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Omuncoli medievali capovolti sulla facciata di S. Domenico di Nardò: svelato l’enigma

Creato il 13 gennaio 2011 da Cultura Salentina
(La “misteriosa” facciata di S. Domenico di Nardò si rivela nell’ipotesi di Paolo Marzano, giovane studioso di storia e critico d’architettura, svelando i presunti riferimenti delle assonanze strutturali e stilistiche, individuandole nell’ambito domenicano spagnolo. n.d.r.)

di Paolo Marzano

S.Domenico a Nardò

Nardò: San Domenico

Pur nella limitazione di questo spazio cercherò di evidenziare i risultati di questo studio. Lascio a una futura pubblicazione l’intero percorso di ricerca che trova nell’importanza della presenza domenicana, molte attinenti soluzioni, magari suscettibili di aggiornamenti o di sempre perfettibili confronti.

 

Siamo alla fine del XV secolo, l’Europa è caratterizzata da un flusso di uomini, mezzi, materiali, documenti, razze, merci. In Spagna l’intransigente modello architettonico tardo-gotico, già pervaso dal mudéjar, si confronta con la scoperta del nuovo mondo, aprendo alla Spagna stagioni di entusiasmo artistico a dimostrazione della rinvigorita potenza iberica dopo la Reconquista. Lo stile isabelliano, nasce, infatti, durante il regno di Ferdinando d’Aragona e Isabella di Castiglia,  arricchendosi di minuziose elaborazioni e preparando la via per quello plateresco.

E se plateresco si traduce in ‘alla maniera degli orafi’, è evidente, l’approccio artigianale, nell’abbondanza delle invenzioni di etimi linguistici architettonici, sovrapposti agli infiniti riferimenti simbolici. L’encomiabile e ricca opera, di Mario Manieri Elia e Maurizio Calvesi nel ’71, poi di Cesare Brandi nel ’79, coglie, in effetti, la complessità di seguire ‘precisi’ indirizzi stilistici, nell’impossibilità di realizzare una vera analisi sistematica dei fenomeni delle varianze artistiche, proprio per la diversità degli approcci e delle interpretazioni degli etimi, a seconda della scala di grandezza variabile, della materia usata e dell’esperienza dei costruttori.

Un fervore operativo intono ai grandi cantieri polarizza ricchezza, talenti, confronto di culture ed esperienze costruttive. Ne consegue tutta una serie di trasformazioni, per cui, cibori, reliquiari, cenotafi, piviali, pastorali e arredi sacri (altare, arca, pulpito, colonne candelabre), oppure miniature per corali, retablos, polittici, cammei di avorio o alabastro, augustales, sono sottoposti ad una glittica fantasiosa e reinterpretata che, cristallizza l’operosità del tempo diventando, da architettura, ad diaframma scultoreo elaborato, insegna sospesa e persuasiva modello di vitali apparati della meraviglia. Specialmente quando fondendosi nel plateresco (gli etimi architettonici, italiano, fiammingo, mudéjar), assumono espressività esaltando quella tensione religiosa come fa l’architetto Gil de Siloé, presente in Spagna nell’ultima parte del XV secolo.

Suo è il portale, di uno dei più importanti collegi domenicani europei, per l’insegnamento teologico, a Valladolid: S. Gregorio (1488 -1496). In corrispondenza dei due giunti dell’arco ribassato trilobato, sono posizionati due putti, inusualmente ‘capovolti’ che sostengono due teste barbute. Vincenzo Tarantino Baccelliere (titolo accademico), è il fratello del costruttore della facciata di S. Domenico a Nardò, Giovanni Maria Tarantino (prima metà del XVI sec.). Uomo colto, buon viaggiatore, quindi, capace di acquisire impressioni e testimonianze spagnole. Ricordo che, quello di Valladolid è un convento domenicano, ordine monastico, del quale, faceva parte il vescovo di Nardò Ambrogio Salvio dal 1569 al 1577.

Ambrogio Salvio de Balneolo (la Bagnoli medievale), inoltre fu vicario generale dell’ordine dei domenicani, teologo e professore alla Sorbona di Parigi, confessore personale dell’imperatore Carlo V. Egli, nel 1574, in particolare il 20 febbraio (il mese e il giorno coincidono con il terremoto del 1743 a Nardò, coincidenza!?), istituì, come in altri centri d’Italia e d’Europa, la Confraternita del Rosario o Salterio (le centocinquanta Ave Maria, con i suoi 15 misteri della fede, ai quali Giovanni Paolo II, nel 2002, ne aggiunse altri cinque, formano la struttura della preghiera, alludendo chiaramente ai salmi biblici, anch’essi, centocinquanta). E fu lui che volle la costruzione dell’originaria S. Maria de Raccomandatis poi S. Domenico. L’unicità scultorea e l’originale postura dei due puttini, ritengo possa convincere che le due figure spagnole, siano state un probabile riferimento compositivo, per le due sculture proposte, nella parte destra, della facciata del S. Domenico di Nardò.

L’iconografica, dunque, eredita, dal repertorio basso-medievale (putti seduti come i telamoni seduti reggi-colonna romanici o con la postura dei doccioni delle cattedrali  gotiche), i modelli spagnoli. D’altronde, nella vicina chiesa di San Paolo (1260), più antica del collegio di S. Gregorio, ristrutturata da Simòn de Colonia nel XV, anch’essa, nevralgico riferimento, domenicano a Valladolid. Proprio nella facciata ‘retablo’, nella sua parte bassa, si nota una ricca plasticità, che ricorda la suggestiva ‘macchina’ della facciata (lavorata come un altorilievo) di S. Domenico di Nardò. Evidente, infatti, il denso e ascensionale sviluppo delle strutture (verticalità tardo-gotica), alternato tra montanti e sculture, affiancate ed estremamente fitte.

S.Paolo a Valladolid

Valladolid: San Paolo

La facciata, quindi, rimane attinente e in accordo, compositivo all’interpretazione di Nardò, del Tarantino, che ritengo pertanto, un po’ meno inventivo, bizzarro o che usa espressioni ironiche, oppure di difficile riferimento a precedenti modelli, ma invece incoraggiato da tutti quei messaggi capaci di conferire all’opera, echi della città iberica ‘domenicana’, ma ancor più, della potenza spirituale della cattolica e valorosa Spagna. Ritengo, questo, l’apporto della mia tesi alla ricerca storiografica. Infatti, l’altro caso, che ho approfondito, a conferma di una più preziosa e ricercata esperienza, nell’applicazione di soluzioni compositive del Tarantino, che attiene al collegio domenicano di S. Gregorio a Valladolid, e che ritengo sia la prova del reale svolgersi di processi di formazione linguistica, riguarda le lesene dipinte, all’interno dell’Incoronata di Nardò (1599) nel primo altare a destra, riquadrate e con l’immagine del nastro sinusoidale che contiene, non una ‘colonna scanalata’, come è stato detto, ma ritengo probabile, che sia l’interpretazione del modello, scolpito, esistente nella facciata (ancora) del collegio di Valladolid, riportato sotto gli appoggi delle sculture dei soldati del portale.

 

Come la colonna  tortile nasce dalla sinuosa linea della vite, il pilastro gotico a fascio (polilobato) contenuto da nastri sinusoidali (antica decorazione a ‘nastro caduceo’), sembra riferirsi alle romaniche reminescenze delle colonne ofitiche (annodate o inglobate !?), simboli noti della ‘fortezza’, nel legame spirituale dell’uomo a Dio (alcuni esempi anche nei mosaici romani).

Dei particolari, dunque, che aggiungendo ricchezza ed importanza relazionale ai monumenti in esame, aprono repertori costruttivi complessi e diversificati tutti da approfondire. In conclusione si ritiene molto probabile che, con il flusso d’intellettuali, docenti e studenti che abitavano o sostavano, nella città spagnola, per motivi di studi accademici e confronti teorici, assorbiti dal fervore domenicano, passassero anche modelli e disegni dell’immagine fantastica della plateresca Valladolid. Bene ha fatto, dunque, la città di Lecce a gemellarsi con Valladolid. Infatti, sin da quando nel 1982 gruppi di studenti leccesi hanno frequentato corsi estivi a Valladolid, guidati dal docente di Relazioni Internazionali dell’ateneo salentino Gennaro Loiotine, le due Università hanno intensificato le relazioni, costituendo il modello per un quadro di cooperazione economica tra imprese attraverso le due Camere di Commercio fino alla firma di un memorandum di intesa nel 2005.

Considerato poi il peso e l’interesse architettonico di entrambe le città, sono stati stabiliti stretti legami tra il Collegio degli Architetti di Valladolid e l’Ordine degli Architetti della provincia di Lecce, con un accordo di partenariato firmato a febbraio del 2009. La città di Lecce quindi, il 15 luglio 2009, ha sancito l’antico legame tra le due città e le affinità culturali. Auspico pertanto l’ampliamento di strategie programmatiche, collaboranti con la ricerca e lo scambio culturale universitario. Magari con spazi, qui a Nardò, destinati a sedi, dipartimenti e aule attrezzate, per un continuo confronto tra territori lontani, ma già dalla storia condivisi, quindi, molto più vicini di quello che si possa mai immaginare.


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