Magazine Cinema
con Ryan Gosling, Kristin Scott Thomas, Vithaya Pansringarm, Gordon Brown, Tom Burke, Sahajak Boonthanakit
Danimarca, Francia 2013
Dopo l’ottimo Drive, Refn ritorna con un dramma amletico che seppur ha qualche nota in comune con Drive (le inquadrature, la lentezza e le musiche) si differenzia per la storia e per il modo stesso di raccontare.
Bangkok. Julian gestisce un club di pugilato, in realtà copertura per il traffico di droga. Quando il fratello maggiore Billy violenta ed uccide una prostituta verrà chiamato un poliziotto che ha una personale visione della giustizia. Un angelo della Vendetta che si chiama Chang. Farà uccidere Billy ed inizierà così un vortice di sangue tra la madre di Billy, Crystal, una eccezionale Kristin Scott Thomas, che ha come unico obiettivo quello di vendicare il figlio maggiore nonostante il suo delitto, il poliziotto e Julien. Refn gira questo film in Thailandia ripercorrendo i temi asiatici del combattimento. Qui sangue, violenza, tortura, vendetta si consumano in un crescendo dai ritmi forti, ma sempre molto intimo e personale. Non è semplicemente la violenza esteriore quella descritta, ossia morti ammazzati, corpi torturati e sangue, ma quella interiore, quella che ti rimane più radicata. Quella di Julian, che vive un rapporto conflittuale con la madre, una donna matrona, volgare, primo membro della sua famiglia criminale che mette in competizione i due fratelli. Un complesso edipico, ancora da sciogliere che Julien vive nella sua mente, nel suo cuore senza mai proferire una parola ma accettando i limiti di un rapporto malato. Julian, taciturno, trasmette conflittualità, una rabbia implosa, verso una madre che non ha alcuno slancio, disgraziata e bloccata nella sua banalità, ma dentro Julian urla. I suoi pugni serrati, le sue mani che si sporcano di sangue, il non riuscire a stare con una donna, la voglia di ritornare nel ventre materno per ripartire da zero, fino alla scena finale, simbolicamente perfetta.
Chang, angelo della Morte e della Vendetta, rappresenta Dio, colui che può decidere sulla vita e sulla morte degli uomini, colui che vendica una prostituta perché è così che deve andare. Lui, esperto torturatore e ottimo combattente, non ha paura, affronta i peccatori e si macchia egli stesso di delitti perché è necessario. Solo Dio perdona, perché gli uomini non riescono a farlo.
Un film complesso, a tratti forse anche confuso, che fa giri strani, allontanandosi talvolta dal significato, ma che lo sottintende e lo ritrovi in una scena, un simbolo. Non è una storia raccontata, ma è una storia immaginata, vista per sequenze, contorta, ma efficace.
Le inquadrature sono degne di Refn: compiute per ricostruire i drammi interiori, claustrofobiche in ogni momento, esteticamente potenti dove il colore predominante è il rosso, fiammeggiante, opaco come il fuoco, come il sangue, il rosso della rabbia, della paura e della vendetta. Dedicato in chiusura a Jodorowsky, sembra più una spiegazione che una dedica, per le immagini surrealiste, introspettive e visionarie che Refn ci regala per raccontare le tragedie dell’anima.
Insomma un film da rivedere, da riconsiderare per la sua forza simbolica e poco narrativa, ma dirompente come solo la violenza riesce a fare.
***
Pubblicato su: Cinema4stelle
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