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“One our photo”

Creato il 03 luglio 2010 da Cinemaleo

2002: One Hour Photo di Mark Romanek

“One our photo”
 
“One our photo”

Giustamente molte lodi da parte dei critici (ma non sono mancati giudizi negativi) per questo film che ha conquistato il pubblico del Festival di Locarno 2002:

“Un film destinato a rimanere nell’immaginario” (MyMovies), “Film d’autore al servizio dell’infallibile interpretazione di Robin Williams” (il Morandini), “Un Robin Williams da Oscar” (Il Corriere della Sera), “Un ottimo thriller, forse il migliore della stagione” (Cinefile.biz), “Il regista è abile a descrivere i lati oscuri della psiche umana” (Cinemalia).

Da un regista-fotografo, famoso per i video musicali e gli spot pubblicitari, ti aspetteresti un film «schizzato» dal dinamismo forsennato in cui forma estetica frenesia rapidità musica a tambur battente la fanno da padrone. E invece… Mark Romanek ci sorprende e ci conferma che gli stereotipi sono sempre sbagliati.

Abbiamo un film profondo, dal ritmo lento e meditato in cui ogni sequenza è da assaporare. Un film coinvolgente al massimo, ricco di intelligente e non superficiale suspense che cattura immediatamente l’attenzione e l’interesse dello spettatore. Un film di alto contenuto che ci fa riflettere su tanti aspetti negativi della nostra società, appagata solo in apparenza, e che riguarda tutti noi. One our photo (sceneggiatura da dieci e lode) è una acuta analisi del voyerismo, della facciata perbenista di cui amiamo circondarci, dei rapporti familiari sempre più problematici, delle disillusioni perennemente incombenti… ma soprattutto è una riflessione amara -angosciata e angosciante- sulla solitudine di un essere umano, uno dei tanti degli isolati… degli emarginati da una civiltà di massa sempre più superficiale, sempre più disattenta alle singole individuali esigenze e indifferente al vuoto che ci circonda.

Un film, secco asciutto essenziale, che pone inquietanti interrogativi sul nostro mondo e su noi stessi e che ci invita a guardare dietro la facciata della realtà che ci si presenta. Particolarmente interessante mi sembra il commento di Roberto Escobar (da Il Sole-24 Ore, 27 Ottobre 2002) e che costituisce la chiave di lettura del film (… chi non lo ha visto farebbe bene a non leggerlo…):

“…la sceneggiatura moltiplica i segnali della mostruosità del protagonista, una mostruosità che, invece, si annida nella normalità degli Yorkin: Will tradisce Nina, e Nina finge di non sapere (da una telefonata par di intuire che lei stessa tradisca il marito). Quanto al piccolo Jake, la sua vita è talmente piena di dolore, da indurlo a escludere gli esseri umani dalle sue foto. E tuttavia Sy resta ai nostri occhi il mostro, il criminale folle e in agguato. Così vuole, appunto, la nostra normalissima cecità.
Poi, al culmine della nostra attesa, la regia ci mostra le foto che – così immaginiamo – Sy ha scattato sui corpi nudi di Will e della sua amante. Ma quel che vediamo smentisce la superficie e arriva al di là dell’ovvio. Proprio come Jake, Sy ha “sparato” solo su dettagli inorganici, su oggetti senza vita, come se non avesse cuore di fissare la memoria del tradimento morale e dell’inganno. Chissà, forse l’ometto che non ha memoria e che sta sui margini della vita è meno mostruoso e folle di molti uomini e donne normali”.
 

Dire che Robin Williams è straordinario è dir poco. Una delle migliori performance che il grande schermo ci abbia mai regalato, da applauso in ogni singola scena. Indimenticabile.

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