Solo ricorrendo al project financing il Sud potrà superare il “deficit infrastrutturale verso il Nord”. Parola di viceministro.
Domenica scorsa Aurelio Misiti, due settimane dopo la promozione da sottosegretario a viceministro e appena tre giorni dopo la gaffe per l’approvazione della mozione che ha impegnato il governo “alla soppressione dei finanziamenti” previsti per la realizzazione del ponte sullo Stretto, “pari a 1 miliardo e 770 milioni di euro, di cui 470 milioni per il solo anno 2012 quale contributo ad Anas s.p.a. per la sottoscrizione e l’esecuzione – a partire dal 2012 – di aumenti di capitale della società Stretto di Messina s.p.a.”, ha partecipato a Lamezia Terme al simposio del Registro Italiano Navale. Ha ascoltato attentamente la relazione sul project financing (nella definizione del legislatore, la realizzazione di opere pubbliche senza oneri finanziari per lo Stato), l’ha tradotto frettolosamente in “progetto di finanza” ed ha spiegato come ribaltare le sorti del Mezzogiorno e della “sua” Calabria.
«Si possono realizzare progetti bancabili di infrastrutture nel Sud nel campo delle autostrade, dei porti e degli aeroporti considerando che in questo territorio vi sono stati i principali investimenti pubblici con finanziamenti a fondo perduto. Oggi queste opere tipo l’autostrada Salerno-Reggio Calabria o i porti di Gioia Tauro, Cagliari e Taranto si possono mettere a frutto per poter costituire risorse pubbliche da affiancare a quelle private rendendo così i progetti appetibili da parte del sistema bancario». Progetti bancabili. Modo un po’ freddo per definire i progetti che potranno produrre un flusso di cassa sufficiente a coprire i costi operativi, remunerare i finanziatori e fornire un congruo margine di profitto ai promotori dell’operazione. Troppo freddo, soprattutto considerando che gli investitori privati sono interessati a finanziare solo le “opere calde”, che consentono di applicare un prezzo come controprestazione obbligatoria dell’utente che voglia fruire del servizio: opere che consentono di svolgere un’attività organizzata di tipo imprenditoriale, con costi e ricavi.
L’A3 avrà il suo regolare pedaggio appena lo Stato avrà terminato di finanziare l’Anas. I porti sono un business, più o meno appetibile, delle poche multinazionali che li gestiscono, e così via. Opere calde, finanziamenti caldi. Opere fredde, in cui la funzione sociale è assolutamente predominante e che non consentono l’applicazione di tariffe o in cui il livello accettabile delle tariffe è talmente basso da non generare flussi di cassa in grado di consentire il rimborso dei fondi impiegati, congelate sine die dalla mancanza di disponibilità economica.
Misiti è un ingegnere, mica un esperto di finanza: fa confusione con i pareri di governo, parla di trasformazione dei “fondi perduti assistenziali in investimenti produttivi relativamente alle autostrade, ai porti e agli aeroporti”. Come commentare invece la Presidenza del Consiglio, che in merito all’approvazione della mozione di Idv ha ricordato che il ponte “è solo in parte finanziato dall’intervento pubblico”, perché l’onere complessivo dell’infrastruttura (ma quanto costerebbe alla fine, quindi?) prevede anche “la partecipazione di capitale privato, l’utilizzo di fondi strutturali e di altre fonti”? Quando aspettavano a dirci che l’Ue finanzia, insieme ad altri ignoti benefattori, un ponte tra due sponde i cui cittadini mai si sono espressi per il collegamento? Mica sono ingegneri, a Palazzo Chigi. Esperti di finanza, forse, sì. [il futurista nr 23]
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