Oregon, In Moscow

Creato il 29 marzo 2012 da Scribacchina

Ancor persa nell’incanto del Bergamo Jazz, soliti lettori, faccio un passettino indietro e vi ripropongo la recensione che feci anni addietro del bell’album In Moscow, parto artistico combinato di Oregon e Moscow Tchaikovsky Symphony Orchestra. Roba sopraffina, eh, mica per palati avvezzi a musica usa e getta.

Come sempre, quando pesco dal mio cilindro magico la recensione d’un vecchio album, mi vien voglia di riascoltarlo. Pure stavolta m’è venuta voglia di recuperarlo, ma… temo farà a pugni coll’attuale protagonista dell’iPhone della Scribacchina, Superunknown, che voiatri soliti lettori dall’animo rock sapete essere una delle vette artistiche dei Soundgarden. Ho come l’impressione che Ralph Towner e Chris Cornell si litigheran la precedenza nella playlist.

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Dicembre 2000

In puro stile Oregon, ma con in più i raffinati colori di un’orchestra: In Moscow è il risultato del lavoro fatto in tandem dal gruppo di Ralph Towner e dalla Moscow Tchaikovsky Symphony Orchestra diretta da George Garanian.

Registrato in sei giorni, In Moscow rappresenta il desiderio di fondere diversi generi musicali: come recita il booklet (più che un semplice booklet, un album di immagini dell’avventura russa degli Oregon), «… sin dall’inizio avvertivamo l’imperativo di registare contemporaneamente la band e l’orchestra… nella musica ci sono continue interazioni dinamiche, di fraseggio e di improvvisazione… era necessario permettere alla musica degli Oregon e a quella dell’orchestra di mescolarsi… abbiamo messo il gruppo proprio di fronte all’orchestra, come se suonassero l’uno per l’altra».

La miscela è tanto più gradevole proprio perché la caratteristica degli Oregon è il sapiente gioco tra antiche musiche da camera occidentali e musiche tradizionali, in particolare orientali, legate da un meditato e meditativo suono acustico.

I due cd che formano l’album sono una raccolta di composizioni intense, dal respiro ampio, prolungato. La maggior parte del materiate è firmata dallo stesso Towner; per il resto si tratta di brani di McCandless (quattro) e di Moore (due). Storie magiche, che richiamano – già a partire dal nome – altre atmosfere, altri tempi: The Templars, Icarus, Zephyr, Arianna.

Va qui fatta una doverosa precisazione: i brani contenuti nel doppio album sono stati sviluppati lungo l’intero arco della vita degli Oregon, quindi in quasi trent’anni. Ed è interessante osservare come Icarus (la traccia numero nove del primo cd) risalga al ’73; la versione Y2K si colora di interessanti soluzioni timbriche, dimostrando ancora una volta quanto lo stesso brano abbia ancora da dire se sottoposto ad un intenso lavoro di rilettura e reinterpretazione. E’ la filosofia jazz, che sa creare mille sfumature partendo da tre semplici colori.

Alla base di In Moscow c’è sempre e comunque la raffinata tecnica di Ralph Towner: un approccio alla chitarra atipico nel panorama jazz, che gli permette di accostare le sonorità  classiche ai voli armonici più disinibiti.
La stessa impostazione di Towner è classica; e l’uso combinato di una chitarra classica e di una dodici corde gli permette di fare dello strumento un mezzo per ottenere sonorità inconfondibili, condite ed arricchite dalla predilezione per gli armonici naturali ed artificiali. L’alchimia tra le influenze di tutta una vita (classiche, orientali, spagnole e contemporanee) gli permette di porsi con occhio vivace di fronte ad una partitura; e il suo essere distante dalla grande tradizione swing lo mette in grado di approdare ad una concezione ritmica estremamente fluida e libera da schemi. La tecnica classica, di là dall’essere un ostacolo, gli permette un gioco di arpeggi complicato ed intelligente, una sorta di generatore di atmosfere incantate.

Il connubio tra il classicismo di Towner e l’eleganza di un’orchestra sinfonica è innegabile, come innegabile è il fatto che primadonna e protagonista della scena è la sola chitarra di Towner. Prova ne sia che lo stesso McCandless, anche negli episodi solistici, non riesce a raggiungere le stesse altezze. Pur fornendo, beninteso, notevoli prove di eleganza e capacità di sintesi.

Nel complesso, In Moscow è un ottimo album, un ulteriore passo verso la cosiddetta «musica totale». E anche se non si eleva alle altezze di Crossing (album degli Oregon dell’84), è sempre un ottimo banco di prova per la chitarra di Towner. Che qui come allora è -  consciamente o inconsciamente – l’indiscussa eroina dello spettacolo.


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