“lo senti questo mare adesso dicevi questo mare è l’unico a capirmi”
(Stefano Massari)
L’incantamento di Aron Wiesenfeld, artista americano, è il minuto di silenzio per una scomparsa non ben definita. Il mistero di un’assenza. Ovunque. Una parata intera di assenze a cui nessuno si sente di applaudire. L’orologio è fermo. Il respiro, il cuore, fermi. Favola della sospensione e della caduta immobile. L’istante che precede la rottura definitiva di un equilibrio. Di qualcosa di prezioso. Ritratti d’innocenza su porcellana finissima: adolescenze in perdita, adolescenze a perdere. Perdenze. Dialoghi con la forza e il fascino di una natura silenziosa e indifferente, per questo l’unico colloquio possibile con essa si fonda e profonda nel mutismo. Nell’apnea. Da dove non si risale mai. Al contrario si precipita verso l’irrimediabile.
Tutto gira attorno a un’idea di soglia: ogni colore, ogni figura. Un limen. Ci si ritrova così, spesso di fronte al nero, all’oscuro, alla disconoscenza. L’arte di Aron è sempre un istante prima del salto. L’ultimo, il decisivo, l’oltrepassare definitivo. Sopra ogni tela sta colando un’angoscia lenta e trasparente. Adesso. Un’adesso che non sarà mai ieri, che fatica davvero a esaurirsi come ricordo, come rappresentazione. Il segreto svelato di un campo, di un cortile, di un bosco, di una notte burrascosa. Scovare una piccola falla nel tempo che non scorre è l’impegno di una statica del fatale, della ricerca di una fine, qualunque essa sia purché non venga rinviata ancora.
Maurizio Landini
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