Orhan Pamuk e Istanbul

Creato il 18 ottobre 2011 da Witzbalinka

Orhan Pamuk, basandosi sulla sua esperienza di vita, esprime nelle sue opere la profonda convinzione che il sentimento più efficace per definire Istanbul negli ultimi 150 anni, e in particolare a partire dalla scomparsa dell’Impero Ottomano, è quello dell’amarezza venata di malinconia, o anche di una malinconia essenzialmente amare. Questa affermazione, che però non esclude in alcun modo l’amore incondizionato espresso da Pamuk stesso nei confronti della sua città, vera protagonista di alcuni dei suoi libri più importanti, non è stata digerita da molti dei suoi concittadini. Lo scrittore turco ha confessato di sentire una specie di innegabile felicità ogni volta che legge o ascolta da altri che la malinconia è l’attributo più identificativo dell’antica Bisanzio, come accade per esempio nei libri degli scrittori francesi che la visitarono nel secolo XIX. Tra i più noti Gérard de Nerval, del quale si può dire che portava con sé un “nero sole di malinconia”, e il suo amico Théophile Gautier, autore di uno splendido articolo intitolato Constantinopla. Entrambi gli scrittori avvalorano in qualche modo gli scritti di Pamuk, nei quali ama descrivere quella sensazione che gli ha sempre comunicato la città nella quale ha deciso di trascorrere tutta la sua vita.

Stranamente Nerval non si sbilanciò particolarmente quando parlò di Istanbul nel suo Viaggio in Oriente. È solo che la malinconia lo logorava fuori e dentro e per quanto cercava di allontanarla gli risultava impossibile sottrarvisi. Quando arrivò a Istanbul, all’età di 35 anni, da poco il suo cuore si era trasformato in un mosaico colorato rotto in mille frammenti di tessere affilate e taglienti. L’attrice Jenny Colon, il grande amore della sua vita, mai corrisposto, aveva abbandonato sei mesi prima questo mondo e lui aveva già alle spalle un periodo di isolamento all’interno di un manicomio. Il suo tendere verso l’Oriente, animato dalle immagini messe in movimento dall’impulso romantico di figure come Hugo e Delacroix, era un intento disperato di dimenticare, o fingere di poter dimenticare, il suo stato miserevole. Da qui ha origine l’invenzione di una Istanbul turistica e sognatrice, teatro di storie per la maggior parte frutto della sua immaginazione, anche se presentate come vicende reali, debitrici dell’immaginario de Le mille e una notte.

Gautier si spinse molto più lontano, disobbedendo ai consigli del suo amico, il quale gli rimproverava che non avrebbe dovuto allontanarsi tanto dai confini della città, quella città “che offre i paesaggi più belli del mondo”. Decise, per usare le stesse parole di Nerval, di “muoversi tra intelaiature”, accedendo così al cuore di quello che per Pamuk fa di Istanbul una città tanto malinconia e cercando di comunicare questa malinconia al lettore attraverso il suo splendido stile pittorico (non a caso Gautier sognò di diventare pittore fino all’età di 19 anni, quando lesse le Orientali di Hugo). Ed è proprio in questa malinconia che viene individuato quell’aspetto poco turistico nel quale risiede la metà della bellezza di questa incantevole città sul Bosforo.

Paul Oilzum


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