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Orchestra Panica: "Journey to Devotion"

Creato il 04 novembre 2010 da Athos Enrile @AthosEnrile1

Non avevo idea dell’esistenza di Orchestra Panica, e quindi mi sono avvicinato al loro album, “Journey to Devotion”, sgombro da preconcetti.

L’ho ascoltato una volta e ho formulato le domande a cui ha risposto Luca Vicenzi (ideatore del progetto assieme a Francesco Agostoni) che nel corso dell’intervista ci aiuta a capire la filosofia che muove lui e i suoi compagni di viaggio.

Quello che infatti io posso fare è solo fornire le sensazioni “del passante”, difficilmente obiettive, ma di certo uno dei tanti possibili punti di vista.

Non necessariamente il nome di una band deve identificarsi con l’ideologia musicale e quindi non avevo dato estrema importanza al nome del gruppo, ma leggendo le note finali di copertina ho trovato una citazione di Jodorowsky e ho collegato il tutto.

Alejandro Jodorowsky è uno dei promotori del “Movimento Panico”, ispirato dal dio Pan (“Tutto”) e il “suo” significato di “panico” è un po’ più ampio rispetto a quello di uso comune, ed è cioè inteso come “nostro rapporto con il Tutto”.

In questa logica ci si può esprimere con differenti arti, nella massima libertà, senza modelli e senza pseudo intellettualismo.

Journey to Devotion” non ci regala una musica secondo canoni conosciuti, ma il primo senso che ho avvertito, è la libertà. Tutto ciò sarebbe riduttivo, perché la libertà di espressione la può esercitare ognuno di noi tra quattro mura, senza impedimento alcuno, senza nessuna critica o apprezzamento, ma nel momento in cui “si viene allo scoperto” e si da visibilità alla propria arte, sarebbe gratificante che le sensazioni, positive o negative, che hanno guidato la creazione, fossero inviate all’ascoltatore e percepite allo stesso modo, in questo caso passando da una creazione “libera” da vincoli ad una ricezione “libera” da pregiudizi e predisposta all’assimilazione.

Ho toccato il tasto della gratificazione, non a caso, perchè credo sia alla base della motivazione in quanto in grado di alimentarla, e un uomo motivato è più libero di agire, all’interno della sua “zona franca”.

Ma come spiegare con le parole la musica che ci propone “Orchestra Panica” con questo album?

Io ho provato lo stesso feeling di quando ascoltai la prima volta Terry Riley in “ A Rainbow In A Curved Air”. I concetti di minimalismo, ripetitività, loop, possono trovare giustificazione in campi diversi, ma se applicati alla musica riescono a sconvolgere gli usi comuni. E’ necessaria una melodia, un motivetto di facile presa, o si possono anche fornire immagini, emozioni, sentimenti attraverso l’evolversi e il progredire di note “stagnanti”, che partono all’improvviso, quando lo si ritiene necessario? 

Entrambe le cose… secondo me, nel “Tutto” ci sta tutto e so che non ascolterò più “Journey to Devotion” per… rinfrescarmi la memoria, ma solo quando avrò la necessità di ritrovare qualcosa che ha più a che fare con lo spirito che con la carne, e non sempre è così. 

Difficile, forse, definire cosa sia totalizzante in musica, ma ciò che questo gruppo di musicisti propone ce ne da una esauriente spiegazione, condensando concetti importanti, “toccabili” con mano nel quotidiano, in un insieme di brani che mi hanno dato il senso della dinamicità intercalato dalla sensazione di staticità. 

Potrebbe essere questa una chiave di lettura.. il “Tutto” a cui accennavo? I contrasti, l’appiattimento, il muoversi e il fermarsi, il dare il prendere, “tutto” inserito nello stesso recipiente?

Le mie conoscenze musicali specifiche non sono adeguate e non mi permettono di dare giudizi assoluti, e mi limito a fornire il mio feeling da neofito (ben predisposto all’ascolto). Non mi viene neppure da collocare “Orchestra Panica” e il loro album in una delle tante categorie conosciute, che se da un lato può risultare antipatico, resta comunque un modo efficace per dare indicazioni ai potenziali curiosi. 

Musica di atmosfera, libera, cervellotica, emozionale, fornitrice di “pictures” e stati d’animo differenti. 

Forse non è semplice entrare in sintonia con “Journay to Devotion”, ma basta un doppio ascolto per convincersi che ci saranno molti momenti in cui si sentirà il bisogno di riascoltarlo … non sempre.. ma spesso. 

Luca Vicenzi ci da ampie spiegazioni nelle righe a seguire.

L'intervista

 

Ho ascoltato con piacere “Journey to Devotion”, un album non certo alla portata di tutti.Le leggende metropolitane relative alla creazione di musiche note, nate casualmente, magari frutto di un improvviso risveglio notturno, abbondano. Qual è l’iter compositivo che normalmente accompagna la vostra musica? Quali sono le vostre fonti d’ispirazione?

 

Intanto grazie dell' ascolto. Diciamo che le leggende metropolitane contengono spesso delle verità parziali; il percorso in cui si è sviluppato questo disco è nato sicuramente da improvvisi risvegli notturni, momenti di abbandono e di sperimentazione (e dunque generazione di errori che in realtà diventano specchio interessante di quell' attimo), ma anche da un' idea di fondo, passando per attimi importanti di disciplina mentale e tecnica per poter realizzare stati immaginati o sognati, dunque organizzando in maniera più organica quella che spesso è un' improvvisazione o lo sviscerarsi di un concetto interessante (anche non musicale). In questo senso possiamo dire che il processo compositivo non ha mai un iter uguale ogni volta; in questo caso siamo partiti da una mia idea di fondo di “miscelare” certe sonorità vicine a Steve Reich e a certa musica minimale, con un apporto invece sostanziale di Francesco sul versante invece più “Radioheadiano” e psichedelico tradizionale. Lunghi ragas registrati in presa diretta, poi sovraincisi con altri strumenti e editati senza mai snaturare l'atmosfera di partenza. Le fonti di ispirazione sono spesso legate alla letteratura, al cinema, all' arte visiva più che di carattere musicale, fermo restando che abbiamo i nostri gruppi e artisti preferiti che spaziano tra generi anche molto diversi tra loro, dalla musica etnica all' elettronica al rock al jazz.

I musicisti che compongono il vostro gruppo hanno una formazione musicale analoga o esiste varietà di esperienze, raccolte in un unico progetto? Qual è il filo conduttore che vi lega?

Questo è un collettivo a formazione variabile che raccoglie musicisti con esperienze anche distanti tra loro; Michele che ha suonato la tromba non ha mai registrato nulla ne suonato con nessuno fino quasi ai suoi 50 anni, Beppe ai vibrafoni, marimbas e quant'altro viene da esperienze più “convenzionali” di rock indipendente italiano, Marco Ferrara che ha suonato il contrabbasso è stato per anni il bassista di Cristina Donà e ha sempre gravitato intorno al circuito rock milanese, Moreno è il proprietario/bassista di un noto negozio di strumenti dell' hinterland di Milano che ha sempre sostenuto la causa, grande appassionato del Canterbury sound e suona di tutto. Francesco infine è stato per due album il fonico degli Zita Ensemble, band dalla quale provengo, e io l'ho coinvolto sempre di più, prima come tastierista aggiunto e poi in questo progetto in prima persona con me. Il filo conduttore direi essere la voglia di fare musica stimolante, di stupirsi in qualche modo, con voglia di fare ma senza pretendere niente, lasciandosi andare per davvero. Io ho suonato come dicevo per anni e per tre album musica strumentale con gli Zita Ensemble e avevo voglia di andare oltre.

Le contaminazione provocate da una pluralità di ascolti possono a volte a portare verso un sentiero originale, figlio di quanto assimilato nel tempo, ma allo stesso tempo nuovo. Qual è nel vostro caso l’artista, o il gruppo di artisti, che rappresentano il vero riferimento musicale?

E' una domanda complessa a cui rispondere; è impossibile indicare di preciso alcuni nomi, ci sono momenti in cui alla mente mi vengono molte cose che mi piacciono, che solleticano la mia fantasia, che aprono a nuovi interessanti confini. Ripeto, nella musica come nell' arte in generale, è in qualche modo come dicevi tu, è tutto quello che hai assimilato nel tempo a portarti dove sei ora, la ricerca in qualche modo utopica ma comprensibile di qualcosa di totalizzante. Ci sono molti esempi di ciò nella musica, in tanti generi diversi, come nella pittura o nella letteratura, ma infondo è cercare di avvicinarsi a comunicare il più possibile la tua “esperienza”. John Fante è totalizzante, i Morphine sono totalizzanti, Christo è totalizzante, Schiele è totalizzante, Debussy è totalizzante, la domenica mattina e la frutta sono totalizzanti...

Quanto è dura la vita di chi vuole fare musica innovando e uscendo dagli schemi?

Pochissimo pubblicamente, anche molto nel privato

Semplifico un concetto utilizzando una proporzione a cui manca un termine noto: “Il blues sta al dolore come il jazz sta a….?”

In teoria a una qualche libertà, ma intorno a me vedo sempre più bravissime scimmiette ed esecutori (ottimi) di musica nata quando i loro nonni dovevano ancora nascere. Sento molto più jazz interessante in certa musica “elettronica” a volte. L'ultimo disco di Mulatu Astatke con gli Heliocentrics è un capolavoro di jazz, musica etiope e elettronica, questo è il jazz nel 2010.

Se fossi un professore di lettere, tra i tanti esperimenti da condurre con gli alunni, metterei un brano musicale senza testo, e alla fine chiederei di esprimersi liberamente descrivendo i sentimenti provati e il significato captato. Non pensate che la musica “scolastica” ( e in alcuni siti è materia seria) debba intersecarsi con altre discipline e fornire stimoli differenti ai nostri giovani? Non sarebbe utile scrivere “un tema” partendo da suoni e “immagini musicali”?

Come non pensarlo... sarebbe stupendo, sarebbe giusto e utile soprattutto, sarebbe appunto... non sono un fanatico di musica, ma un fanatico dell' emotività individuale si, e in questo momento in questo paese continuare a pronunciare la parola “sarebbe” mi fa sempre più vomitare... strutturalmente siamo vecchi e compromessi.

Quanto può dare valore aggiunto alla vostra musica il progredire della tecnologia?

Beh come in tutte le cose aiuta, dipende. In questo disco è servita direi per un 30% in realtà, ma potrebbe diventare sempre più determinante in futuro, dipende sempre da cosa stai facendo e come lo vuoi fare. Non ho e non abbiamo limiti in questo, sento ancora gente che si arrocca su posizioni inutili: uso solo valvole! O uso solo digitale! O che ne so'... io dire... uso quello che mi piace in quel momento e che rende meglio l'idea di ciò che devo comunicare, poi posso certo avere delle preferenze come anch'io ne ho.

Esiste un aneddoto musicale, positivo o negativo, che vi è rimasto dentro e amate ricordare?

Beh credo tra i tanti il fatto che avevamo registrato più di due ore di musica per questo disco proprio durante le registrazioni di “volume 2” di Zita Ensemble, di cui Francesco era fonico. Lui registrò tutti questi minuti che al tempo erano sorta di“outtakes” del disco,che poi decidemmo di lasciare da parte per poi sviluppare in futuro;. cosi mi telefona lui mesi dopo dicendomi: “Sai che ho editato e sistemato tutta quella musica e pare stupenda, che facciamo?” Io risposi: “quale musica?”. Beh lui impiego diversi minuti a ricordarmi di cosa stesse parlando e poi a convincermi a farci qualcosa; trovavo tutto il materiale impresentabile e di discutibile interesse, ma alla fine è uscito questo disco. Un aneddoto negativo, beh diciamo che più volte mi sono scontrato con personalità del “nostro giro” che anche tu conoscerai, credo affette da bipolarità evidente, poco avvezze a un dialogo appassionato reale e troppo ferme su posizioni vecchie e oltranziste.... a parte tutto... ma non si è accorto nessuno che più si và avanti e più la cosa bella è questa mescolanza enorme tra generi? È cosi brutto? E che palle! Ci sono cose dette e pensate da persone, dj ed etichette che dovrebbero rappresentare una certa avanguardia musicale che non hanno in realtà davvero interesse in questo, ma hanno ancora voglia di sminuzzare tutto in generi e cataloghi..

 

Il 5 e 6 novembre, a Roma, si celebrano i 40 anni di prog italiano, con reunion dei mostri sacri dell’epoca. Io trovo che questi musicisti abbiano ancora molto da dire e gli anni che passano siano solo dati anagrafici che non incidono sulla qualità della proposta.

In alcuni casi sono completamente d'accordo con te, in altri meno. Dipende. Ci sono band e artisti dell' epoca che trovo geniali e con molte cose da dire ancora oggi e nei prossimi trent'anni, e ci sono casi (uno eclatante per quanto mi riguarda recentemente visto dal vivo) di personalità eminenti che però potrebbero anche lasciarci il bel ricordo, magari tornati sul palco spinti da qualche etichetta per stampare un bel box antologico (che in pochi compreranno)... pero' mi è stata d'esempio invece la collaborazione dal vivo con Paolo Carelli dei Pholas Dactylus che scrive ancora cose stupende ed è un esempio di qualcuno che ha ancora da dare, ma anche qui... sono uno tra i pochi che eviterebbe di risentire il “concerto delle menti” in condizioni forzate nel circo del revival... dipende..

Cosa pensate della mia idea che quanto parliamo delle “nostra” musica ogni tipo di barriera generazionale è destinata a cadere?

Totalmente d'accordo con te.

Cosa vorreste che vi accadesse, musicalmente parlando, nei prossimi 5 anni?

Sarebbe già molto continuare a fare musica, se poi dovessi sognare, poter fare altri dischi consolidando una mia piccola realtà personale in cui assume sempre più senso il percorso fatto, collaborare, vivere.

Autore:ORCHESTRA PANICA

Titolo album: Journey To Devotion

Nazionalità: Italia

Etichetta: Lizard Records

Anno di pubblicazione: 2010


http://www.myspace.com/orchestrapanica

 




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