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Open: La mia storia / Andre Agassi; trad. di Giuliana Lupi. Torino: Einaudi, 2011.
In questo libro si sono incontrati una storia personale straordinaria, quella di Andre Agassi, e una grandissima empatia che ha consentito al suo biografo, J.R. Moehringer, di tradurre in parole e in immagini questa vicenda. Senza una di queste due componenti il libro non esisterebbe e per questo trovo particolarmente commovente il tributo che Andre riserva al suo personale scrittore nelle ultime pagine del libro, un racconto nel racconto che non fa altro che confermarci quel senso di verità che sembra respirare da ogni pagina dello stesso.
Forse Agassi, quel cattivo ragazzo che si è ritirato dalla scuola in prima liceo, non sarebbe stato in grado di scrivere la sua biografia, certamente non in questo modo, ma ad ogni parola l’opera straordinaria di mimesi realizzata da J.R. ci fa pensare che se avesse saputo farlo l’avrebbe scritta esattamente così.
Andre Agassi appartiene fortemente ai miei ricordi dell’adolescenza e della prima giovinezza. Erano gli anni in cui seguivo moltissimo il tennis. Ero una fan senza riserve di Steffi Graf. Durante le partite decisive degli Slam mi raccoglievo in religioso silenzio di fronte alla tv e seguivo con il fiato sospeso ogni scambio, esplodendo in una gioia incontenibile ad ogni punto vincente e cadendo nella più profonda depressione a seguito degli errori e delle sconfitte più brucianti. Tutto questo di fronte allo sguardo allibito di mia madre.
Ho sempre pensato al tennis come a uno sport di una bellezza e di una crudeltà estreme, uno sport che ti costringe a metterti di fronte a te stesso, alle tue paure, alle tue debolezze come forse nessun altro sport è in grado di fare, perché buona parte delle vittorie e delle sconfitte nascono dalla tenuta o dal crollo psicologico dell’atleta e spesso si decidono anche solo con uno scambio. Ho sempre pensato che nel tennis la gioia di una vittoria non pesi mai veramente quanto il dolore di una sconfitta.
Il tennis maschile l’ho sempre seguito meno; erano gli anni in cui i progressi della tecnica portavano sul campo atleti capaci di un gioco fatto sempre più di potenza piuttosto che di cesello. Ovviamente però ricordo tutti i protagonisti di quelli anni. Il mio preferito era lo svedese Stefan Edberg, modello di leggerezza ed eleganza sul campo, espressione forse di un tennis che andava scomparendo.
E chiaramente mi ricordo l’affacciarsi sulla scena del tennis mondiale di questo ragazzaccio di Las Vegas, Andre Agassi, con il suo straordinario rovescio a due mani (che devo ammettere non mi è mai piaciuto, mentre ho sempre preferito l’eleganza del rovescio a una mano), con i suoi colpi giocati sempre d’anticipo quando la palla ha appena cominciato a risalire dopo aver toccato terra, con i suoi capelli lunghi ossigenati, con le sue tenute improbabili, con i suoi eccessi in campo e fuori dal campo.
Mi ha sempre incuriosito, non l’ho mai amato. Troppo lontano dalla compostezza e dalla dignità sul campo di Steffi Graf, troppo sbruffone e poco rispettoso delle regole del tennis.
E così poi quando a distanza di anni me lo ritrovo spostato con la Graf e padre di due figli sono rimasta veramente sorpresa.
Nella sua bellissima autobiografia, Open, ho finalmente trovato tutte le risposte.
La bellezza di questo libro sta nel fatto che, pur parlando per il 90% di tennis, non è un libro sul tennis. È, invece, l’emozionante romanzo di formazione di un ragazzo fragile che ha impiegato trent’anni a trovare un senso alla propria esistenza. Andre Agassi ci permette di guardare dietro l’apparenza di quello che i giornali e la televisione ci hanno fatto vedere di lui per capire le difficoltà del suo percorso, le sue cadute, i suoi tentativi di rialzarsi, le sue profonde fragilità, il suo essere continuamente in conflitto con se stesso e la propria vita e il suo desiderio di trovare composizione a questa frattura. Ci permette inoltre di guardare le sue sconfitte e le sue vittorie da un altro punto di vista, che non è quello che emerge dal campo, ma quello della vita di una persona che per qualche ora si aggruma su un rettangolo diviso da una rete producendo esiti inattesi oppure prevedibili, ma solo per chi ne possieda il quadro completo.
Ne viene fuori l’immagine di una persona dotata di un cuore grande, di un’istintiva generosità, di una grande empatia con il mondo circostante, ma totalmente sopraffatto dalla vita e da un’emotività quasi ingovernabile, bisognoso di figure paterne capaci di proteggerlo da se stesso.
La storia di Agassi è la storia di chi ha avuto la fortuna di rinascere, o meglio di nascere quella seconda volta che è poi l’unica che conta sul serio. È la storia di chi non ha altro modo di vivere i sentimenti e le emozioni se non in maniera estrema, ma che è stato in grado di riconoscere sulla propria strada chi avrebbe potuto incanalare questa straordinaria energia emotiva in qualcosa di positivo. È la storia di chi deve passare attraverso quasi tutto prima di afferrare se stesso, ma che solo quando trova se stesso sa finalmente cosa vuole veramente.
Il libro di Agassi è coinvolgente e commovente. È diventato per qualche giorno il compagno di ogni istante di libertà, mi ha catturato con la forza della sua verità. E alle ultime pagine non ho potuto fare a meno di versare qualche lacrimuccia.
Da leggere assolutamente. Per chiunque. Anche per chi il tennis lo odia e l’ha sempre odiato. Esattamente come Agassi.
Voto: 4/5
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