Tutti hanno sognato di farlo, pochi ci sono riusciti.
Davanti alla moglie che non desideri più, davanti al capo del tuo lavoro da terzo mondo, davanti al professore che ti ha preso di mira: Vaffanculo! Sono fuori, ne ho abbastanza di questa merda. Sei pronto a tutto, ma alle risate no.
Il Dottor X rise di gusto, con una sfumatura malefica che riecheggerà per sempre nella mia testa. Dentro a quella risata c'era tutto: le manette che mi serravano i polsi, la dipendenza dalla droga che mi rendeva un burattino, la firma in calce a un contratto mai redatto ma per sempre sottoscritto. È in quei momenti che la disperazione prende il controllo. Come una bestia in gabbia che percorre la misera superficie a sua disposizione, su e giù, ogni maledetto minuto della sua esistenza, io presi a girare per le strade, sbattendo la testa contro i muri, prendendo a pugni i cassonetti pieni della merda di una nazione e riempiendo di calci le carrozzerie scrostate delle auto dei poveri.
Non ti fidare dell'ago, perché mente.
Ma l'astinenza cominciava a farsi sentire e sapevo che mi avrebbe portato dove non avrei voluto tornare mai più, come un fido mastino che reclama il suo osso perché è incapace di procurarselo da solo.
Perché ricordare anche questo?
Perché la memoria non pecca qualche volta e lascia buchi neri nella mia storia, affinché io possa trovare tranquillità nel dubbio e nell'oblio?
Mary aveva donato al buco nel quale mi rintanavo la luce che neppure mille candele avrebbero potuto generare. Era stata un punto di luce in quei giorni scuri, una fiamma di vita fra quelle quattro mura deprimenti. Perché dovrei portarmi dietro per sempre il ricordo del momento - orribile, orribile - in cui scoprii che il suo bagliore si era spento?
Non voglio, ma non posso impedirlo. Ricordare il suo volto freddo e rigido, eppure ancora venato dalla tristezza. Fu come se qualcuno, da lassù, avesse spento l'ultima scintilla di luce presente nell'universo.
Non ci sarebbero state più stelle, soli o comete.
Non è vero che scomparvero tutte le luci.
La città e i suoi abitanti, sia i ricchi bastardi nelle loro ville che i milioni di disperati nei quartieri popolari, continuavano a vivere. Sentivo le loro risa, i loro bagordi e le urla di piacere dei loro amplessi sudati e appiccicosi.
La vita continuava, le luci illuminavano senza requie i covi di belve e arrivisti.
Nessuno aveva perso Mary all'infuori di me.
Nessuno ne piangeva la scomparsa.
La puttana era sostituibile, Mary no.
Nessuno la cercava e nessuno sapeva che un'anima in meno abitava la metropoli. I neon colorati e ronzanti non la piantavano di dire Pizza qui, Coffee là.
In ognuno di essi cercavo il suo volto.
In ogni angolo cercavo la sua presenza.
E con urla disperate tentavo di rompere il fottuto silenzio della città. Urlavo per tacere le grida delle accuse e delle colpe che mi riempivano la testa.
La colpa è tua, ovviamente!
Non cambierai mai! Drogato! L'hai ammazzata tu!
Bravo, hai portato a termine la missione!
Non ti perdonerai mai! Devi smetterla! L'hai lasciata lì a marcire? Perché non l'hai scopata anche da morta?
Sei pazzo! Brucerai all'inferno!
Sentirai per sempre le sue urla.
Mi aveva detto che ci saremmo rivisti nell'altro mondo.
Ma chiedo a voi, dannazione... chi ha mai creduto a frasi simili?
A parlare è la disperazione, il bisogno di renderci immortali a parole. Mai e sempre sono parole che col tempo ho imparato a odiare, perché non esiste alcun assoluto se non la morte; e dalla morte nessuno torna: da quel buco nero non arrivano messaggi, non arrivano voci, non arrivano carezze. Non c'è niente dall'altra parte e, cazzo, no, non credo proprio che l'amore sia immortale.
L'amore esiste in vita, quando esiste qualcuno o qualcosa che lo amplifica e lo rimanda, come se fosse il segnale radio che rimbalza di satellite in satellite, di antenna in antenna. Ma ora io non capto più nulla; e questa assenza di segnale scava un vuoto dentro di me. All'amore non credo e, in fondo, non ho mai creduto, anche quando esso era tangibile nei gesti e nelle parole.
All'amore non credo, perché non vale il dolore che sentiamo.
Da giovane non leggevo altro che Lovecraft e Poe, Poe e Lovecraft. E Lovecraft scrisse che al mondo esiste un balsamo che funziona bene tanto quanto l'odio: la capacità di dimenticare.
Una volta ho visto un quadro in un museo.
Un rosso cupo e denso, simile alla tonalità che assume il sangue raggrumato sul pavimento il giorno dopo la coltellata. Ma ciò che più colpiva in quel quadro non era la violenza di quel colore, ma i tagli che l'artista aveva fatto con un coltello al centro della tela.
Dopo qualche minuto ero riuscito ad abbassare lo sguardo, portandolo sulla didascalia dell'opera.
La cosa più snervante è che non puoi tagliarla in nessun modo.
Torna il bianco di fronte ai suoi occhi.
Torna il gracchiare dell'altoparlante e i soliti nomi: David, Blair, Hamilton. Nella sua vita c'è poco spazio per le novità, dato che ogni minuto che passa i suoi ricordi sono pieni di passato, di crimini; dei volti delle vittime che ha assalito, picchiato e ucciso nel corso degli anni.
Ma il ricordo che più di ogni altro rode la mente di Nikki è il volto esangue di Mary, gli occhi spenti e la bocca aperta a cercare l'aria che il rosario stretto intorno alla sua gola le ha negato per sempre.
How many times must I live this tragedy?
How many more lies will they tell me?
All I want is the same as everyone
Why am I here, and for how long?
Quante volte ancora dovrò rivivere questa tragedia?
Quante bugie ancora mi verranno dette?
Voglio quello che vogliono tutti quanti
Perché sono qui e per quanto tempo ci resterò?
Indossa una veste bianca, anonima e senza tasche. Calza due pantofole da vecchio. Nella stanza in cui è rinchiuso c'è il letto e poco altro. Il comodino ha gli spigoli foderati con della gommapiuma. Ai lati del letto pendono alcune cinghie di cuoio marrone dall'aria minacciosa. Non ci sono specchi, non ci sono quadri. Non c'è nulla. I muri bianchi fanno uno strano effetto su di lui: accade spesso che dopo averli fissati per qualche minuto la sua mente scivoli in una dimensione parallela, bianca anch'essa, priva di qualunque stimolo ma densa di ricordi. Per questo ha imparato a tenere la testa bassa, fissandosi le mani piuttosto che lasciare che lo sguardo vaghi in modo pericoloso.
È debole, perché passa la maggior parte della giornata disteso a letto.
Nota che il vetro spesso riflette una figura che non riconosce. Nikki si guarda e non s'identifica. I suoi occhi sono quelli di uno sconosciuto. Lo specchio, si sa, non mente mai, anche se non è un vero specchio ma il vetro infrangibile di una finestra. Un pensiero gli attraversa la mente: tutti quanti rifuggono lo sguardo di uno sconosciuto.
Perché hanno paura, si risponde.
Paura di quello che possono scorgervi, delle emozioni che vi trovano rifugio in attesa di essere espresse, dei serbatoi di lacrime. Nikki si accorge di non aver mai guardato qualcuno in quel modo e capisce con un fremito che quello è l'ennesimo inizio.