forte, se si tiene conto della presenza di alcuni esponenti ‘ndranghetisti nella (forse ex) tranquilla cittadina lombarda. Tenuta in sordina, quasi con incomprensibile insistenza, dagli inquirenti, l’ombra della ‘ndrangheta ritorna nel caso Sali con le dichiarazioni di Luigi Bonaventura, collaboratore crotonese di giustizia, ex capobastone della cosca Vrenna, uomo ormai «in attesa dell’espatrio o della morte», come l’ha descritto Roberto Galullo sul Sole 24Ore.
«Mi sembra opera da professionisti – ha dichiarato Bonaventura al quotidiano Il Giorno – Questa tecnica la usavamo anche noi quando dovevamo uccidere un vigilantes o un esponente di una cosca rivale». Sali è stato ucciso con due pallottole al torace che risulterebbero esplose dalla sua pistola d’ordinanza, mentre una terza avrebbe trapassato la serranda di un garage (all’interno del quale sarebbe stata ritrovata l’ogiva).
La pista più accreditata al momento sembrerebbe essere quella del “ribaldo di strada”, che, verosimilmente sorpreso dal carabiniere nel corso di una rapina o un furto, avrebbe reagito “d’impulso” uccidendo il militare. Ma.
Ma l’ex boss osserva che quello di via del Tempio «non è sicuramente un lavoro fatto da semplici balordi. Mi sembra proprio opera di professionisti. Il Carabiniere potrebbe essersi trovato di fronte, nel vicolo stretto, due persone, una gli potrebbe avere puntato contro una pistola e l’altro potrebbe averlo immobilizzato e, con destrezza, sfilato l’arma dalla fondina». La fondina è dotata di un dispositivo di sicurezza che non rende facile l’estrazione dell’arma (la potente Beretta 92 parabellum, sulla quale sono state rinvenute alcune impronte ora al vaglio degli investigatori) la quale, tra l’altro, ha anche una propria sicura che, a meno di mani esperte, ritarda parecchio l’uso della pistola. E’ verosimile dunque che i killer sapessero bene come si maneggia un’arma. La stessa destrezza e praticità potrebbe averla un “balordo” di strada, magari più dedito a coltelli e grimaldelli? E un balordo di strada avrebbe avuto la stessa cura nel non lasciare dietro di sé se non minime tracce assai difficili da riconoscere? «Probabilmente ne avrebbe lasciate mille – commenta Bonaventura -. Entrambi i killer poi potrebbero aver tenuto calmo il carabiniere, tanto è vero che nessuno ha sentito le sue urla. Potrebbero avergli fatto credere di volerlo derubare solo del portafogli. Il terzo colpo potrebbe essere stato sparato contro il muro per depistaggio», ovvero per depistare dalla propria praticità nell’uso delle armi. La Beretta di Sali, secondo l’ex boss, sarebbe stata utilizzata al posto di un’arma propria «perché una pistola che uccide un Carabiniere scotta. Dall’ogiva si potrà sempre risalire ad essa». E l’autopsia ha escluso la colluttazione: nessun segno di violenza è stato rinvenuto sul corpo di Sali, eccetto quelli lasciati dai proiettili.
Gli scenari, non del tutto inediti, aperti dalla “consulenza” di Bonaventura vanno ad affiancarsi all’effettiva presenza nella zona di nomi legati alla criminalità organizzata. Si sa che attorno a via del Tempio (a pochi passi dalla chiesa della Maddalena) sui cui ciottoli Sali è stato colpito e lasciato agonizzante, abitano pregiudicati e persone in odore di ‘ndrangheta. Ed è sì vero che il boss, o comunque il malavitoso, tende comprensibilmente a “non defecare dove mangia”. Ma c’è sempre un limite, un punto di rottura. Da quanto si apprende, l’appuntato stava controllato due mezzi sospetti: due auto, o forse due scooter, fermi nella via dove è stato trovato ucciso. Ed era entrato nella corte interna di una palazzina (abitata principalmente da cittadini albanesi), forse per ispezionare qualcosa.
«Se fosse questa la pista giusta – conclude Bonaventura – qualcuno avrebbero potuto colpire Lodi perché città di un uomo della lotta anti-mafia, l’attore e consigliere regionale Giulio Cavalli, della cui scorta anche Sali aveva fatto parte». Possibilità che però era stata precedentemente accantonata dallo stesso Giulio Cavalli, il quale si era allontanato da Lodi proprio dopo aver denunciato una serie di affari poco puliti riferiti a un boss calabrese in città (e il quartiere Maddalena ha molti residenti di origine calabrese tra i quali anche vari pregiudicati).
Michele Scolari