Aldo Grasso - 10 aprile 2013
Papa o papà? Di mezzo c'è solo un accento, ma la differenza non è da poco. I giovani turchi della Nouvelle Vague combattevano con sfrontatezza cinefila contro «le cinéma de papa», il cinema di papà, quel cosiddetto cinema di qualità che consisteva soprattutto nella trasposizione di romanzi famosi. I giovani autori della tv italiana dovrebbero ora combattere contro la fiction di papà, ben rappresentata da «L'ultimo Papa Re» (Raiuno, lunedì e martedì, ore 21,15). Di solito la fiction di Raiuno, per stimolare l'effetto nostalgia e fare facili ascolti, ama mettere in scena qualcosa che già appartiene all'immaginario del suo pubblico. Questa volta ripropone le vicende raccontate nel film di Luigi Magni, In nome del Papa Re . Chi interpretava quella pellicola? Nino Manfredi. Chi ha prodotto la miniserie tv? Roberta Manfredi, la figlia. E chi l'ha diretta? Luca Manfredi, il figlio. Ecco come nasce la fiction di papà.
La storia inizia nell'ottobre 1867, quando tre giovani patrioti, per appoggiare il tentativo di Giuseppe Garibaldi di conquistare Roma, fanno saltare in aria una caserma degli zuavi, i mercenari francesi di Papa Pio IX. Inizia così il contrasto fra il cardinale Colombo da Priverno (Gigi Proietti), che sovrintende la polizia pontificia e il potente «Papa Nero», il belga Joseph Beckx (Jerzy Stuhr), capo dei gesuiti e anima nera della Chiesa, che manovra a suo piacere il debole Pio IX (nella speranza che l'attuale Pontefice, gesuita, non abbia seguito la miniserie). Per dare un po' di sapore alla storia, si scopre che Colombo è il papà di uno dei giovani patrioti (nato da una relazione con una contessa, il birichino). Come al solito, tutta l'operazione si regge sulle spalle di Gigi Proietti, visibilmente indeciso se essere se stesso o rendere omaggio a Nino Manfredi. Nell'incertezza registica, largo spazio al macchiettismo.
!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!
La critica dell'esperto che lo fa di mestiere si può anche accettare, ma se fa un'analisi che serve a comprendere meglio un'Opera: sia questa televisiva, che cinematografica, che teatrale o anche un libro... Può descriverne i difetti, i limiti, motivandoli... Ma in certi casi, come in questo, mi sembra una critica acidina e pretestuosa, che non motiva il giudizio con elementi tecnici realistici e dunque non la comprendo.Ho visto anche la critica fatta in video su Corriere TV da Aldo Grasso su questo sceneggiato televisivo in due puntate che, secondo una moda da cui dissento, viene definito "miniserie".Nella critica in video parla degli spettatori come se fossero dei poveri rimbambiti: dice che RAI 1 è seguita in prevalenza da gente con i capelli bianchi, sarà, io ho 66 anni e seguo tutte le reti, anche le private qualora ci sia qualcosa di decente, cosa rara. Dunque, partendo dall'assunto che RAI 1 è vista solo da rimbambiti, si spinge nel dire che "quando si hanno i capelli bianchi si torna un po' bambini". E qui mi viene da dire alla romana: "Parla pe té!!" Poi presuppone che, essendo tornati un poco bambini, ci piace risentire sempre le stesse storie e dunque da parte degli autori, riproporre una storia di cui è già stato fatto un film, è farci rivedere una cosa che conosciamo, così vanno sul sicuro, lui dice "risentire la stessa canzone".Ora mi chiedo se Grasso abbia presente i film sequel seguiti da giovani adulti e non rimbambiti, come quelli recenti sui pirati con protagonista Johnny Depp nella parte di Capitan Jack Sparrow, o quelli del maghetto Harry Potter.Come spiega quei successi con gran numero di spettatori e di incassi? La storia riproposta nello sceneggiato diretto da Luca Manfredi è stata trattata da Luigi Magni e, personalmente, non mi risulta sia stata raccontata tante volte da costituire una storia ripetuta per "vecchi tornati bambini", come lui testualmente si è spinto a dire.Inoltre la produzione filmica in generale, sia italiana che estera, ha attinto innumerevoli volte, anche nel passato, dal romanzo, riportando le storie molte volte, riprese in produzioni diverse, con cast e registi differenti, e nessuno si è mai lanciato in simili azzardati commenti. Mi sembra addirittura inutile accennare a qualcuna di queste opere: dalla "Signora delle Camelie" ai "Tre moschettieri", da "Madame Bovary" a "Cime Tempestose", "Da Rebecca la prima moglie" a tanti tanti altri film riprodotti in molte produzioni e sempre ben accolti dal pubblico, alcuni ben fatti altri meno... ma è lì che la critica dovrebbe appuntarsi, non sul fatto che la storia è già stata raccontata una volta e che il Cardinale Colombo nel film di Magni lo interpretava Nino Manfredi. Nino Manfredi ha interpretato tanti di quei film di successo... E allora?
Lino Toffolo e Gigi Proietti in una scena dell'Opera televisiva diretta da Luca Manfredi
Poi la stroncatura anche di Proietti è il massimo! Ma dove l'ha vista l'indecisione fra una sua personale interpretazione della parte di Colombo e quella fatta a suo tempo da Nino Manfredi? Proietti ha un suo stile inconfondibile, che ha fatto Scuola, e Nino Manfredi aveva una sua recitazione personalissima che metteva in tutti i personaggi, i più diversi, che interpretava.Infine le macchiette... Ma raccontare una storia anche con il sorriso per Aldo Grasso è "fare macchiette"? Anche nel film di Magni, (per fortuna!), si rideva: la vita vera è così, lo sa Grasso? Si ride, si piange... si vive. Ma forse lui non lo sa.