Anna Lombroso per il Simplicissimus
Eletto: secondo il dizionario, scelto con il sistema elettorale, nominato a una determinata carica mediante elezione. Ma per qualcuno è più gradita altra definizione: prescelto da Dio, moralmente e intellettualmente elevato, sublime, nobile. A conferma di una qualità speciale, di una superiorità che abilita e legittima a godere di un trattamento, divino o terreno che sia, diverso da quello riservato agli altri, dei quali magari dividono i diritti ma non i doveri, i beni comuni ma non gli oneri.
Così al loro sublime spendersi per noi deve seguire un meritato riposo, rivendicato come diritto sancito dalla Costituzione, secondo la senatrice Finocchiaro che in una volta sola ci oltraggia due volte, richiamandosi a una Carta manomessa e a diritti offesi, prima di tutto quello al lavoro.
Vanno in vacanza per un mese, ma, ci avvertono i giornali, sarà un periodo di febbrili consultazioni, di dinamici negoziati, di incontri clandestini o conclamati, insomma saranno comunque tutti al lavoro nel cantiere delle riforme istituzionali sì, purchè fuori dalle istituzioni. Perché gli accordi riescono meglio se sono informali e opachi, perché le alleanze più sono confidenziali meglio si possono rompere, perché sono inguaribili nella loro patologica distanza dalla realtà delle nostre vite, nel disinvolto disprezzo per la nostra opinione e ormai anche nella pervicace sottovalutazione del nostro consenso, convinti che la legge speciale della necessità ci obbliga ai sacrifici, alla ineluttabilità di un sistema economico e alla fatalità di votarli. Avevano bisogno di prendere tempo. Per maturare miserabili rendite immeritate, per crogiolarsi nei loro privilegi, per eludere la minaccia delle elezioni anticipate, indesiderate e temute, ché è meglio che siano altri gli incaricati delegati a precipitarci nel baratro rovinoso, i più efficaci e solerti dei quali potrebbero eventualmente essere ammessi e annessi per meriti acquisiti.
C’è stato un tempo nel quale il ceto dirigente era espressione di una scrematura della società, magari risultato di processi di selezione attribuibili al censo, all’istruzione, perfino ai privilegi. Oggi mediamente il personale politico è peggio di noi, inadeguato non solo al ruolo ma più semplicemente alla realtà, perché è isolato nella separatezza, perché non è costretto a misurarsi con i problemi, perché è perduto in un hybris che ha ormai poco a che fare perfino con l’ambizione perfino con il potere, ma molto invece con la conservazione di rendite di posizione, con la tutela di benefici, con la coltivazione amorosa della distanza da noi, in modo che diventi superiorità, inviolabilità, quando non impunità.
Sono irriducibili nella difesa di un sistema costoso, inquinato e inefficiente. E se il governo non sopporta la critica tanto da annientare con superba albagia anche la pratica della concertazione, il ceto partitico ha scelto di non stare a sentirla, di arroccarsi in una autodifesa indifferente alla contestazione, sorda al dissenso, ostile all’interesse generale perché in contrasto con l’arbitraria egemonia di quello privato.
La democrazia non ci aveva promesso di perseguire l’obiettivo di rendere tutti i cittadini economicamente eguali, ma aveva sottoscritto l’impegno, con formale dichiarazione nelle costituzioni e nelle carte dei diritti, di “rimuovere gli ostacoli” che impediscono a uomini e donne, diversi tra loro sotto tanti punti di vista (dal genere alle inclinazioni, dal credo religioso alla ricchezza) di aspirare a una vita dignitosa. Assolvendo il dovere a non interrompere il lavoro di manutenzione sociale per garantire le condizioni di accesso, le “capacità” che abbiamo in dotazione e vogliamo esprimere per usare il termine scelto dalla Nussbaum. Chi ha rinunciato alla rivoluzione ha appreso che non era rinunciataria l’istanza che i livelli di disuguaglianza nella ricchezza mitigati agendo sui meccanismi che la determinano, con politiche in grado di assicurare che il godimento di alcuni diritti fondamentali raggiunga più pienamente e uniformemente la popolazione.
Chi rivendica il dovere di decostruire i valori consolidati e il diritto di porre interrogativi critici sulla loro vigenza, deve ricominciare a parlare il linguaggio della morale, ora, nel momento in cui l´etica pubblica affonda sotto il peso di una corruzione ormai insostenibile e la politica è diventata il collettore di interessi privati in un contesto di illegalità dilagante, venendo meno a quel dovere fondamentale che la democrazia le aveva attribuito.
Sono in vacanza e potremmo non accorgercene perché sono vacanti, sono inadempienti, sono sleali. Ma noi dobbiamo riprenderci l’onore della critica e il dovere morale del governo delle nostre vite, che doveva essere il loro lavoro e che deve essere il nostro diritto.
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