#Opensource = community + tanto divertimento

Creato il 22 ottobre 2012 da Intervistato @intervistato
Un uomo che stimo molto una volta ha detto su un palco abbastanza blasonato una frase che, per tutta la vita, mi porterò dietro nella mia esperienza di “evangelism” dell’open source, insieme alla Legge di Torvalds sul divertimento. Queste parole furono “l’open source non ha niente a che fare con le licenze”.
Quell’uomo era Matt Mullenweg, una persona che per certi versi ha cambiato il web rendendolo un posto dove chiunque, in una maniera o nell’altra, potesse pubblicare i propri contenuti. Ha fondato Automattic, il cui prodotto di punta è proprio WordPress, ed ha sempre portato avanti lo sviluppo dei suoi prodotti nella maniera più aperta possibile.
Certo, arguiscono gli hater, si è sempre trovato in condizione di poterlo fare. È vero, ma nel frattempo l’ha anche fatto bene: ci sono un sacco di modi di fare male open source. Una buona metrica per i progetti open source di lunga durata, per valutarne i progressi e le potenzialità future, è misurare in qualche modo il contributo proveniente dal basso, oltre che dall’azienda stessa, in termini non solo di codice (se stiamo parlando di informatica) ma anche di bug report e feature request. Il che ci porta direttamente al punto di questa settimana: non è tanto il prodotto che conta, quanto la comunità che vi si genera intorno.
Ovviamente senza un prodotto di base non avremo un interesse che catalizzi gli sforzi delle persone nel rendere un prodotto migliore, né il tentativo della creazione di una community può assicurare che il prodotto rimanga longevo e sempre attivo sia fattivamente che nella mente, nel pensiero degli utenti. Partire in quest’ottica però, soprattutto adesso che siamo sommersi di startup che sembrano non avere idea di quello che stanno facendo (letteralmente), aiuta ad orientarsi e ad avere una visione aziendale che non sia limitata al primo round di investimenti “e poi chissà”. Ovviamente il discorso è ripetibile per aziende anche più rodate, dove però alcune volte abbiamo il primo milione di download “e poi chissà” - peccato che “chissà” arrivi sempre troppo presto.
Un paio di consigli per chi vuole buttarsi e rendere un prodotto open senza rimetterci una barca di soldi per poi dire “l’open source fa schifo”? Vediamo:
  •    Pensa in ottica community. Quanto può dare la community al tuo prodotto?
  •    Sempre community. Sei l’unico che può sapere in che direzione va il tutto?
  •    Le community escono dalle fottute pareti. Geolocalizza, organizza hackaton, fai competere e metti premi in palio. Fai mettere alle persone le mani sul tuo codice. Tanto poi a livello di prodotto ci guadagni tu.
Un caso di successo? Instagram: ancora adesso, nonostante tutte le applicazioni concorrenti, Instagram continua ad avere una comunità senza pari che oltre ad essere organizzata benissimo per hashtag tematici, ha anche un bel comparto geolocalizzato; sto parlando degli Instagramers. E a chi è venuta l’idea? Alla community. E chi diffonde il tuo stesso prodotto? La community.
Magari saranno tutte affermazioni campate per aria, ma magari no: community forte significa prodotto forte, e se tutto questo è anche open source, beh, se fossi un cialtrone allarmista direi d’aver trovato la ricetta del successo.
Alessio Biancalana | @dottorblaster


Open source = community + a lot of fun
A man I admire once said on a very important stage a phrase that I will keep with me in my experience of "evangelism" of open source for the rest of my life, along with Torvalds' Law on fun. These words were "open source has nothing to do with licenses".
That man was Matt Mullenweg, a man that in some ways has changed the web by turning it into a place where anyone could publish their own content. He founded Automattic, which is the company that invented the product Wordpress, and has always pushed to develop the products in the most transparent way possible.
Of course, some haters may say, he was always in the conditions to do so. It's true, but in the meanwhile he's done it right: there are a lot of ways to do open source the wrong way. A good metric for long distance open source projects, in order to evaluate progress and future potential, is to measure the contribution from the community, not only from the company, in terms not only of code (if we're talking about informatics) but also of bug reports and feature requests. Which takes us directly to this week's point: it isn't the product that matters, but the community that is generated around it.
Of course, without a product we wouldn't have an interest capable of synchronizing the efforts of people in making the product better, nor the attempt at the creation of a community can assure that the product remains active both in itself and in users' thoughts. However, working with these points in mind, especially now that there are so many startups that seem to have no idea about what they're doing, helps to orient and have a company vision that isn't limited to the first round of investments "and then who knows?". Of course, we could repeat the same thing for older companies, where sometimes we have the first million downloads "and then who knows" - too bad that "who knows" always arrives too soon.
Some advice for those who want to try and make an open product without spending a lot of money and then say "open source sucks"? Here it is:
  • Think from a community point of view. How much can the community give to your product?
  • Community again. Are you the only one that can know what direction everything is taking?
  • The communities come out of the freaking walls. Geolocalize, organize hackatons, organize competitions with prizes. Make people put their hands on your code. At a product level, you win anyway.
A case of success? Instagram: up to this day, despite all the competition, Instagram continues having an unparalleled community that is not only well organized by topic hashtags, but also has a geolocalized comparment; I'm talking about Instagramers. Who had the idea? The community. Who helps to spread your own product? The community.
Maybe these are all wrong statements, but maybe they're not: a strong community means a strong product, and if all this is also open source, well, if I were an allarmist scoundrel I'd say I found the recipe for success.
Alessio Biancalana | @dottorblaster

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