Ora che le indagini per l’omicidio di Reeva Steenkamp stanno portando a galla la realtà dei fatti, ora che la vicenda si rivela avere lo stesso copione di tantissimi altri femminicidi, la cronaca diventa, immancabilmente, macabra soap opera mediatica.
Così i giornali non comprendono che a morire è stata lei e non lui, e continuano a riproporre il nome dell’assassino e le sue lacrime. Imperterriti non smettono di sciacallare su quello che era il corpo di una ragazza, che per il fatto di fare la modella come professione non ha nemmeno il diritto di essere ricordata, ad esempio, come una persona attiva contro la violenza sulle donne, ma solo ed esclusivamente come fisico da riproporre ad oltranza in tutte le pose per il morboso voyeurismo del pubblico e la smania di ricevere click dei giornalisti.
Ma noi siamo stanche! Siamo davvero stanche perché una donna, ancora una volta, è stata massacrata! Una donna è stata uccisa per quella stessa mentalità sessista e misogina riprodotta ventiquattro ore su ventiquattro dagli stessi media che ora, come sempre, continuano a sciacallare sulla morte, sui corpi e sulla sofferenza.
E così la vicenda diventa una soap opera dai titoloni acchiappaclick, dove il famoso atleta dalle gambe bioniche diviene il protagonista geloso della sua fidanzata modella, alta bionda e bella, che per aver partecipato ad un reality con un cantante ventiquattrenne, divenuto il “rivale in amore” di “blade gunner” (come ribattezzato dai giornali), ha suscitato in lui una “vera e propria ossessione, tanto da indurlo a…”.
Indurlo ad uccidere.
Ancora una volta sentiamo quello stesso pericolosissimo e mistificatorio ritornello: “Delitto passionale”, “movente gelosia”, “amore”.
Ma quante volte dovrà ancora essere ripetuto che l’omicidio di una donna in quanto tale non ha nulla a che vedere con la passione, non rappresenta la conseguenza di un amore, non ha nessuna giustificazione di sorta, nemmeno quella che si cerca nel concetto di gelosia malamente stra-abusato? Quante parole, quanto fiato ancora dovrà essere speso per porre all’attenzione dei giornalisti la questione del travisamento mediatico posto in atto quotidianamente, delle strumentalizzazioni, delle giustificazioni, non più ammissibili a questo punto del percorso di consapevolezza innescato dal basso?! Ma soprattutto, quante donne dovranno ancora essere uccise???
Insomma, siamo alle solite. Lei è definita bella, bellissima. Lui geloso e, ora che l’ha uccisa, sofferente. La vittima ha quasi la “colpa” di quello che le è successo, colpa che risiede nella sua bellezza. Era troppo bella e lui ne era geloso. Com’è facile scusarlo, vero?
Ma noi non vogliamo scusarlo. E non vogliamo che venga scusato da nessuno. Siamo stufe di questo modo di fare giornalismo, di questo modo di dare le notizie che riguardano la morte per femminicidio di una persona in base al fatto che sia bella, brutta, giovane, o vecchia!
Pistorius ha fatto quello che fanno tutti gli omicidi di donne: ha ammazzato perché non ha riconosciuto alla sua ragazza la libertà di autodeterminazione. Ha ucciso perché incapace di confrontarsi alla pari con lei, perché non accettava che lei prendesse decisioni in autonomia, perché non si comportava come lui avrebbe voluto, perché lei sfuggiva al suo controllo.
Questi non sono raptus di gelosia. Questi sono FEMMINICIDI. Una donna uccisa perché non accetta passivamente di vivere come altri le impongono, ma decide di fare la persona pensante, libera, autonoma. Di vivere come una persona, punto.
E noi, di fronte a questi orribili delitti, siamo ancora costrett* a leggere delle lacrime dell’assassino e a vedere riproposte in modo martellante e osceno le fotogallery sexy della vittima. Gallery sexy di corpi che non esistono più, per quello stesso sessismo che in un circolo vizioso ci restituisce la realtà dei fatti confezionata con la misoginia dilagante che percorre trasversalmente tutto il globo terrestre.
Noi gridiamo BASTA! E’ ora di cambiare le modalità di fare giornalismo! Ma non più solo a parole.
Chiediamo che non si possano più pubblicare, in un orribile, macabro voyeurismo, le foto di una donna vittima di femminicidio appositamente scelte per stuzzicare l’occhio scrutatore del lettore medio. Che le testate giornalistiche si diano un “codice deontologico” anche in quanto a rispetto e lotta alle discriminazioni, che vieti queste forme di sciacallaggio che perpetrano atteggiamenti sessisti e violenti e, nel caso queste norme esistano già, che ognuno se ne assuma la piena responsabilità!