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One

Da Shappare
Gli elegiaci latini l’avevano capito meglio degli altri, che è dall’amore sfortunato e dalla nequitia che nasce la vena poetica. Ben lungi da voler entrare nel corpus Tibullianum o foss’anche nel circolo di Messalla, non ho comunque voglia né spunti per coltivare questo spazio di assoluzione autoreferenziale creato a suo tempo perché troppo pavida per affrontare vere zone di scrittura.
Quando l’ho aperto ero in un periodo fecondo del mio masochismo sentimentale con il dc, e, detto sinceramente, non credevo nemmeno che su un blog si potesse interagire con le persone (l’isolamento ignorante del mondo altro, proprio delle lettere, non toccherà le nuove generazioni: ma godranno altrettanto della pura concinnitas?). Dopo un mese ho conosciuto PG (non Pier Giorgio, Pallone Gonfiato), stupita dal tridente Gadda–De André–Brescia: tuttora non mi fido dei letterati e, in generale, dei falsi umili. Riusciva a ridurre tutte (e sottolineo tutte, taglio dell'anguria compreso) le sue incapacità alla mia di non esserne innamorata. Diceva, sul finire della nostra (mia?) amicizia, che non avevamo compreso, al principio, le reciproche inadeguatezze. Ovviamente intendeva le tue inadeguatezze, ma questo l’ho capito alla distanza (did I disappoint you or leave a bad taste in your mouth?)
Probabilmente - e qualcuno mi darebbe ragione - ho avuto qualche relazione di troppo, quasi tutte troncate con neoterico labor limae dalla mia (sic) inadeguatezza. Pare – spazio di assoluzione autoreferenziale – che infine anche le storie non chiuse da me debbano vedermi come carnefice. D., al termine dell’estate (ma è una coincidenza fastidiosa solo per i malfidati), torna piangendo a dirmi che ha sbagliato, che è stato, cito testualmente, un ragazzino testa di cazzo, che vuole me, che vuole trasferirsi da me, la cosa più importante della sua vita tutta. Salvo poi dimostrarmi che è un ragazzino nel giro d’un secondo, frignando che, con una storia come la nostra, dovrei tornare con lui che mi confessa platealmente il mio amore e invece “preferisco” (ed è il verbo, da amante delle parole quale sono, ciò che mi fa impazzire più del resto) un altro, conosciuto da poco e che – pensa te – sta pure lontano.
Il tempo della lontananza sta finendo, mi dice. Buonanotte, gli ripeto venti volte.
Ma riesce comunque a chiudere i giochi con un messaggio in cui, solita vittima sacrificale sull’altare dell’altera bresciana, dice di avermi confessato quel che doveva e che se continuo a ignorarlo sarà solo mia la responsabilità del naufragio di una grande storia (will it make it easier on you now you got someone to blame?). Per quanto detesti tutto questo, soprattutto perché combatto egoisticamente con i sensi di colpa since 1988, non credo – pur ricordando come mi abbia (mal)trattata, nel mio soggiorno milazzese - a ciò che dice Fratello, che il suo sia desiderio di sistemarsi, dopo le storielle estive, con me in quanto “buon partito” (Manu, non lo siamo, soprattutto non lo sono; e semmai dovresti pensare a chi ti sta accanto da anni, non a chi io ho perso dopo poca strada). Credo più a quel che gli rispondo, al desiderio di riandare, nei momenti di dolore settembrino e vuoto pneumatico, ai più vicini luoghi sereni e positivi di ingenuo ottimismo: ma tutto ciò non c’era per noi da tanto, D.
 
Scappata da una partita di pallavolo, scampata al fighettame di piazzale Arnaldo, mentre la statua dell’eretico concittadino mi sembra sempre più allargare le braccia in segno di rassegnazione dinnanzi a figli di papà in mocassini e ragazze scosciatissime su tacco 12 (autoassoluzione e pure invidia), torno a rigirarmi nel letto: sogno quella che pare sarà la mia nuova via, ma non un appartamento con parquet scuro, bensì in un malfamatissimo dormitorio una stanza squallida, sul corridoio per la quale un biondo slavo mi metterà una lama di venti centimetri al collo.
Eppure, quando dico a parenti e amici dove mi trasferirò, adoro la loro espressione tra il dubbioso e lo schifato: ho scelto – mentre tutti la fuggono – la via con il maggior tasso di stranieri (leggi “criminali”, per il padania-pensiero), asian markets e puttane. Almeno avrò buona compagnia e un lavoro assicurato, chioso di solito divertita; e poi, a pochi metri, c’è pur sempre il Vantiniano.

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