
I giornali, alla fine dell’Ottocento, sono diventati dei supporti che veicolano le discussioni dell’opinione pubblica. Gli interessi della comunità, che già dal Settecento, non sono più discussi solo nelle piazze o nei salotti, ma anche negli articoli dei quotidiani, si mescolano poi con gli interessi del capitalismo mass-mediatico, trasformando così il modo di costituirsi dell’opinione pubblica, descrive Jurgen Habermas in un suo famoso saggio.
Oggi la storia del giornalismo, che si intreccia con quella della sfera pubblica, incrocia quella dello sviluppo delle nuove tecnologie della comunicazione e vive un importante momento di transizione. Credo che l’epoca di internet potrebbe essere inserita nell’analisi di Habermas come nuovo episodio nella trasformazione della costituzione dell’opinione pubblica, come momento nel quale gli autori e gli agenti coinvolti nel discorso si riappropriano di una voce diretta per partecipare al dialogo.
La riaggregazione delle voci può essere fatta dai giornalisti oppure dalle persone stesse che si connettono tra di loro, attorno ad interessi comuni. E’ quindi chiaro che il giornalista deve essere capace di creare una nuova narrazione degli interessi che conducono l’opinione pubblica, oppure deve creare una cornice di riferimento per il dibattito stesso, conferendogli autorevolezza selezionando i soggetti “parlanti”, e inquadrando la discussione.
In questa nuova trasformazione, l’opinione pubblica si forma nei network dei social media. Il giornalismo aggrega, seleziona e crea nuove narrazioni degli eventi comprendendo le voci dei parlanti e contribuendo al dibattito, fornendo competenze analitiche capaci di rilanciare ulteriormente la discussione.
Il concetto di “Open Journalism” portato avanti dal britannico Guardian è un pioniere nell’aver capito l’evoluzione della funzione dei giornali, offrendo molto presto ai suoi lettori voci diretti di blogger “scelti”. La comprensione è tale che il Guardian divulga un manifesto a sostegno di quello che definisce “Giornalismo Aperto”.
Riporto qui il decalogo di Alan Rusbridger, Caporedattore del Guardian, il primo giornale inglese a pensare che l’era digitale ha delle grandi opportunità da cogliere, perché possa contribuire ad un dibattito Italiano sul futuro dei Giornali e del Giornalismo.
Il Giornalismo Aperto:
1. Incoraggia la partecipazione. Invita e rende possibile le risposte.
2. Non è un modo inerte, “Da Noi” a “Loro” di pubblicare.
3. Spinge anche altri ad iniziare un dibattito. Possiamo seguire, possiamo condurre. Coinvolgiamo le pre-pubblicazioni di altri.
4. Sostiene la formazione di gruppi che condividono interessi comuni sugli stessi temi, argomenti, individui.
5. E’ aperto al web. Mette links e collabora con altri materiali online, inclusi servizi.
6. Aggrega e/o cura il lavoro di altri.
7. Riconosce che i giornalisti non sono le sole voci autorevoli, esperte o d’interesse.
8. Aspira a realizzare, e riflettere, la diversità cosi come a promuovere valore condiviso.
9. Riconosce che la pubblicazione può essere l’inizio del processo giornalistico piuttosto che la fine.
10. E’ trasparente e aperto alle sfide – incluso correggere, chiarire ed aggiungere.
In questi 10 punti, attraverso la non-negazione di una realtà esistente, il giornalismo potrebbe trarre vantaggio dalle sfide dei blog e social networks. Le voci del web, nel giornalismo aperto, consentirebbero così a più storie di essere raccontate, nell’interesse del pubblico, al di fuori di schemi pre-esistenti, e nel rispetto del diritto dei cittadini ad essere informati.
Vorrei infine mettere in relazione l’invenzione dei caratteri mobili per la stampa in serie di Johann Gutemberg con l’avvento dei social media. Quella che fu un’innovazione tipografica determinò una rivoluzione nel mondo dell’editoria, a beneficio della costituzione di una società più istruita.
Con l’augurio che il riconoscere i termini di una sfida contemporanea, possa stimolare a cercare soluzioni costruttive nel processo di cambiamento epocale in corso.
© Melissa Pignatelli
Illustrazione di MEESON, hitandrunmedia.com
Testo: Jurgen Habermas, Storia e Critica dell’Opinione Pubblica, Laterza.
