Ai nativi digitali non serve imparare a leggere un orologio (di quelli a lancette per intenderci), i nativi digitali hanno sempre a portata di mano un display con l’orario ben visibile e leggibile (in fondo si tratta solo di saper decifrare quattro cifre e le sigle “a.m” o “p.m” per riuscire ad orientarsi nel tempo).
Non si sognerebbero mai di lanciare un’occhiata all’orologio del campanile, attraversando la piazza, anche perché, per farlo, dovrebbero alzare lo sguardo dallo schermo dello smartphone che tengono religiosamente in mano e poi perché mai dovrebbero guardare quell’oggetto misterioso?
Così può succedere che durante la lezione di lingua straniera non riescano a tradurre dei semplici orari e non perché non sappiano farlo, ma perché non sono in grado di interpretare la posizione delle lancette disegnate da una mano del secolo scorso sul libro degli esercizi.
Anche i loro nonni (o meglio i loro bisnonni) non avevano un orologio al polso e non sapevano leggere le ore, ma a questa mancanza provvedeva la “signora maestra” che li guidava sul balconcino della classe prospiciente la chiesa e spiegava loro con pazienza come decifrare il misterioso linguaggio delle lancette.
Decifrare un orologio è una abilità che i nostri ragazzini hanno perso (probabilmente in modo irrimediabile) perché è una conoscenza che a loro non serve più.
A meno che, da grandi, non decidano di acquistare un Rolex.
Temo che lo infileranno al polso e lo esibiranno come un costoso bracciale chiedendosi a cosa mai servano quei numeretti sul quadrante.