Accade spesso che quando si effettuano degli scavi vengano alla luce opere d’arte d’altri tempi. Per noi romani è una cosa normale: fai una buca e trovi un coccio o una pietra vecchia.
Ma quello che è successo a Berlino ha un sapore speciale.
Nel gennaio scorso, durante i lavori per la costruzione di una nuova stazione della metropolitana, è emerso dalla terra un busto bronzeo di donna: era sporco, polveroso, quasi irriconoscibile. Nell’agosto successivo furono ritrovate altre sculture e lo stesso è avvenuto in ottobre, per un totale di undici pezzi. Lo stile è quasi cubista o espressionista.
Sono opere che hanno subito, negli anni Trenta, la campagna di epurazione hitleriana e che le inserì in quella che veniva allora definita “arte degenerata”, termine che indicava forme d’arte che riflettevano valori o estetiche contrarie alle concezioni naziste, lontane della razza ariana e della sua tradizione culturale. Le autorità naziste eliminarono dai musei quest’arte “degenerata”, selezionarono un campione numeroso di essa, circa 650 opere, con cui dettero vita a una speciale mostra itinerante di “arte degenerata”. L’Espressionismo era la corrente artistica più presente tra le opere condannate. Gli autori furono esiliati e, se ebrei, deportati ed eliminati. Quindi tutto il materiale finì nei magazzini del Reichpropagandaministerium e poi se ne persero le tracce. Come siano arrivate a essere sepolte in quel luogo di Berlino resta un mistero, ma si pensa all’azione di un Oskar Schindler dell’arte.
L’ipotesi è che fossero conservate nel palazzo situato al 50 di Königstrasse, appartenente a una donna ebrea, Edith Steinitz e affittato via via a diversi avvocati, ebrei anche loro. Finché nel 1942 non fu requisito dal Reich e abitato da ariani puri. Tra questi, Erhard Oewerdieck potrebbe essere colui che si è adoperato per salvare queste sculture. Non è un personaggio molto noto, ma è ricordato a Yad Vashem, il memoriale dell’Olocausto in Israele, per aver prestato aiuto e sostegno economico a numerosi ebrei salvando intere famiglie. Secondo la teoria più accreditata, dopo che i bombardamenti alleati del 1944 ebbero distrutto l’edificio, tutto quello che vi era contenuto venne sepolto dalle macerie.
Tra le sculture recuperate si distinguono il busto dell’attrice Anni Mewes, scolpito da Edwin Scharff, che ricorda opere dell’antico Egitto, “Hagar” di Karl Knappe a cui è stata lasciata la patina verde a testimonianza del destino subito, e una testa in terracotta smaltata, il cui autore Otto Freundlich fu deportato nel campo di concentramento di Majdanek dove venne assassinato il giorno del suo arrivo.
Ora fanno tutte bella mostra di sé in una sezione del museo archeologico di Berlino, il Neues Museum.
Viene da pensare che, come un messaggio nella bottiglia, siano approdate sulle coste dei nostri tempi, esempi di arte degenerata sopravvissuta agli insulti del tempo e soprattutto a quelli dei Nazisti e delle loro idee degenerate.